Roma, Istituto Ravasco
All’inizio della Santa Messa
Da giovane sacerdote ebbi l’opportunità di leggere un bel libro del Card. Ratzinger, che si intitolava “Collaboratori della vostra gioia”. Era una raccolta di testi del Cardinale, indirizzati ai sacerdoti. Il titolo riprendeva una frase usata da San Paolo, nelle sue lettere, a proposito dei pastori di anime. I Pastori – i sacerdoti, i vescovi – sono appunto questo: i collaboratori della gioia della loro gente, dei loro fedeli, del loro popolo. E lo sono nella misura in cui portano a Dio.
Questa sera, ancora una volta, desidero con tutto il cuore essere collaboratore della vostra gioia: insieme vogliamo stare alla presenza del Signore, insieme ascoltiamo la Sua parola, insieme ci nutriamo del Suo corpo e del Suo sangue. Per me sacerdote, celebrare il XXV anniversario dell’ordinazione sacerdotale non significa, non può e non deve significare un’auto celebrazione. Non voglio che gli occhi siano puntati su di me. Se così fosse non sarei un vero collaboratore della vostra gioia. Ancora una volta desidero con tutto il cuore che gli occhi di tutti siano orientati al Signore, perché così sarò un vero collaboratore della vostra gioia e rimarrò fedele alla mia vocazione e al più grande desiderio del mio cuore sacerdotale.
Perché possiamo stare alla presenza del Signore e gustare la gioia che ne consegue, con umiltà, verità e sincero pentimento riconosciamo i nostri peccati.
Omelia
- In questa settimana la preghiera della Chiesa ci esorta a rivolgerci al Signore così: “Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere”.
E’ una preghiera bellissima, soprattutto perché ci conduce al centro e al cuore della vita cristiana, della vita della fede. In che cosa consiste questa, infatti, se non nel cercare con assiduità la volontà del Signore, nel conoscerla e nel praticarla concretamente nelle parole e nelle opere? La nostra giornata dovrebbe iniziare sempre così, avendo sulle labbra questa preghiera che ogni volta ci riporta al centro dell’esperienza cristiana.
Seguire il Signore, uniformarsi al Suo volere non è un peso, ma è la bellezza della vita, il senso della vita, la pienezza della vita. Abbiamo, forse, timore della volontà di Dio? Ma Dio è Amore, e ciò che Egli vuole da me e per me è ciò che più di ogni altra cosa corrisponde a quanto il mio cuore cerca, alla meta verso la quale la vita è orientata.
Il testo della bella preghiera, di conseguenza, sottintende un particolare decisivo: il nostro desiderio. Noi potremmo dire le parole di quella preghiera senza animarle di un vero e vivo desiderio. Sarebbero, allora, parole vuote e senz’anima. E’, dunque, importante domandarsi: desidero conoscere la volontà di Dio? Desidero attuare questa volontà nelle parole e nelle opere della mia quotidianità? In altri termini, nel linguaggio personale della preghiera: “Desidero Te?”.
Spesso, forse, la nostra preghiera è povera di questo desiderio, che solo la rende vera. Altrimenti la preghiera, pur bella, rimane sterile e infeconda, alla fine falsa e superficiale.
Questa sera voglio essere collaboratore della vostra gioia, ricordandovi che la nostra preghiera deve essere animata da un grande desiderio di Dio; che, forse, prima di ogni altra richiesta, proprio il dono del desiderio del cuore dobbiamo richiedere al Signore. Saremo nella gioia vera se avremo un cuore che desidera Dio. E proprio perché lo desidera si pone ogni giorno alla ricerca della Sua volontà, per attuarla con fedeltà e prontezza nelle parole e nelle opere della vita. - San Giacomo, con la concretezza che gli è solita, si rivolge alla comunità cristiana con parole dirette e assai chiare: “Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri”. L’apostolo sta parlando dell’amore fraterno in un contesto in cui, probabilmente, la carità difettava e vi erano liti, contese, gelosie.
