Omelia – Santa Messa per l’inizio dell’anno pastorale

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Omelia – Santa Messa per l’inizio dell’anno pastorale

Tortona, Cattedrale.

 

Carissimi fratelli e sorelle, carissimi amici nel Signore.

Chiesa tanto amata che vivi in Tortona.

 

            “Ogni nostra speranza è posta in Cristo. È lui tutta la nostra salvezza e la vera gloria” (Discorso sui pastori 46, 1). Chi scrive così è sant’Agostino. E noi le sue parole le facciamo nostre con tutto il cuore. Le facciamo nostre all’inizio di un nuovo anno pastorale e in prossimità del Giubileo, che il Santo Padre ha desiderato focalizzare proprio sulla virtù teologale della speranza.

            Nella Bolla di indizione dell’Anno Santo, che si aprirà il prossimo 24 dicembre, nella Notte di Natale, Papa Francesco cita un passo della Lettera ai Romani: “La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,1-2.5).

 

La Chiesa, amata da Dio, vive nella speranza

La Chiesa vive nella speranza, noi tutti viviamo nella speranza dal momento che in Gesù Cristo, per la potenza dello Spirito Santo, l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori, avvolge per intero la nostra vita ed è la nostra salvezza. La Chiesa, dunque, è la casa della speranza. Noi tutti siamo la casa della speranza. Perché l’amore di Dio in Gesù dimora in noi ed è la nostra vera gloria.

All’amore di Dio, pertanto, siamo chiamati sempre a ritornare. Nell’amore di Dio siamo chiamati sempre a rimanere. Ed è proprio ciò che desideriamo per noi, oggi e in ogni giorno della nostra vita.

Al riguardo mi torna alla memoria un breve racconto che, spesso, propongo ai ragazzi. Una bambina frequentava il catechismo in preparazione al sacramento della Confermazione. Era assidua e partecipe. Dalla sua catechista aveva appreso tante verità riguardanti la fede. Le rimaneva, però, una perplessità riguardo a Dio: non riusciva a immaginare come potesse essere. Avrebbe voluto esporre la sua perplessità alla catechista, ma non si presentava mai l’occasione propizia. Allora decise di interrogare il suo papà. Così, un giorno, rientrando a casa dal catechismo, gli si rivolse e gli chiese. “Papà, mi sapresti spiegare come è Dio?”. L’uomo, sorpreso dalla domanda, rimase per qualche istante in silenzio. Poi, fece un gesto inatteso e bellissimo. Avvicinò a sé la figlia, la avvolse tra le sue braccia e la strinse lungamente al suo cuore. Quando, poi, la sciolse dal suo abbraccio, la bambina con gli occhi lucidi guardò il papà e gli disse, commossa: “Papà, ora sì che ho capito come è Dio!”. In quell’abbraccio paterno, ricco di amore, delicato e forte, la bambina aveva intravisto, al di là di ogni parola e spiegazione, come è Dio. Dio è Amore!

La Chiesa è chiamata a rimanere, in ogni istante della sua vita, in questo abbraccio di amore con il quale Dio, in Gesù, fedelmente la stringe a Sé. Ciascuno di noi è chiamato a rimanere, in ogni istante della sua vita, in questo abbraccio di amore con il quale Dio, in Gesù, accompagna i passi del nostro cammino.

In questo amore è tutta la speranza della Chiesa! In questo amore è tutta la nostra speranza! E questa è la notizia buona, bella, esaltante, magnifica che è rivelata ai piccoli, secondo la parola di Gesù, oggi ascoltata nella pagina evangelica: a quei piccoli, davvero sapienti nelle vie di Dio, per i quali Gesù esulta di gioia e rende lode al Padre che è nei cieli (cf Lc 21). Che la nostra Chiesa sia sempre piccola, di quella piccolezza evangelica per la quale l’amore di Dio in Gesù Cristo ha il primato ed è tutto per lei! Che ciascuno di noi sia sempre piccolo, di quella piccolezza evangelica che ci fa rimanere nell’abbraccio dell’amore del Signore, salvatore e datore della vera vita! Il Santo Padre, di recente, ha usato un’immagine molto suggestiva. Ha detto che i piccoli sono come “il telescopio dell’amore di Dio”: quell’amore lo vedono, lo contemplano, lo gustano, ne gioiscono, lo vivono.

