Celebrazione Eucaristica a Santo Spirito in Sassia per il Convegno dei Collaboratori Familiari del Clero
Rimaniamo in questo momento in ascolto della Parola che ci è stata donata e ripetiamo dentro di noi: “Signore voglio che questa tua Parola accenda del fuoco dell’amore il mio cuore e la mia intelligenza. Non perché non ci sia, ma perché sia ancora più intenso, ancora più vero, ancora più vivo. In particolare vogliamo oggi custodire nel cuore tre parole che il Signore ci ha rivolto.
La prima l’abbiamo ascoltata negli Atti degli apostoli. L’angelo si rivolge a Pietro che sta vivendo l’esperienza della prigionia del carcere. In sequenza gli dice: alzati, in fretta, seguimi. In questa parole è sintetizzata la vita cristiana, perché l’incontro con Gesù comporta proprio: alzarci dalla nostra vita mediocre, dal nostro peccato, dai nostri ritardi; alzarci e fare in fretta, non la fretta legata alle capacità fisiche ma la fretta interiore che è tipica di chi ama; alzarci e seguire, praticando la sua parola, vivendo nella sua volontà. “Alzati, in fretta, seguimi”: queste parole che l’angelo rivolge a Pietro custodiamole nel cuore e sentiamole rivolte a noi, adesso. Ricordiamoci che ogni incontro vero con Gesù non può non avere queste conseguenze nella nostra vita: che ci alziamo in fretta per seguirlo.
Una seconda parola l’abbiamo ascoltata da san Paolo. L’apostolo è al termine dei suoi giorni terreni e ormai vede approssimarsi l’incontro definitivo con il suo Signore, e dice: “Io vado verso Colui che potrà salvarmi nei cieli.” Paolo porta nel cuore una grande speranza, la speranza cristiana, la speranza del paradiso. Forse oggi, nella cultura in cui viviamo, e anche nel nostro modo di vivere la fede, non diamo eccessivo spazio a questa che è la vera speranza, il paradiso in Dio. Paolo ha vissuto la sua vita terrena spendendosi senza riserve, ma sapeva bene che quella vita non era tutto. Per lui camminare speditamente nella vita significava vivere con la speranza del paradiso. Noi apparteniamo a coloro che vivono per il paradiso; ce lo dobbiamo ricordare e dobbiamo testimoniarlo. Ogni incontro con il Signore è autentico se accende in noi la gioia della Patria definitiva, perché siamo fatti per quella Patria.
Una terza parola, l’abbiamo ascoltata nella pagina del vangelo, nel dialogo stupendo tra Gesù e Pietro. Gesù, ad un certo punto, rivolge ai suoi apostoli una domanda diretta: “Voi chi dite che io sia?” E’ una domanda che è rivolta anche a noi, oggi, e ci interpella in profondità. Perché può essere facile dire: “Sì, Gesù tu sei il Signore”; ma è proprio vero che quando facciamo questa affermazione ne traiamo tutte le conseguenze, rendendo Gesù il Signore della nostra vita? Quel Signore, riconosciuto e amato, alla luce del quale vivere, alla luce del quale pensare, alla luce del quale progettare le giornate, alla luce del quale considerare ogni aspetto della nostra vita quotidiana? Gesù ce lo chiede, Gesù me lo chiede. Tu, realmente, chi dici che Io sia per te? Ed è quasi come se lo sentissimo proseguire: non mi basta che tu dica: “Tu sei il Signore”; desidero che tu mi dica “Tu sei il mio Signore”, per il quale e con il quale vivo ogni aspetto della mia esistenza quotidiana. L’incontro vero con il Signore non può non avere come conseguenza che cresca in me la consapevolezza bella e gioiosa che Lui è il Signore della mia vita e per Lui vivo realmente.
Queste tre parole sono come tre perle che oggi ci vengono date perché la nostra vita si riaccenda del fuoco dell’amore. Lasciamo che queste tre parole rimangano nel cuore e lo trasformino in profondità.
Perché abbiamo ricordato queste tre parole, sottolineando che identificano la verità del nostro incontro con il Signore? Perché noi, collaboratori e familiari del Clero, facciamo parte di coloro che vivono accanto ai sacerdoti e che spendono parte della vita, o forse tutta la vita, per loro e per vivere al loro fianco. Il primo grande dono che possiamo e dobbiamo fare a loro è di crescere spiritualmente. Infatti, tanto quanto un Familiare è vicino a Gesù e cresce nella sua vita di santità, altrettanto può stare accanto al sacerdote come un dono prezioso per la sua vita. Certo un Familiare del Clero, sostiene, è presente in tanti modi, ma c’è questa presenza fondamentale che è la sua crescita in santità, il dono più bello che un Familiare può e deve fare al suo sacerdote.
Termino ricordando un episodio della vita di S. Francesco d’Assisi. Un giorno camminava insieme a un suo frate e, mentre camminava, gli si accostò un anziano contadino. Si accostò e lo guardò con un po’ di curiosità. Poi gli disse: “Tu sei quel frate Francesco di cui sento tanto parlare?” E Francesco rispose: “Sì, sono io frate Francesco”. L’anziano allora gli disse: “Sento parlare tanto di te; comportati bene perché hai una grande responsabilità di fronte agli altri. Il tuo vivere bene sarà una cosa bella per tutti. Ma il tuo vivere male sarebbe una cosa terribile per tutti”.
Vi ho ricordato questo episodio della vita di S. Francesco perché la chiamata di un Familiare del Clero, oltre nella crescita personale alla santità che è un dono per il sacerdote che serviamo, deve realizzarsi anche nel richiamo delicato, a volte fatto di parole, ma più spesso fatto con la vita, che dice amabilmente ma con decisione: “Ricordati’ che tu hai una grande responsabilità. Sii un sacerdote santo, perché dalla sua santità dipende la vita di tanti fratelli”.
Nella preghiera chiediamo, oggi, non soltanto di custodire e vivere le tre parole che il Signore ci ha donato nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, perché ci riscaldino il cuore nell’amore a Gesù, ma anche di vivere fino in fondo la nostra bella vocazione di stare accanto ai sacerdoti: crescendo in santità di vita e diventando un richiamo quotidiano, bello, vero, sincero, amante, che dice: “Sii santo, perché la Chiesa e il mondo ne hanno bisogno”.
Sintesi dal parlato