Carissimi fratelli e sorelle, carissimi amici nel Signore.
Chiesa tanto amata che vivi in Tortona.
Celebrare l’Eucaristia, insieme, qui, nella nostra bella Cattedrale, all’inizio di un nuovo anno pastorale, ha per tutti noi un significato importante, decisivo per la nostra vita personale e per quella della nostra Diocesi.
Qual è questo significato? In un suo celebre testo, il teologo Romano Guardini si chiedeva quale fosse l’essenza del cristianesimo. La risposta, motivata e articolata a questa domanda, non ammetteva dubbi: l’essenza del cristianesimo è Gesù Cristo!
Ascoltiamo della considerazione che lo stesso Guardini faceva a conclusione del suo volume: “Non c’è alcuna dottrina, alcuna struttura di valori morali, alcun atteggiamento religioso od ordine di vita, che possa venir separato dalla persona di Cristo, e dei quali poi si possa dire che siano l’essenza del cristianesimo. Il cristianesimo è Egli stesso” (L’essenza del cristianesimo, Morcelliana, p.77).
Se oggi, al termine della celebrazione, uscendo da questa chiesa, qualcuno dovesse fermarci e chiederci che cosa significa essere cristiani, l’unica risposta vera e corrispondente al cuore della nostra fede sarebbe la seguente: “Un nome, un volto, un Vivente… Gesù Cristo!” Sì, Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo per noi, risorto da morte, Salvatore e Redentore, Vita della nostra vita, nostra unica speranza e nostra vera gloria.
Di conseguenza, quale potrebbe essere una definizione del cristiano? Eccola: “Meravigliato da Gesù”, che è la Meraviglia delle meraviglie di Dio. Ed è questa Meraviglia che celebriamo nell’Eucaristia. È questa Meraviglia della quale siamo resi partecipi con la celebrazione della Messa. È a motivo di questa Meraviglia che noi siamo meravigliati e viviamo da meravigliati, portando la Meraviglia negli occhi, sul volto, nel cuore e in tutta la nostra vita.
La custodia dell’essenziale che è Gesù
Ne consegue una necessità prioritaria, prioritaria su tutto: la custodia dell’essenziale, la custodia della relazione con Gesù. La custodia di Lui nella nostra vita personale, come anche nella nostra vita ecclesiale. Può capitare, infatti, che ci si lasci prendere da tante cose, apparentemente importanti e urgenti, perdendo di vista ciò che costituisce il cuore e il centro della nostra vita di fede e della nostra missione. Si moltiplicano le attività, le riunioni, le pianificazioni; proliferano iniziative di ogni genere, riflessioni e documenti programmatici; ci si dedica a ogni tipo di opera, mai paghi di quanto ideato e realizzato. Forse ciò accade perché attraversiamo un tempo di crisi e avvertiamo tanta difficoltà nel vivere e testimoniare la fede. E così facendo ci sembra di essere più vivi, quasi che possa dipendere da noi e dal nostro operato, sempre in affanno, la nostra personale santificazione, l’avvento del Regno di Dio e la fecondità dell’annuncio evangelico. Ma in tal modo, alla fine, ci ritroviamo scoraggiati, appesantiti, assuefatti al lamento e anche un po’ rattristati. E non ci è possibile sperimentare la promessa contenuta nel salmo di oggi: “Cambierò il loro lutto in gioia, li consolerò e li renderò felici, senza afflizioni” (31, 13).
A tutto questo io dico: basta! Diciamolo insieme: basta! E aiutiamoci a cambiare direzione, se necessario. Si tratta di una questione molto seria. Perché è una questione che riguarda la nostra fede, i fondamenti del nostro essere cristiano. La santità alla quale siamo chiamati non è, anzitutto, opera delle nostre mani. L’avvento del Regno di Dio non è, anzitutto, il frutto delle nostre iniziative. La fecondità dell’annuncio evangelico non è, anzitutto, il risultato del nostro incessante darci da fare.
No! Non è così. Basta pensare così! Basta vivere così! C’è un primato da custodire con grande cura, un essenziale da vivere al di sopra di tutto, a cominciare dall’ordinario e dal quotidiano. C’è una grazia stupenda che ci precede e ci accompagna, un Vivente che è il vero protagonista della nostra salvezza e della salvezza del mondo, a cui lasciare spazio, più spazio. Il Suo nome lo conosciamo: Gesù Cristo, il risorto da morte che ci dona il Suo Spirito!