 

Il volto della Chiesa che, amata da Dio, vive nella speranza

La Chiesa, che si riconosce amata dal suo Signore e vive nella speranza, mostra sul proprio volto alcuni tratti inconfondibili. Oggi, questi tratti, desideriamo ricordarli, perché divengano sempre più i tratti del volto della nostra Chiesa a Tortona, i tratti del nostro volto di uomini e donne che vivono il cammino della fede.

 

Il rendimento di grazie

Tutti certamente ricordiamo il significato del termine “Eucaristia”. Questa parola, che ci è tanto familiare e tanto cara, significa “rendimento di grazie”. Ciò vuol dire che, quando celebriamo l’Eucaristia, noi rediamo grazie a Dio. Gli rendiamo grazie per l’amore che Egli ha per noi; per le meraviglie che Egli ha operato a nostra salvezza; per il mistero della Sua passione, morte e risurrezione, nel quale è la vita vera e il senso di ogni cosa; per la Sua misericordia infinita, che ci libera dal peccato e dalla morte, aprendoci le porte dell’eternità felice. Nell’Eucaristia noi rendiamo grazie a Dio perché Egli è Dio, Dio di amore impensabile e commovente, sorprendente e al di là di ogni nostra possibile attesa, fedele e scritto in ogni piega, anche la più piccola, della nostra vita.

Quanto ci è dato di vivere nella celebrazione dell’Eucaristia è quanto ci è dato di vivere anche nella quotidianità del nostro cammino terreno. In questo senso, quindi, il volto della Chiesa non può che essere un volto animato da un costante rendimento di grazie, da una instancabile gratitudine che, come si afferma nella preghiera eucaristica della Messa, “è nostro dovere e fonte di salvezza”, in ogni tempo e in ogni luogo.

Tutti quanti noi, pertanto, se rimaniamo nell’amore del Signore e viviamo nella speranza, portiamo luminoso, sul nostro volto, il tratto del rendimento di grazie a Dio. Mi torna alla mente ciò che, durante l’estate, ho avuto modo di vedere e gustare. Una bambina festeggiava il compleanno. Compiva tre anni. I genitori, per l’occasione, hanno pensato di prepararle una piccola festa a sorpresa. I festeggiamenti comprendevano, a fine pasto, l’ingresso in sala di una buona torta, con sopra tre candeline e la scritta “auguri”. Quando la torta venne posata sul tavolo, la bambina cominciò a esclamare, con il volto raggiante e quasi incredulo per ciò che vedeva davanti a sé: “Grazie! Grazie! Grazie!”. In quell’atto ripetuto di gratitudine, tanto bello, commovente e gioioso, ho intravisto l’immagine della Chiesa, esultante nella gratitudine, davanti al Suo Signore e alle meraviglie del Suo amore; ho intravisto l’immagine del nostro volto, raggiante di meraviglia, davanti al Signore e all’infinito amore con il quale Egli avvolge la nostra vita.

Questo, dunque, sia il tratto del volto della Chiesa a Tortona, del volto di tutti noi: il tratto del rendimento di grazie, entusiasta, costante e traboccante di stupore. E non, invece, il tratto del ripiegamento su di sé, del lamento, della recriminazione, del triste risentimento, della sottolineatura ripetuta e noiosa di ciò che non corrisponde ai nostri desideri e progetti. No, tutto questo non sia! Non sia mai! Sarebbe il segno di una grave mancanza di fede nell’amore di Dio, il segno di una vita senza speranza, che su quell’amore è fondata.

 

La spensieratezza

Gli studiosi della Bibbia sottolineano che, all’interno del testo sacro, una parola ritorna per ben 365 volte. Si tratta di un invito accorato che il Signore rivolge al Suo popolo. È l’invito a “non temere”, a “non avere paura”, a “non preoccuparsi”. Pensate: per 365 volte questo è ciò che il Signore ripete nella Sacra Scrittura e, dunque, anche a noi. Quasi a volerci rassicurare, in ogni giorno dell’anno, che non abbiamo nulla da temere, di cui avere paura o preoccuparci, dal momento che siamo da Lui amati con infinito amore.

