S. Messa in suffragio del defunto Pontefice Papa Francesco

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S. Messa in suffragio del defunto Pontefice Papa Francesco

Tortona. Cattedrale

In questi giorni, dal giorno in cui il Santo Padre Francesco è passato da questo mondo al Padre, si sentono tante parole. Forse, sarebbe più opportuno un maggiore silenzio, una più grande preghiera, una più intensa riflessione. Anche perché, insieme a parole belle e puntuali, si ascoltano tante parole banali, improprie, che non guardano al Papa e al suo ministero dal punto di vista della fede e, dunque, della verità, ma da un punto di vista politico, mondano e, a volte, anche secondo una logica opportunista. Come per ogni Papa, infatti, anche Papa Francesco è stato spesso applaudito quando affermava ciò che risultava essere in sintonia con il proprio pensiero, venendo poi criticato quando affermava ciò che non era in sintonia con quello stesso pensiero. Spesso il pensiero dominante, spesso l’ideologia del momento. Questa sera, nel clima del raccoglimento, della preghiera, dell’autentico dolore che portiamo nel cuore, vogliamo riflettere alla luce della parola di Dio e – se mi è consentito – anche con qualche ricordo personale che, forse, ci aiuterà a mettere ancora meglio a fuoco la figura di questo Papa.

Abbiamo ascoltato, dalla parola di Dio, due pagine molto belle e davvero provvidenziali per illuminare la nostra celebrazione. Nella pagina del Vangelo dei discepoli di Emmaus, verso la conclusione del racconto, si annota che i discepoli dicevano così: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». E, negli Atti degli Apostoli, Pietro si rivolge a un uomo storpio, che chiede l’elemosina, dicendo: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!». In queste due parole è sintetizzata la figura del Papa, di questo Papa come di ogni Papa, perché ogni Papa è il testimone della risurrezione del Signore, colui che conferma in questa fede, ed è colui che la fede l’annuncia, la proclama, la testimonia fino ai confini del mondo. Questa è l’identità, sempre, vera del Successore di Pietro. Lo è stata per Papa Francesco, come per ogni altro Papa.

Partendo da qui, possiamo meglio capire alcuni tratti che hanno contraddistinto il pontificato di Papa Francesco, perché sono tutti tratti che discendono da questa verità, la declinano secondo le caratteristiche, le particolarità, la storia, il temperamento che, come ogni uomo, questo Papa ha portato con sé, anche nei giorni del suo pontificato.

Un primo tratto: la misericordia. Tutti sappiamo come il Papa abbia voluto un Giubileo sulla misericordia. E tutti sappiamo bene quanto sia tornato su questa verità, così centrale nell’esperienza della fede. Certamente, tutti abbiamo sentito da lui queste parole: «Guardate che il Signore non si stanca mai di perdonare! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono e di andare a lui per ricevere il suo abbraccio di amore e di misericordia». Ricordo ciò che avvenne nella Basilica di San Pietro in occasione della prima liturgia penitenziale presieduta dal Papa in occasione della Quaresima. Era il momento in cui tutti i sacerdoti si disponevano nei confessionali per ascoltare le confessioni dei presenti. Il Papa desiderò confessare come gli altri sacerdoti. Io ero chiamato ad accompagnarlo al suo confessionale. Quando fummo vicini al confessionale, preparato per lui, improvvisamente cambiò strada. Andò vicino a un altro confessionale e si inginocchiò davanti a un confessore che rimase allibito. Poi fece la sua confessione in modo che tutti lo vedessero. In sacrestia, al termine della celebrazione, mi disse: «Scusa se non ti ho dato retta e sono andato per un’altra strada, ma ci tenevo tanto a confessarmi, perché questo gesto del Papa aiutasse tutti a capire la bellezza della confessione, a capire la bellezza della misericordia di Dio, a capire che è motivo di grande gioia accostarsi al Signore e chiedere perdono».