Ciò che, però, attira ancora di più la nostra attenzione è quanto Giacomo afferma un po’ più avanti nella sua lettera, quasi dando il motivo vero circa il suo richiamo a non lamentarsi gli uni degli altri: “…perché il Signore è ricco di misericordia e di compassione”.
In questo stupendo passaggio sta non solo il motivo ma anche la straordinaria bellezza dell’invito all’amore fraterno. Questo, infatti, non è semplicemente un comportamento morale da realizzare. E’ prima e piuttosto lasciare che l’amore misericordioso e compassionevole del Signore animi il cuore e trovi espressione nella nostra vita. Questa è la carità secondo il vangelo: non uno sforzo semplicemente umano nel bene, ma l’espressione dell’amore di Dio a noi donato, che prende forma nelle parole, nelle opere, nei pensieri, nei giudizi, nello stile di chi ha la fede. La carità è Dio stesso che ama attraverso il piccolo cuore umano.
Quest’oggi ho avuto modo di leggere un discorso molto bello che Papa Francesco ha rivolto ai membri della Congregazione dei Vescovi, tracciando la carta d’identità che deve essere propria di un Vescovo. Al Papa stava a cuore mettere in rilievo le doti che contraddistinguono un sacerdote chiamato al grave compito dell’episcopato. Tra le doti il Santo Padre ha richiamato quella della pazienza, citando una frase del Cardinale Giuseppe Siri. Il grande porporato genovese ebbe, infatti, a dire: “La prima virtù del vescovo deve essere la pazienza, la seconda la pazienza, la terza la pazienza, la quarta la pazienza, la quinta la pazienza con chi gli dice di avere pazienza!”. Come a dire che la sua pazienza deve essere senza limite. Ma dove trovare questo “senza limite” se non nella pazienza di Dio? Ciò che vale per il vescovo, in modo diverso ma altrettanto vero vale per tutti, quando si parla di amore fraterno. Ma dove trovare l’ampiezza dell’amore fraterno secondo il Vangelo se non nel cuore immenso di Dio? E questo cuore vuole battere attraverso il nostro.
Voglio essere collaboratore della vostra gioia vera. E allora vi ricordo che la gioia vera del cristiano consiste proprio nell’amare al modo di Dio, nel lasciare che Dio ami attraverso il suo cuore. Non sarà il lamentarsi dell’altro che porterà alla gioia, non saranno le gelosie, le contese, le invidie, le liti a rendere gioioso il cuore. Ciò che lo renderà gioioso sarà lo spogliarsi di sé, della propria povertà nell’amore, perché lo possa abitare lo splendore della carità di Dio. - L’evangelista Marco, introducendo il dialogo tra Gesù e un gruppo di farisei, mette in luce, quasi come in una fotografia, l’avvicinarsi di una moltitudine di persone verso il Signore. C’è una folla che di nuovo va a Lui per mettersi in ascolto della Sua parola. E c’è un gruppo di farisei che va a Lui per metterlo alla prova. In questo modo l’evangelista delinea un diverso modo di andare al Signore.
Questo diverso modo ha a che fare forse con noi? E’ forse vero che a volte ci avviciniamo a Gesù come la folla desiderosa di ascoltarlo, mentre altre volte ci avviciniamo a Gesù per metterlo alla prova? Probabilmente è così. E questo accade quando andiamo a Gesù con superficialità, per abitudine, intestarditi a rimanere sulle nostre posizioni, distratti quasi sapessimo già che cosa ha da dirci, o addirittura poco interessati perché paghi della nostra infelice mediocrità.
Davvero spesso andiamo al Signore proprio come quel gruppo di farisei! E invece dobbiamo andarci diversamente: desiderosi di incontrare il Signore, di vederlo, di amarlo, di ascoltare che cosa ha da regalare con la Sua parola alla nostra vita, protesi a uniformare ogni aspetto della nostra quotidianità ai Suoi voleri e progetti.