Noto, in questo invito divino, un invito alla spensieratezza, quale tratto distintivo del volto della Chiesa e di ciascuno di noi. Sì, il Signore ci vuole spensierati, in quanto certi del Suo amore provvidente e buono. Sì, il Signore ci vuole spensierati, perché consapevoli di essere custoditi in tutto dal Suo amore di Padre in Gesù. Spensierati a tal punto che, anche quando a noi può sembrare il contrario, perché i fatti della vita umanamente ci affliggono, possiamo essere “senza pensieri”, sapendo che l’amore di Dio è operante anche lì, e nulla sfugge alla Sua mano paterna.

Ricordo, in proposito, la straordinaria testimonianza di una donna, felicemente sposata, che improvvisamente perdette il marito. Queste furono le sue parole. “Oggi rendo grazie a Dio per avermelo dato e avermi donato un matrimonio tanto felice. Ma oggi rendo ugualmente grazie a Dio perché me lo ha tolto, nella certezza che anche in questo fatto, così umanamente doloroso, è scritta una pagina dell’amore di Dio per me e per lui”. Ecco la spensieratezza cristiana, che si alimenta al dono dell’amore di Dio.

Sia anche questo il tratto del volto della Chiesa a Tortona, del volto di tutti noi: il tratto della spensieratezza che non è succube del timore, non soggiace alla paura, non rimane travolta dalle preoccupazioni. Il tratto di una spensieratezza che riposa sulla potenza dolcissima dell’amore di Dio. Non abbia il sopravvento, allora, la paura! Non tolgano la pace le preoccupazioni e i timori. No, non abbiano il sopravvento, non tolgano pace e fiducia! Sarebbe il segno di una grave mancanza di fede nell’amore di Dio che a tutto provvede, il segno di una vita senza speranza in Dio, che è Dio dell’impossibile, come Giobbe oggi ci ha ricordato: “Comprendo che tu puoi tutto e che nessun progetto per te è impossibile” (42, 1).

 

La gioia

Il Santo Padre Francesco non si stanca di rinnovare l’invito alla gioia, dopo averla collocata al centro della Lettera Enciclica “Evangelii gaudium”, all’inizio del suo pontificato. Una gioia che non ha motivazioni semplicemente umane e, dunque, non autenticamente fondate; ma una gioia che si radica nel Vangelo.

Sarebbe bene ricordare spesso il contenuto dell’annuncio angelico ai pastori, la notte della nascita di Gesù: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia” (Lc 2, 10). È la grande gioia della salvezza, dell’amore di Dio che viene ad abitare in mezzo a noi, della rivelazione definitiva di Dio in Cristo, nel quale siamo figli amati e redenti. È la gioia per la notizia del cielo e della terra che, finalmente, possono tornare a vivere nell’alleanza, perché Dio si dona a noi fino alla fine.

Questa grande gioia è il tratto del volto della Chiesa, il tratto del volto di tutti e ciascuno di noi. In effetti, ogniqualvolta ci è dato di incontrare chi ha scoperto la bellezza dell’amore del Signore e ha fatto della vita in Dio il senso pieno della propria esistenza, una gioia grande e inconfondibile traspare dal suo volto e da tutta la sua persona. Dio è alleato della nostra gioia, sempre!

Ma a volte non lo ricordiamo; anzi, spesso in noi non lo si vede. Come è possibile, per fare qualche esempio, non essere nella gioia quando ascoltiamo la Scrittura? È il Signore che ci parla! Come è possibile non essere nella gioia quando ci accostiamo alla Comunione? È il Signore che si fa nostro nutrimento, donandoci la Sua stessa vita! Come è possibile non essere nella gioia quando entriamo in una chiesa per partecipare alla Celebrazione eucaristica? È il Signore che ci attende, per introdurci ogni volta nella bellezza infinita del Suo amore! Come è possibile non essere nella gioia a motivo della nostra fede? Come è possibile? E tuttavia accade.