Un secondo tratto: la gioia del Vangelo. Tutti sappiamo che il Papa ha dedicato alla gioia del Vangelo la prima Esortazione apostolica: Evangeli Gaudium. Quante volte lo abbiamo sentito ripetere, con il suo linguaggio diretto, popolare: «Mi raccomando, non abbiate quel volto! Non abbiate quel volto da funerale! Non abbiate quel volto da peperoncini! Non abbiate quel volto da musoni! Perché chi incontra il Signore e vive del suo Vangelo non può non essere nella gioia e portare la gioia in mezzo al mondo». Ricordo anche che una volta mi confidò: «Vedi, a me piace molto andare in mezzo alla gente, andarci con il sorriso sulle labbra, compiendo anche qualche gesto che può apparire un po’ fuori dalle righe. Voglio, in tal modo, comunicare la gioia del Signore! Voglio che tutti possano toccare con mano che appartenergli e vivere il Vangelo è la gioia vera della vita!».

Un terzo tratto. Gli abbiamo sentito tante volte ripetere questa parola, che poi è diventata uno slogan e non sempre del tutto compresa fino in fondo: “La Chiesa in uscita”. Il Papa desiderava che la Chiesa uscisse perché, dopo essere stata col suo Signore, andasse in mezzo al mondo per annunciare, con coraggio, con audacia, a tutti, la salvezza nel Signore. Forse ricorderete quella parola ripetuta per tre volte, nell’ultima GMG a Lisbona: «Todos Todos, Todos!» – «Tutti, tutti, tutti!». Che cosa voleva dire, il Papa? Che la Chiesa non può non avere nel cuore il desiderio di raggiungere tutti, mettersi in ascolto di tutti, entrare in dialogo con tutti, per portare a tutti la bellezza del Vangelo che salva e del Signore che è il Salvatore! Ecco la Chiesa in uscita che Francesco portava nel cuore e che non si è stancato di indicare come volto più autentico della Chiesa. Una parola, una delle prime, che ha detto a riguardo, è stata questa: «Preferisco una Chiesa incidentata che una Chiesa malata perché ripiegata su sé stessa!» E così voleva dire: «Preferisco una Chiesa che vada per le strade del mondo, che annunci il Vangelo ovunque e a tutti, e che, a volte, annunciando il Vangelo si possa anche far male, piuttosto di una Chiesa che sia ripiegata su di sé e si dimentichi che c’è un mondo che attende la parola del Signore e la sua salvezza».

Un quarto tratto: la sinodalità. Noi stessi siamo stati coinvolti in questo cammino sinodale. Un cammino che il Papa ha voluto, con caparbietà; e lo ha voluto – questo me lo disse diverse volte personalmente, anche dopo che fui diventato vescovo – non tanto perché si redigessero dei documenti. Ripeteva: «La priorità del Sinodo non è quella di fare altri documenti. A me interessa, soprattutto, che questo tempo del Sinodo, questo cammino sinodale, aiuti tutti noi a vivere in un modo più significativo, più vero, più profondo, la comunione, la partecipazione, la corresponsabilità, l’essere davvero un corpo solo che cammina nel tempo con la forza dello Spirito Santo». Anche perché – lo sapeva bene il Papa – la missione si realizza soltanto dove c’è la comunione; ed è soltanto la carità all’interno della Chiesa, la comunione all’interno della Chiesa, l’essere insieme all’interno della Chiesa il terreno su cui feconda l’annuncio della salvezza nel Signore e nel suo Vangelo.

