Poche parole e ben dette
Chiesa di San Benedetto in Piscinula, 11 dicembre 2008
Quanto mi viene richiesto in questa serata è una testimonianza. Lecita, dunque, è una domanda: chi è colui che può testimoniare? Chi ha incontrato, visto e sentito. Io, per grazia, ho incontrato il Cardinale Giuseppe Siri, l’ho visto e l’ho sentito.
Ho parlato di grazia e non a caso. Ritengo, infatti, che sia sempre una grazia del Signore avere l’opportunità di fare la conoscenza di uomini grandi. Grandi non perché tali davanti al mondo – è questa una ben piccola e povera grandezza -, ma perché grandi davanti a Dio. E di questa grandezza intendo parlare quando mi riferisco al Cardinale Siri. In lui l’ho incontrata.
La Provvidenza di Dio l’aveva dotato di moltissimi talenti, tra i quali spiccavano la sua ricca umanità, la luminosa e non comune intelligenza, la nobiltà dell’animo, un tratto signorile e austero ma altrettanto autenticamente buono e semplice. In virtù dell’opera della grazia, di una diuturna ascesi personale, di una fede intensa e di un’appartenenza ecclesiale fedelissima questi talenti hanno potuto risplendere per il bene di molti, moltissimi: ancora adesso. Tra questi vi sono anch’io.
Ho avuto modo di avvicinare il Cardinale Siri la prima volta quando frequentavo il Liceo Classico presso una delle scuole statali della mia città. Da poco avevo cominciato ad essere assiduo alla vita della Chiesa e già riflettevo sulla prospettiva di entrare in Seminario al termine del mio percorso scolastico superiore. Ebbi l’opportunità di partecipare in diverse circostanze a Celebrazioni Eucaristiche presiedute dall’allora Arcivescovo, alcune volte anche servendo la Messa come ministrante.
Più tardi, ormai seminarista, avrei avuto modo di ascoltare la predicazione del Cardinale con più continua frequenza, ripercorrendo i grandi momenti dell’anno liturgico, anche a motivo del servizio che, come Seminario, si prestava in Cattedrale nelle feste, nelle solennità e negli eventi significativi della vita diocesana, come è consuetudine ancora oggi.
Ed è a partire da qui che prende forma la mia testimonianza, ovviamente limitata all’ambito delle omelie, alcune delle quali sono state pubblicate nel volume questa sera presentato e curato dal mio caro confratello nel sacerdozio e amico dai tempi del Seminario, Mons. Antonio Filipazzi.
Si sa, i giovani, tra le diverse caratteristiche tipiche della loro età, hanno quella di essere molto esigenti. Anche quando si pongono in ascolto di un’omelia, che loro vorrebbero sempre inappuntabile sotto ogni punto di vista, vale a dire perfetta.
Quelle del Cardinale ho l’ardire di affermare che, se è possibile nelle cose umane parlare di perfezione, perfette lo erano; o almeno a me davano allora questa impressione e così io oggi me le ricordo. La mia mamma, che in tante occasioni aveva ascoltato Siri predicatore, amava ripetere spesso, con un accento di meraviglia: “Come predica bene il Cardinale Siri!”. Ritornerò più avanti su questo apprezzamento della mia mamma e ne spiegherò il perché.
- Rimanendo in ascolto delle omelie di Siri non era possibile annoiarsi. Al dono della sinteticità si accompagnava l’altro grande dono di un’estrema chiarezza del pensiero. Non credo che un’omelia del Cardinale abbia mai superato i dieci minuti, almeno io non lo ricordo. Eppure in quel breve tempo era detto tutto ciò che era da dire: né più né meno. E quelle parole rimanevano ben impresse nella mente e nel cuore. Nella mente, per la limpidezza del discorso e la chiarezza dei singoli passaggi; nel cuore, per la profondità religiosa e sapienziale dei contenuti. A noi seminaristi ricordo che una volta disse: “Mi raccomando: quando avrete da fare le omelie non superate i sette-otto minuti. Si può dire tutto in sette-otto minuti”. E aggiungeva, con la saggezza del grande pastore: “Se avrete parlato bene, tutti saranno contenti; se sarete stati noiosi, tutti saranno contenti ugualmente, perché non l’avrete fatta tanto lunga”.
- Dicevo la chiarezza del pensiero. Mi ha sempre affascinato la capacità di Siri di rendere semplice anche ciò che era oggettivamente complesso e articolato. Ma si sa, questa è la virtù dei grandi oratori; rendere accessibile a tutti, pure ai meno dotti, le verità più complesse e impervie, anche della fede. Il Cardinale appariva, a me giovane, come il grande artista per il quale compiere un esercizio difficilissimo diventa estremamente semplice, quasi che non debba comportare un allenamento estenuante, una profusione di energia e di talento. Siri era il grande artista della fede che, con le sue non comuni doti intellettuali e spirituali, sapeva “spezzare” le verità della dottrina cristiana in modo tanto semplice quanto affascinante. Al termine di una sua omelia ci si fermava a riflettere e a dirsi: “E’ proprio così! Come sono belli i misteri della vita del Signore! Come vorrei vivere nella luce di quanto ho ascoltato!”.