E allora sia sempre Lui al centro della nostra vita personale ed ecclesiale. Sia Lui ad avere spazio in ogni nostra attività e progetto. Sia Lui a cui davvero affidiamo la nostra causa e ogni nostra speranza. Sia Lui con la Sua grazia a divenire sempre più protagonista della nostra storia. Lui e solo Lui è il Salvatore e Redentore! Lui e solo Lui è il nostro santificatore! Lui e solo Lui è l’artefice del Regno di Dio in questo nostro mondo! Lui e solo Lui è il segreto dell’evangelizzazione! Lui! Non dimentichiamolo mai. Non ci accada come ai discepoli del Vangelo, che non capivano le parole del Signore. Quali parole? Le abbiamo ascoltate oggi: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini” (Lc 9, 44). Quei discepoli non capivano, perché non riuscivano a credere che il Signore, con il Suo amore, li avrebbe salvati, li avrebbe sollevati dall’impresa impossibile di salvarsi da soli e di salvare il mondo.
Siamo chiamati a essere, personalmente e comunitariamente, il segno di una Chiesa che non confida in sé stessa e nelle proprie forze, ma di una Chiesa che davvero confida nel Signore, sa di avere tutto da Lui e vive in una costante dipendenza d’amore, nella consapevolezza che tutto è grazia. Sì, tutto è grazia. Ed è bellissimo!
È da questo atteggiamento di fede che conseguono lo stupore, la gratitudine e la gioia del cuore, così come ci ha ricordato il profeta Zaccaria: “Rallegrati, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te” (2, 14). Stupore, gratitudine e gioia del cuore sono il segno di una vita di fede viva, autentica. Quella fede per la quale si riconosce che Gesù non è venuto a ripetere un invito antico, ormai superato una volta per tutte, moralistico e per nulla originale: “Tu devi, voi dovete! Arrangiatevi!”; Egli è venuto ad annunciare una verità del tutto nuova, unica e finalmente davvero liberante: “Tu puoi, voi potete! Sono io, con voi e in voi, il principio di una vita del tutto nuova!”. Proprio per questo siamo nello stupore più grande, nella gratitudine più profonda, nella gioia più esaltante: perché non dobbiamo salvarci da soli, e nel cammino che ci attende non siamo lasciati alle nostre povere forze; siamo, invece, salvati dal Signore ed Egli, con la Sua grazia, opera in noi, con noi e attraverso di noi le meraviglie del Suo amore.
Perché, però, tutto questo divenga sempre più realtà nella nostra vita, siamo chiamati a custodire ogni giorno l’essenziale, siamo chiamati a custodire Gesù. Come realizzare una tale custodia? La potremo realizzare con l’accoglienza pronta e cordiale di tre gradi doni.
Il dono della parola del Signore
Con la Chiesa, oggi celebriamo la memoria di san Girolamo. Sappiamo quanto questo dottore della Chiesa abbia amato la parola del Signore, allo studio della quale dedicò grande parte della sua vita. Al riguardo, ebbe a scrivere una frase divenuta celebre e citata anche dal Concilio Vaticano II: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” (Prologo al commento del profeta Isaia, CCL 73, 1 PL 24, 17).
È una frase da non dimenticare. È una frase dalla quale prendere ispirazione, sia a livello personale sia a livello comunitario. Per custodire l’essenziale che è Gesù Cristo non possiamo essere ignoranti nelle Scritture, non possiamo trascorrere le nostre giornate disinteressandoci della parola che il Signore ha voluto donarci, perché fosse in noi principio di trasformazione della nostra vita nella Sua.
È un po’ triste pensare che ci sia tra noi chi, nella Sacra Scrittura, debba definirsi ignorante. Ed è ancora triste che ci sia tra noi chi debba ammettere di porsi in ascolto della Scrittura solo saltuariamente, o forse addirittura mai.
Non può essere così! Come custodire l’essenziale se non custodiamo la parola del Signore nella nostra vita quotidiana? Come custodire Gesù se poi non ci mettiamo in ascolto orante della Sua parola che è Via, Verità e Vita?