Un quinto aspetto: la Madonna. Sappiamo quanto Francesco sia stato devoto della Madonna. Suo desiderio, espresso anche nel testamento, è stato quello di trovare sepoltura presso la Basilica di Santa Maria Maggiore, vicino alla Cappella della Salus Populi Romani, dove egli tante volte si è recato durante il pontificato, prima e dopo ogni viaggio, e in numerosissime altre circostanze. Voglio ricordare due episodi, in particolare, riguardo a questo aspetto della devozione mariana del Papa. Eravamo agli inizi del pontificato, forse il secondo anno, e in piazza San Pietro era presente la statua della Madonna di Fatima. Il Papa doveva compiere un gesto di venerazione verso la Madonna e si era pensato, insieme a lui, al dono di un rosario che il Papa avrebbe collocato tra le mani della Santa Vergine. Mi misi alla ricerca del Rosario, ma non trovai nulla di significativo, se non un Rosario molto bello, dorato. Devo dire che ero un po’ in imbarazzo, perché sapevo già bene che il Papa amava le cose semplici, povere. Il tempo però era poco e altro non si trovava. Andai allora dal Papa e dissi: «Padre Santo, ho trovato un Rosario, che spero sia adatto come dono alla Madonna». Egli mi rispose: «Bene, bene, bravo!» E poi aggiunsi, con un po’ di timore: «È un Rosario d’oro». Ero pronto a sentirmi dire: «No, no!». Invece, mi disse: «Va benissimo, perché con la Madonna non si fanno calcoli. Va benissimo un Rosario d’oro. Alla Madonna si sona il meglio che si ha». Durante quella celebrazione, poi, era previsto che la statua della Madonna di Fatima fosse portata in processione, dall’obelisco di piazza San Pietro fino al luogo da cui il Papa presiedeva la preghiera mariana, in cima al sagrato della piazza. Mentre la processione si stava avvicinando, il Papa si rivolse a me e, prima che la statua della Madonna salisse le scale del sagrato, mi disse: «Vieni, vieni con me! Alla Madonna si va incontro, non la si fa aspettare!». E scendemmo insieme la scalinata per accogliere la statua della Madonna. Ecco, questa è stata la devozione per la Madonna del Santo Padre: una devozione profonda, ma anche semplice, popolare.

Un quinto tratto: i poveri. Papa Francesco ha avuto a cuore i poveri. Ha avuto a cuore tutti i bisogni dell’umanità. La sua non era una posa. Un giorno in sacrestia, dopo un incontro con della povera gente, l’ho visto piangere. E piangeva davvero! Perché avvertiva la povertà dell’uomo, in ogni sua forma, come un dolore suo, un dolore personale, un dolore che gli toccava il cuore. Piangeva davvero, con le lacrime, nel segreto di una sacrestia, ricordando un incontro che aveva avuto con uno di questi poveri. E quando, dopo pochi giorni dalle elezioni a Pontefice, andammo in un carcere minorile, mi ricordo che, prima della Messa, disse così: «Lo sai che ogni volta che vengo in uno di questi luoghi mi domando: Perché loro e non io? Potevo esserci io». E poi aggiunse: «Pensaci!». Ecco la verità di questo amore autentico per i poveri e per ogni bisogno umano, che portava nel cuore e che, ogni volta, che toccava con mano, lo faceva commuovere.

            Un sesto tratto: la pace. È stato un profeta di pace, spesso inascoltato. Un profeta di pace, anche oggi, inascoltato. Francesco è stato una voce che non si è stancata di risuonare, ma spesso inascoltata. Chissà se verrà poi ascoltata. Certo, ha avuto a cuore la pace, la pace tra i popoli, la pace tra le nazioni, la pace nel mondo, a partire dalla pace nel cuore di ogni uomo. E non si è stancato di proclamarla, di annunciarla, di chiederla, come dono per questa nostra povera umanità in guerra. È stato il primo, profeticamente, che, prima che le cose prendessero una certa piega disse: «Guardate, non ce ne accorgiamo, ma siamo dentro una guerra mondiale a pezzi». Aveva l’intuito dell’uomo di Dio, che desiderava la pace e vedeva già a distanza i pericoli, che ancora non erano evidenti, ma che già erano seminati in tanti cuori e in tanti popoli.

Il mondo. Ha amato appassionatamente il mondo e una cosa che mi è sempre rimasta impressa è che era a tutto. A tutto. Perché tutto ciò che riguardava l’uomo lo interessava, tutte le espressioni dell’umanità lo interessavano, tutto ciò che aveva a che fare con l’uomo era nel suo cuore e se lo prendeva a cuore. Ha voluto essere – per usare una parola, forse, non completamente esatta – un po’ il parroco del mondo. Pensate alle telefonate fatte alla gente comune o ai biglietti autografi, che ha inviati in ogni parte del mondo. Aveva il mondo nel cuore e, forse, questo aspetto del suo pontificato si è cristallizzato una volta per sempre nella storia, in quel 27 marzo 2020, anno del Covid, quando il Papa apparve solo in piazza San Pietro: gli occhi del mondo erano su quella piazza, gli occhi del mondo erano sul Papa. Il Papa, in quel momento, portava con sé, davanti al Signore il mondo intero. Quella, forse, rimarrà l’immagine più bella di un Papa che, davvero, ha portato nel mondo il proprio cuore, sempre.