- Tipico dell’arte omiletica del Cardinale era il tono: a tratti severo, altre volte commosso, in alcuni momenti esortativo e suadente, spesso lapidario. Soprattutto questa ultima caratteristica faceva sì che difficilmente ci si potesse dimenticare di quanto si era ascoltato. Quante volte ho sentito dire, ad esempio, dai sacerdoti: “Ciò che il Cardinale ha detto il giorno della mia ordinazione non potrò mai dimenticarlo”. Nelle orecchie rimaneva il contenuto delle sue parole e, insieme, il tono con il quale erano state pronunciate. Ed era un messaggio al cuore che durava per la vita. Io stesso ho potuto fare in prima persona questa esperienza. Confido che di tanto in tanto mi ritorna alla mente qualche parola pronunciata da Siri in quella o in quell’altra circostanza liturgica. Con la parola mi si affaccia alla mente la figura ieratica del grande Cardinale, ne risento il timbro inconfondibile della voce. E avverto che quella parola, un giorno donatami, rimane nell’oggi fedele compagna di viaggio a illuminare i passi del mio sacerdozio.
- In merito al tono ho usato anche la parola “commosso”. Può sembrare strano questo tratto nella personalità, tra l’altro marcatamente genovese, del Cardinale Siri. Chi conosce l’animo profondo di Genova e dei suoi abitanti, sa che raramente si è disponibili a mettere in mostra i propri sentimenti, se non con chi ci è particolarmente familiare e dopo un tempo prolungato di frequentazione. Non si è lontano dal vero se si afferma che per il Cardinale non era fuori luogo esternare sentimenti ed emozioni nel contesto dell’assemblea liturgica: perché quella era la sua famiglia, la sua famiglia carissima. E tuttavia, si può aggiungere che, spesso, era il tema trattato a suscitare il movimento del cuore in Siri pastore d’anime. Ho in mente, soprattutto, le splendide omelie pronunciate nella grande solennità dell’Immacolata, in quella che era la sua parrocchia di origine – la chiesa dell’Immacolata, appunto – e della quale, come ogni Arcivescovo di Genova, era nativamente abate parroco. Lì, davvero, spesso si lasciava andare. Era l’ambiente umano e spirituale che lo permetteva. Ma era anche il pensiero della Vergine Santa, della quale era devoto in modo filiale e, mi permetto di dire nel senso più bello del termine, fanciullesco. La sua, ovviamente, era una devozione radicata nella grande teologia, ma anche calda e affettuosa. E come tale sapeva comunicarla.
Aggiungo che, a proposito della commozione, tra noi seminaristi girava la notizia che, ogni tanto, il nostro Cardinale, proprio per non cedervi, portava con sé, nella mano, un temperino con il quale era pronto a pungersi, quando durante l’omelia avesse preso il sopravvento l’aspetto emotivo. Penso che il piccolo segreto trapelato fosse vero e conferma, se ce ne fosse bisogno, l’animo molto sensibile di Siri, il suo essere geloso dei sentimenti più intimi, il suo amore delicato e intenso per le cose di Dio.
- La teologia del Cardinale Siri. Tutti ben conoscono la sua straordinaria levatura teologica. Non è questo il contesto per ricordarla nel dettaglio. Solo mi è caro testimoniare quanto in lui, nell’omiletica, la teologia si sia coniugata con la spiritualità. In tal modo, l’omelia era sempre ricca di dottrina e, al contempo, assai stimolante per la vita cristiana e gli impegni nell’ordine della pratica morale. Le verità della fede, celebrate liturgicamente, erano portate alla luce per essere contemplate. Quindi, se ne rendeva chiaro il riferimento all’esistenza quotidiana, conservando integro il rapporto di complementarietà tra contemplazione e azione. L’omelia, con il Cardinale Siri, diventava via maestra alla partecipazione attiva alla celebrazione, se per partecipazione attiva si intende l’incontro della mente e del cuore con il mistero di Dio, nei segni propri della Liturgia, così da rimanerne trasformati in ordine alla progressiva santificazione.