Come andiamo a Gesù? Come ci avviciniamo a Lui? Questa domanda ci deve inseguire, ci deve animare, ci deve sollecitare. Dal modo in cui andiamo a Gesù deriva la qualità della nostra vita di fede, perché è il modo dell’incontro con il Signore che cambia e rende bella la vita. Ma se l’incontro con Lui non cambia la vita, questo vuol dire che il nostro andare a Lui non è quello che dovrebbe essere. Come ricorda in un brano della sua lettera san Giacomo, più noi ci avviciniamo a Dio e più Egli si avvicinerà a noi. E’ il nostro modo di andare incontro al Signore e di avvicinarlo che apre le porte all’ingresso di Dio nella nostra vita. E’ la misura della nostra fede, la misura del dono che Dio fa a noi di Se stesso.
Voglio essere collaboratore della vostra gioia vera. Andate a Gesù senza paura! Andate a Gesù con il cuore aperto e disponibile, senza chiusure e condizioni! Andate a Gesù con il desiderio vero di amarlo e di essere amati! Andate a Gesù con fiducia! Come si può non andare con fiduciosa attesa incontro all’Amore? Allora quell’incontro cambierà la vita, allora sarete nella gioia, allora risplenderete di una luce nuova.
Tutto questo l’ho detto per voi, ma tutto questo lo dico anche per me. Per tutti noi la radice della gioia, il contenuto della gioia è il Signore. E lo sarà se il nostro desiderio palpiterà per Lui, se il nostro cuore lascerà che il Suo amore lo abiti, se andremo a Lui aprendo incondizionatamente le porte della nostra vita.
Ora rimaniamo alla Sua presenza, continuiamo ad ascoltare la Sua voce, andiamo a nutrirci al mistero della Sua croce e risurrezione. E la nostra gioia sarà grande!
Al termine della Santa Messa
Prima della benedizione conclusiva, lasciate che dica una parola di grande gratitudine alla Madre Generale delle Suore Ravasco e a tutte le carissime Suore per la loro bontà e il loro affetto verso di me, per aver voluto celebrare il mio anniversario.
Grazie a tutti voi che mi avete dimostrato l’affetto venendo qui questa sera e pregando per me. Il Signore tutti vi ricompensi.
Uscendo verrà distribuita una immaginetta. E’ l’immaginetta ricordo del mio anniversario. E’ raffigurata una Madonna a me tanto cara: è la Madonna del Miracolo che è conservata nella chiesa di sant’Andrea delle Fratte, nel centro di Roma. Di fronte a questa Madonna si verificò, alla fine dell’800, una grande conversione, quella dell’ebreo Alfonso Ratisbonne. Dopo la conversione qualcuno gli chiese: “Che cosa ti ha detto la Madonna?”. Ed egli rispose: “In verità la Madonna non mi ha detto nulla, ma io guardandola ho capito tutto”. Ciascuno di noi, guardando questa immagine, chieda questa grazia: di capire tutto quello che è necessario alla sua vita affinché sia una vita davvero secondo il vangelo, una vita santa.
Permettetemi che ritorni per un momento alla preghiera che con tanta bontà avete rivolto al Signore per me. Vi ritorno per suggerire un’intenzione particolare per la mia vita. Nella biografia del grande San Tommaso d’Aquino, l’insigne teologo della Chiesa del Medioevo, si racconta che un giorno, quando ormai era avanti negli anni, il Signore gli apparve e gli disse: “Tommaso, tu hai scritto e detto bene di me. Che cosa vuoi in cambio?”. A questa domanda, con il suo cuore bambino e innamorato, Tommaso rispose: “Signore, io non voglio nulla. Io voglio solo Te!”.
Vi chiedo di continuare a pregare per me e per questa intenzione: perché nella mia vita sia sempre presente e si accresca quest’unico desiderio, questa unica domanda innamorata: “Io voglio solo Te!”.