Al proposito. Un uomo, che si dichiarava non credente, confidava un giorno a un amico sacerdote: “Io non frequento la Chiesa. Ma mi capita, a volte, in occasione della morte di qualche conoscente, di dover assistere a un funerale, andare al cimitero. Là ascolto dei sacerdoti. Dicono: ‘Dio ci ama ed è nostro salvatore. Quest’uomo, questa donna risusciteranno’. Poi, guardo in giro la gente. Nessuno ha l’aria di trasalire. Non fanno una piega. Eppure so che sono dei credenti. Io, che non credo, mi dico allora che, se credessi, avrei avuto uno shock terribile, ad ascoltare quelle parole. Ma capisci? Ci sarebbe di che mettersi a gridare, saltare, rompere con tutto ciò che si faceva prima. Se ci credessi, griderei con tutta la voce un ‘hurrà!’, un ‘evviva!’, che si ripercuoterebbe fino ai confini della terra”.

Quell’uomo aveva colto nel segno: credere all’amore di Dio significa vivere nella gioia vera. Sia, quindi, questo il tratto del volto della Chiesa a Tortona, del volto di tutti noi: la gioia in Dio. Non la tristezza, non la pesantezza, non l’assenza di entusiasmo e di slancio, non una certa fatica a vivere la fede quasi fosse un peso da portare e da sopportare, non l’abitudine stanca e incapace di esultare, cantare e anche danzare per la bellezza infinita dell’amore di Dio. No, tutto questo non sia! Non sia mai! Sarebbe il segno di una grave mancanza di fiducia nell’amore di Dio; sarebbe il segno di una fede sfregiata nella sua luminosità, perché vissuta con la logica del servo che teme la durezza del padrone e cerca, con malavoglia, meriti per conquistarsi la sua benevolenza. Non sia mai così, perché la fede è altro: si esprime nella meraviglia dell’essere figli amati alla follia da Dio che è Padre e nel desiderio ardente e gioioso di donargli incondizionatamente la propria vita.

 

La Chiesa consegnata alla grazia di Dio

La Chiesa, amata da Dio in Gesù e che vive nella speranza, è una Chiesa che si consegna alla grazia. E consegnarsi alla grazia significa consentire al Signore di dispiegare la potenza del Suo braccio. Meno si è consegnati alla grazia e meno l’opera di Dio può prendere forma. Più si è consegnati alla grazia e più la misura di Dio diviene la misura del nostro vivere e del nostro operare.

Vogliamo, forse, che la misura della vita della nostra Chiesa e la nostra misura sia semplicemente e poveramente una misura umana? No! No, non lo vogliamo! Desideriamo, invece, che la misura della Chiesa a Tortona e la misura della nostra vita sia la misura di Dio. Facciamo, dunque, spazio al Signore! Facciamo spazio alla Sua presenza! Facciamo spazio alla Sua opera! Finiamola, una buona volta, di pensare che la vita della nostra Chiesa e la nostra stessa vita sia nelle nostre mani operose, nell’intelligenza dei nostri ragionamenti, nella forza della nostra volontà, nella lungimiranza dei nostri progetti, nella complessità dei nostri piani pastorali, nel moltiplicarsi dei nostri incontri, nelle nostre risorse economiche e umane.

Perché? Perché “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Sal 126). Perché l’opera di Dio si realizza là dove si crede davvero all’amore di Dio e si vive, di conseguenza, nella dipendenza filiale da questo amore. Perché le meraviglie del Signore appaiono là dove non si ripone speranza in sé stessi ma nella potenza della grazia di Dio. Perché i miracoli avvengono là dove la fede nella bontà provvidente di Dio è grande, davvero grande, e non si ha la stolta pretesa di salvarsi da soli, con le proprie forze.

Ed è per questo che è necessario essere piccoli, come ci ricorda il Signore, per entrare nel Regno dei cieli, nell’esperienza della salvezza, nella contemplazione dell’intervento di Dio nella storia della Chiesa e nella nostra storia. Piccoli, perché pieni di fede in Dio; piccoli, perché davvero credenti nell’amore di Dio. Piccoli, perché certi che solo quando si è piccoli la grandezza del Signore può apparire in tutto il suo splendore. Piccoli, perché davvero consegnati alla grazia.

Piccoli si diventa in virtù dello Spirito Santo, che viene a rinnovare la fede nell’amore di Dio in Gesù riversato nei nostri cuori. È lo Spirito Santo che ci fa credere davvero all’amore di Dio, che ci convince sempre più di questo amore, gridando nel nostro cuore, senza mai stancarsi: “Abbà, papà”! (cf Gal 4, 6). Con la forza dello Spirito Santo, Chiesa che vivi a Tortona sii piccola! Con la forza dello Spirito Santo, tutti noi che viviamo in questa Chiesa siamo piccoli! Solo ciò che è piccolo può conoscere la bellezza stupefacente e sempre sorprendente dell’amore di Dio e portare il fascino dell’amore sul proprio volto.

