Vespri nella Solennità della Conversione di san Paolo
Celebriamo oggi, 25 gennaio, la festa della Conversione dell’Apostolo Paolo.
È una festa che si addice in modo singolare alla Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani, ed è proprio per questo che segna la giornata conclusiva di questa settimana.
Ci domandiamo perché. Perché considerare la conversione e, in particolare, ciò che in questa conversione ha vissuto san Paolo, ci aiuta a trovare le radici della vera comunione tra noi e del cammino verso l’unità, che tutti, con desiderio, e con impegno sincero, stiamo percorrendo.
Quali dunque queste radici?
Paolo è sulla via verso Damasco, vuole recarsi là per perseguitare con vigore la comunità cristiana, che egli detesta con tutte le sue forze. Ma mentre è in viaggio, fa un’esperienza straordinaria.
È Gesù stesso, il Risorto, il Vivente che gli appare e gli sbarra la strada, come luce sfolgorante lo rende cieco, e gli fa capire che Lui, il Risorto, d’ora in avanti, dovrà essere tutta la sua vita.
Paolo qui si converte, e la sua conversione è esattamente un incontrare il Signore in un modo tale che quel Signore diventerà il cuore, il centro dell’esistenza di Paolo, sarà davvero tutto per lui, che potrà dire e scrivere: «Tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui». Gesù diventa tutto. In una bellissima omelia, proprio sull’apostolo Paolo, San Giovanni Crisostomo sottolinea che per Paolo godere dell’amore di Cristo era tutto e valeva più di ogni altra cosa.
Perché questo aspetto della conversione dell’Apostolo è importante per cogliere le radici della comunione e del cammino verso l’unità? Perché queste radici sono proprio qui, nel nostro convertirci al Signore Gesù, nel nostro stare vicini al Signore Gesù, nel nostro fare del Signore Gesù il cuore, il centro e il tutto della nostra vita.
Se, infatti, noi siamo uniti al capo diventiamo un corpo, se noi siamo una cosa sola col capo che è Cristo, diventiamo una carne sola nel Suo corpo. Più siamo vicini al Signore, più siamo vicini tra di noi. Più ci convertiamo a Lui, più sperimentiamo la bellezza e la gioia della comunione tra noi. Più cresce l’amore per Lui, più cresce l’amore tra noi, che siamo Suo corpo e siamo Sue membra.
Oggi, dunque, festeggiando, con gratitudine al Signore, la Conversione dell’Apostolo Paolo, consideriamo bene questa radice viva della nostra comunione e della nostra possibile, completa unità: convertirci a Gesù, introdurre sempre di più Lui al centro e al cuore delle nostre esistenze personali, delle nostre Chiese e comunità.
Paolo, nel momento in cui incontra il Signore, rimane cieco. Quella luce sfolgorante lo abbaglia e gli impedisce, per un certo tempo, di vedere. Poi riacquisterà la vista. Che significato ha anche questo perdere la vista e riacquistarla, nell’esperienza di Paolo?
Paolo chiude gli occhi su una realtà che ormai era diventata vecchia e li riaprirà su un mondo nuovo. Chiude finalmente quegli occhi che erano venati di sangue e di odio verso i discepoli di Gesù, e li riaprirà innamorati per i discepoli di Gesù, e per la Sua Chiesa.
Da occhi di odio diventano occhi di amore. Come è importante che anche questo elemento della conversione di Paolo sia un elemento qualificante della comunione tra noi e del cammino pieno verso l’unità! Perché è soltanto se cambiamo lo sguardo, il modo di guardarci, che possiamo vivere una pienezza di unità. Ciò accade e accadrà nella misura in cui i nostri occhi finiranno di essere velati dai rancori, dalle incomprensioni, dai pregiudizi, da ciò che non è amore, per essere limpidi nell’amore e nella carità. Non dimentichiamo allora anche questo, perché se come Paolo siamo chiamati a convertirci a Gesù sempre di più, come Paolo siamo chiamati anche a fare questa esperienza di passaggio da occhi che non sanno amare a occhi che finalmente sanno guardare con vero amore.
Oggi, però, durante la celebrazione dei Vespri, abbiamo ascoltato la stessa Lettura del giorno dell’Epifania: è la lettura evangelica scelta per questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. E aggiunge qualcosa di importante a quanto fin qui abbiamo sottolineato: soprattutto se consideriamo questo testo nel momento in cui i Magi, provenienti dall’Oriente, entrano nel luogo dove sta il Bambino. Lì che cosa fanno? Si prostrano, e adorano. Ovvero assumono l’atteggiamento delle persone oranti, che pregano. Quando si trovano davanti a quel bambino che andavano cercando, immediatamente non fanno nulla, non parlano, si prostrano e adorano, cioè pregano.
Che cosa aggiunge questo a quanto dicevamo circa la conversione di san Paolo, in relazione alla vita di comunione e al cammino verso la piena unità?
Che è soltanto nella misura in cui noi ci prostriamo dinanzi al Bambino, e adoriamo il Bambino, cioè preghiamo con insistenza, con fede, con perseveranza il Signore, che si può realizzare quella comunione e quella unità che tanto cerchiamo. Perché la comunione e l’unità non sono il prodotto dei nostri sforzi – o meglio, non solo dei nostri sforzi – non sono il prodotto soltanto del nostro fare, non sono il risultato della nostra volontà, pur buona, di arrivare a quella meta.
No. Quella comunione e quell’unità sono anzitutto il frutto dell’opera di Dio nelle nostre vite, nelle nostre comunità. Il frutto di quell’amore di Dio che ci dona il Suo Spirito, perché possiamo vivere davvero la comunione e l’unità. Per questo è necessario pregare, ma davvero. Prostrarci e adorare. Non come una preghiera che quasi dobbiamo fare, superficiale, distratta, saltuaria.
No. Come una supplica che accompagna passo dopo passo il nostro cammino e le nostre vite. Allora sì, lasceremo spazio al Signore perché sia Lui l’artefice di quella comunione e di quella che noi con le nostre forze mai saremo in grado di raggiungere.
Convertirci a Gesù, aprire gli occhi in modo nuovo nella carità e nell’amore.
Come? Pregando. Pregando. Pregando.
Allora sarà possibile quello che ci ricorda l’Evangelista, concludendo il racconto dei Magi. Essi, per tornare da dove erano arrivati, percorsero un’altra strada, una strada diversa, una strada migliore, una strada più buona, perché la loro vita era cambiata.
Se terremo bene a mente e se vivremo quanto la conversione di Paolo e l’atteggiamento dei Magi davanti al Bambino Gesù ci ricordano, allora sapremo anche noi percorrere una strada diversa, migliore, più buona, che ci condurrà, con pazienza, verso la piena comunione e verso la piena unità.
Riaffermiamo oggi con sincerità e con verità questo desiderio, che deponiamo nelle mani del Signore, perché sia Lui, non soltanto a tenerlo vivo, ma anche a realizzarlo, nei tempi e nei modi in cui Egli vorrà.