Incoraggio, pertanto, tutti e ciascuno, in forma personale e comunitaria, a rendere sempre più familiare l’incontro con la Sacra Scrittura, così che possa divenire davvero nostro il “pensiero di Cristo” (1 Cor 2, 16), e si realizzi in noi quanto scriveva san Massimo il Confessore: “Pensare secondo Cristo e pensare Cristo attraverso tutte le cose” (cf Il Dio-uomo, a cura di Aldo Ceresa-Castaldo, Jaca Book, Milano 1980, 103). Come sarebbe bello se ciascuno di noi pensasse secondo Cristo pensasse Cristo attraverso tutte le cose!
Non dovremmo mai dimenticare, infatti, che la fede non è, anzitutto, un sentimento passeggero, uno stato d’animo più o meno gratificante, un mezzo per sperimentare un benessere non ben definito, un’appartenenza fluida alla Chiesa per sola tradizione e senza vitalità. La fede è, in primo luogo, un modo nuovo di pensare sé stessi, la propria vita, le vicende della storia e del mondo secondo Gesù Cristo e il Suo pensiero. La fede è un criterio di giudizio nella Verità, uno sguardo nuovo che rende nuove in Gesù tutte le cose.
Ho parlato più volte di Sacra Scrittura, e non a caso. Spesso, infatti, è invalso l’uso di usare con una certa imprecisione il termine “parola di Dio”, quasi che la Scrittura potesse esaurirne la portata e il senso. Ovviamente “parola di Dio” è un termine più che esatto per indicare la Scrittura. Ma, a volte, può ingenerare una comprensione non del tutto corretta della Parola di Dio e della sua inesauribile ricchezza.
La Parola di Dio, infatti, è lo stesso Verbo eterno, il Figlio di Dio fatto uomo per noi, il Risorto e il Vivente. Ed è proprio Lui, Parola fatta carne, che ci raggiunge attraverso la parola scritta e ispirata, come anche, però, con la viva Tradizione della Chiesa e il suo Magistero (cfr Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione, Dei Verbum, 10). Tutto questo è, in realtà, la Parola di Dio, della quale rimanere in ascolto per incontrate il Signore Gesù e assumerne il pensiero, i sentimenti, i desideri.
Ed è per questo che esorto tutti a leggere anche e ad approfondire, insieme alla Scrittura Sacra, il Catechismo della Chiesa Cattolica, quale custode della viva Tradizione della Chiesa e il Magistero dei Papi e dell’attuale Pontefice. Solo così, infatti, l’incontro con la Scrittura è un incontro che mette in comunione autentica con la Parola di Dio, evitando possibili e non auspicabili confusioni tra il nostro personale pensiero e il pensiero di Cristo.
Il dono dell’Eucaristia
Parafrasando quanto san Girolamo afferma in merito alle Sacre Scritture, possiamo anche dire che l’assenza dei sacramenti e, in specie, l’assenza dell’Eucaristia, è assenza di Gesù Cristo nella nostra vita. Non vi può essere, infatti, relazione viva con il Signore al di fuori dell’esperienza sacramentale ed eucaristica.
Ci concentriamo sull’Eucaristia. L’Eucaristia, infatti, è l’oggi del mistero della nostra salvezza, l’attualità della morte e risurrezione di Cristo, il presente dell’amore del Signore per noi, la possibilità per grazia di entrare in comunione con la vita di Gesù e di essere da Lui trasformati in uomini e donne nuovi, perché da Lui nutriti e a Lui conformati.
In tante occasioni ho avuto modo di ricordare la bella intuizione di san Luigi Orione, certamente debitrice della parola dell’apostolo Paolo: “Vivere Cristo”. In virtù dell’Eucaristia, il “vivere Cristo” diviene una realtà esaltante per ciascuno di noi e per la vita delle nostre comunità. In tal modo, accogliendo questo dono, che è il tesoro più prezioso consegnato alla Chiesa, l’essenziale è custodito, la relazione con Gesù Cristo è custodita.
È un po’ triste, pertanto, pensare che ci siano alcuni che non hanno a cuore la Messa domenicale. Ed è anche triste constatare che per alcuni è del tutto indifferente la partecipazione o meno alla Messa quotidiana. Si può, poi, immaginare una vita cristiana alla quale risulti non interessante e decisivo trascorrere un tempo prolungato in adorazione dell’Eucaristia, per crescere nell’amore del Signore e nella comunione alla Sua vita? No, non si può immaginare.