Un’altra caratteristica: la sua umanità e la sua capacità di empatia. Erano i primi giorni, dalla sua elezione, quando, un giorno, ricevetti una telefonata da numero sconosciuto. Presi il telefono e dissi: «Pronto?» Dall’altra parte sentii: «Pronto, sono Papa Francesco!»

Potete immaginare… rimasi per un istante in silenzio, senza parole. E lui, per sciogliere il ghiaccio, mi disse: «Oh, non mordo mica. Tranquillo!». Era la prima volta che mi capitava, non era abituale che il Papa chiamasse direttamente. E questo è capitato tante volte, poi, nel corso del pontificato. Come anche i momenti belli insieme, perché il Papa, sapeva scherzare, sapeva essere ironico. Certe cose, forse, dal di fuori non si riescono a immaginare, ma quando le si vivono dal di dentro, si coglie l’umanità di un Papa. Ovviamente sapeva che ero genovese e non mancava mai di ricordarmelo.

Una volta, entrando in sacrestia, prima di una celebrazione in San Pietro, mi disse: «Voi genovesi siete strani». Gli dissi: «Ma perché, Santo Padre?» «Mi hanno detto che non sapete dire grazie mille. Riuscite solo a dire grazie cento?» Una tra le tante che mi disse. Questa, anche, era la sua umanità. Forse avete sentito – perché questo lo diceva spesso – che, qualche volta, quando salutavo dicendo: «Santo Padre!». Lui, subito, prontissimo, rispondeva: «Santo figlio, che cosa c’è?» Ecco, questa era la sua umanità che lo ha reso vicino alla gente.

E, poi, c’è un ultimo aspetto: il coraggio e la libertà. Ha desiderato contribuire alla riforma della Chiesa. La Chiesa, in ogni tempo della storia, ha bisogno di essere riformata, nella sua dimensione umana. Perché il tempo produce incrostazioni, meccanismi che ormai non girano più come dovrebbero e che, con coraggio e libertà, ha cercato di dare il proprio contributo in questa direzione. E questo, non sempre, l’ha reso gradito. Il giorno della sua prima celebrazione di insediamento, come Papa, potete immaginare quale tripudio ci fu in piazza San Pietro. Ritornando in sacrestia, pensate che cosa disse: «Vedi, oggi questo tripudio della gente in piazza San Pietro mi ha fatto pensare all’ingresso di Gesù in Gerusalemme. E, allora, subito dopo mi sono detto: Ricordatelo quando verranno i giorni poi della passione e della Croce» E così è stato, perché così è per tutti i Papi, così è per chi vuole davvero seguire il Signore, fino in fondo, con fedeltà e coraggio.

Ecco alcune caratteristiche. Certo, ce ne potrebbero essere molte altre. Tutte, però, discendono da quell’incontro con il Risorto, il Vivente; da quel suo confermare la fede nel Risorto, il Vivente; da quell’annunciare, senza stancarsi, la salvezza in Gesù risorto, vivente.

Concludo. Abbiamo voluto bene, tanto bene, a questo Papa. Ora, ci prepariamo a voler bene, tanto bene, al Papa che il Signore ci darà, perché gli uomini, con i loro nomi, passano, anche i pontefici, ma il Papato rimane. Questo dono straordinario del Signore alla sua Chiesa. Noi vogliamo bene al Papa, perché è il Papa, qualunque sia il suo nome. Allora, preghiamo per il Papa che verrà, preghiamo per il cammino che attende la Chiesa nel prossimo tempo. Questa sia la nostra preghiera di questa sera e dei prossimi giorni. Papa Francesco, certamente, ne è molto contento.