- Un mio ricordo caro è quello legato alle visite che il Cardinale faceva al nostro Seminario, in occasione della festa di San Luigi. Era, quella, anche la festa del Seminario e si concludeva l’anno accademico insieme all’anno di formazione, così come accade anche oggi. Per noi seminaristi la Messa presieduta dall’Arcivescovo era un momento molto forte di quella giornata. E, in modo particolare, si attendeva l’omelia. Un’omelia sempre fondata sui testi liturgici della festa, sempre attenta alle note biografiche del Santo, sempre protesa a indicarci le mete spirituali a cui tendere nel tempo della preparazione al sacerdozio. In tanti modi il Cardinale faceva sentire a noi, suoi seminaristi, il bene che ci voleva. Basti pensare alla frequenza settimanale con la quale non mancava mai di farci visita, rimanendo disponibile un intero pomeriggio per incontri personali e di classe. Ma, certo, il momento della predicazione dava modo al cuore del nostro Pastore per manifestare l’affetto intenso, vero nutrito per noi. Si capiva che per il tramite della parola egli desiderava comunicarci i tesori della fede e della dottrina, introdurci al desiderio appassionato per la verità, stimolarci a una vita di santità, additarci l’amore fedele alla Chiesa. Insomma, accompagnarci ad essere un domani sacerdoti secondo il cuore del Signore. E lo si sentiva benissimo!
- Non l’ho mai visto leggere un’omelia. Il suo era un procedere “a braccio”. Non perché non si preparasse. No di certo. Piuttosto perché si preparava molto bene e aveva il dono di far fluire le parole senza l’appoggio di testi scritti. In tal modo, tra l’altro, era nella condizione di modulare quanto diceva facendo riferimento alla situazione concreta dell’assemblea e al clima spirituale che si andava profilando. E, perché no, lasciandosi anche portare dall’ispirazione del momento. Poteva guardare il volto della sua gente e la sua gente poteva guardare il suo volto: e prendeva vita quel dialogo della salvezza che fa tornare alla mente la predicazione del grande Sant’Agostino. Qualcuno si domandava: “Come fa il Cardinale a parlare a braccio, a volte anche con frasi incidentali impegnative, senza mai perdere il filo del discorso?”. Doni di natura e doni di grazia, che ancora oggi in me suscitano meraviglia.
- E’ da quasi vent’anni che sono sacerdote. E mentre gli anni passano, come capita a tutti, avverto sempre più intenso il desiderio di ritrovare le radici di quanto si è sviluppato in me nel corso del tempo. Così a volte mi sono domandato a che cosa devo l’amore per la Liturgia. Forse i motivi da andare a ricercare sono molteplici. Eppure, non faccio fatica a ritrovare una radice viva di questo mio amore nell’esempio lasciatomi dal Cardinale Giuseppe Siri. Bella, ma lunga e articolata, sarebbe una memoria della Liturgia della Chiesa nell’insegnamento e nella pratica del Cardinale. Credo che possa bastare questo: in lui, realmente, l’omelia era un momento qualificante dell’atto liturgico: il libro che oggi viene presentato lo attesta. Attraverso l’omelia, si era accompagnati alla comprensione del mistero celebrato. Così la parola apriva la mente e il cuore alla celebrazione e la celebrazione appariva l’esplicitazione della parola proclamata.
A questa scuola, che giudico altissima, ho appreso l’amore per la Liturgia della Chiesa. Le omelie del Cardinale Siri, per diversi anni, gli anni della mia giovinezza e della mia formazione al sacerdozio, mi hanno accompagnato all’esperienza viva del mistero del Signore e della Chiesa nella forma della celebrazione liturgica.
Questa mia testimonianza, allora, è anche un rendimento di grazie dovuto. Al Cardinale Giuseppe Siri, per avermi introdotto alla conoscenza e all’amore per la Liturgia, anche attraverso le sue omelie. E al Signore, – così vorrebbe il Cardinale con il suo celebre motto “Non nobis, Domine, non nobis” – per avermi dato la grazia di incontrare un grande uomo di Chiesa.
Che cosa dire di questo bel volume che oggi è stato presentato? Mi ci sono ritrovato, o meglio, vi ho ritrovato il Cardinale Siri, con l’esperienza personale che ho avuto di lui a Genova: la sua parola, il tono della sua voce, il tratto inconfondibile della sua arte omiletica. Ed è per questo che è un volume da leggere, da meditare e a partire dal quale decidersi per una vita cristiana migliore. Farà del bene a tutti. Certamente farà del bene soprattutto a noi sacerdoti, se vorremo trovare in queste omelie uno stile, antico e moderno, sempre attuale, che vale la pena cercare di imitare.
Ritorno, a conclusione di questa testimonianza, alla mia mamma, grande ammiratrice del Cardinale Siri e ora in Paradiso. Da quando sono diventato sacerdote, spesso, prima che uscissi di casa per andare a celebrare la Messa o a tenere qualche predicazione, mi diceva: “Mi raccomando, Guido, non farla tanto lunga: poche parole e ben dette!”. Quanta saggezza in queste parole della mia mamma e quanta eco dello stile di Giuseppe Siri. Anzi, in fondo, proprio una sintesi di quanto ho cercato di testimoniare di lui e delle sue omelie.