Fin dall’inizio del mio episcopato a Tortona, coltivo nel cuore un desiderio: poter avviare l’adorazione eucaristica perpetua, come un segno eloquente della nostra consegna alla grazia. Qualche passo in questa direzione è stato fatto. Ma sarebbe tanto importante farne ancora e con più decisione. Una Chiesa che adora instancabilmente è una Chiesa che dimostra di riconoscere il primato del Signore nella propria vita, di credere davvero al Suo amore, di avere fede nella Sua opera, di desiderare di essere piccola perché la grandezza di Dio possa rendersi manifesta.

Coraggio, amici carissimi! Coraggio! Camminiamo con audacia ed entusiasmo, perché l’adorazione trovi sempre più spazio nella nostra vita personale e in quella delle nostre comunità, perché un’adorazione eucaristica perpetua possa trovare realizzazione nella nostra Diocesi. Potrebbe essere un bellissimo frutto del prossimo anno giubilare, il segno di una Chiesa davvero consegnata alla grazia del Signore.

 

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Una domanda potrebbe, forse, affiorare, sulle nostre labbra, la stessa che alcuni discepoli rivolsero a Gesù: “Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?” (Gv 6, 28). Come quei discepoli, anche noi, all’inizio di un nuovo anno pastorale, potremmo essere assaliti dall’ansia del fare e delle opere, quasi che il Signore ci chieda anzitutto opere. A fronte di questa domanda, ecco la risposta del Signore. “Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato” (6, 29). Lo capite? Lo capiamo? Questa è l’opera di Dio a noi richiesta, anzitutto: credere all’amore di Dio in Gesù, nostro Salvatore! Sarà questo amore che, trasformando il nostro cuore e rendendoci felici per la fede e innamorati – innamorati del Signore, della Sua Chiesa e di tutti – diverrà sorgente inesauribile del nostro operare, ispirerà con soave forza il nostro fare. Che non sarà, allora, solo opera nostra, povera, senza fondamento e destinata presto all’oblio, ma opera di Dio in noi, grande e duratura.

È in questa prospettiva spirituale che siamo chiamati a vivere l’anno pastorale che ufficialmente oggi ha inizio E, in questa stessa prospettiva, siamo chiamati a considerare il calendario annuale diocesano con i suoi appuntamenti; a intraprendere l’itinerario annuale di catechesi agli adulti che avrà il suo inizio il prossimo 15 ottobre, quale frutto del cammino sinodale in Diocesi; a continuare l’impegno nel realizzare vere comunità pastorali sul nostro territorio; a vivere la grazia del Giubileo del prossimo anno… Tutto, tutto non potrà che essere il frutto dell’abbraccio di amore con il quale Dio riversa Sé stesso in noi, a cui noi crediamo con tutto il cuore, al quale ci consegniamo e al quale permettiamo di divenire operante nelle nostre vite, nella vita della nostra amata Chiesa. Nulla sia opera nostra! Tutto sia opera di Dio!

In questa Celebrazione eucaristica, abbiamo più volte ripetuto con il ritornello del Salmo responsoriale: “Mostrami, Signore, la luce del tuo volto”. L’accorata supplica non è soltanto la nostra. È anche e soprattutto la supplica che sale a Dio da un mondo che ha assolutamente bisogno di vedere la luce del Suo volto. Dove vederla questa luce se non sul volto della Chiesa e sul volto delle nostre vite? E la si potrà vedere, se il nostro sarà un volto segnato dalla fede cristallina nell’amore di Dio e, quindi, dal rendimento di grazie, dalla spensieratezza, dalla gioia. La si potrà vedere, se il nostro sarà un volto segnato dalla consegna alla grazia di Dio. La si potrà vedere, se il nostro sarà un volto sul quale si riflette lo splendore di Dio che, in Gesù, per la potenza dello Spirito Santo, è nostra speranza certa e vera, speranza che non delude. Mai!

Trascrizione da registrazione audio