Se l’Eucaristia non è qualche cosa da fare ma Qualcuno da incontrare, come non rendere nostre le parole di quegli uomini e quelle donne che potevano affermare, davanti al persecutore romano: “Noi non possiamo vivere senza la Domenica”, ovvero senza l’Eucaristia? Ed è davvero così. Noi non possiamo vivere senza l’Eucaristia: senza celebrarla, senza adorarla, senza esserne nutriti. Significherebbe vivere senza Cristo. Non sia mai! Vogliamo davvero custodire l’essenziale? Vogliamo davvero custodire Gesù? Allora l’Eucaristia occupi il primo posto nella nostra vita personale e in quella delle nostre comunità.
Incoraggio, quindi, a partecipare assiduamente alla celebrazione eucaristica, così che possa diventare un appuntamento quotidiano con il Signore Gesù. Incoraggio anche a dare forma a tanti cenacoli, piccoli e grandi, per l’adorazione eucaristica, in modo tale che, singolarmente e comunitariamente, tanti possano fermarsi a vivere quell’incontro di amore che cambia sempre e in profondità la vita di chi vi si dedica fedelmente. E incoraggio, infine, a vivere in modo più consapevole, gioioso e meravigliato il momento sublime della comunione eucaristica. Potessimo renderci più conto di ciò che significa! Come ci accostiamo alla Comunione? Che cosa accade il quel momento? Un vero talamo nuziale tra noi e Cristo! Il Signore del mondo e della storia, per amore, viene a noi, nel nostro cuore. Viene per donarci Sé stesso, la Sua vita divina. Colui che ci ha creato, e che neppure i cieli possono contenere, si fa nostro cibo per farci sempre più Suoi, farci divenire Lui e renderci un cuore solo e un’anima sola nel Suo Corpo e nel Suo Sangue. Come non esultare fino a scoppiare nell’amore?
Il dono della carità
Ho usato, non a caso, l’espressione: “Scoppiare nell’amore”. È un’espressione che ritroviamo negli insegnamenti di san Luigi Orione. Attenzione, però: l’amore di cui si parla non ha una valenza semplicemente umana, non è il frutto della nostra buona volontà, della nostra naturale generosità. Si tratta di ben altro! L’amore di cui si parla è il dono che Gesù Risorto fa a noi nel Suo Spirito, così che il nostro cuore possa dilatarsi “dell’indicibile sovranità dell’amore” stesso di Dio (cfr. San Benedetto, La Regola, Prologo, n. 49).
Per grazia, siamo uomini e donne che avvertono nel proprio cuore la forza indomabile di una carità che non è nostra, ma viene dalla vita del Signore in noi, dall’infinita capacità di donazione ed estasi dello Spirito Santo che investe la nostra vita.
Il cristiano non sarà mai e mai potrà essere un semplice operatore sociale o un filantropo interessato ai mali del mondo, un volontario al servizio di un ente benefico o una persona semplicemente generosa e paga di sé stessa per il bene che fa. No. Il cristiano è e sarà sempre colui che si dona senza riserve, perché il Signore si è donato a Lui trasformandogli il cuore; qualcuno che rimane stupito per una forza inesauribile di carità che trova in sé, ma non viene da sé perché è dallo Spirito; qualcuno che nel vivere la carità rende grazie al Signore, consapevole che tutto è grazia e opera Sua, senza vantarsi.
In tal modo, quella del cristiano, non può essere mai una carità settoriale, ideologica o escludente, ma una carità a tutto tondo che sa farsi carico di ogni necessità umana; perché dove c’è l’umano lì Cristo ci attende; dove c’è l’umano c’è la carità di Cristo, che si rende visibile nello sguardo, nel volto e nelle opere del cristiano. Sguardo, volto e opere saranno così rivolte, con l’amore stesso di Cristo, a chi è nel bisogno materiale, ma anche spirituale e morale; a chi per tante ragioni fatica a vivere; a chi, perché ancora non nato, si affaccia sull’avventura della vita e a chi, malato e ormai avanti negli anni, quell’avventura terrena la va a concludere; a chi è lontano e a chi è vicino e davvero il più prossimo; a chi sperimenta la disavventura della povertà educativa e a chi si trova intrappolato nelle secche di un pensiero debole e senza orizzonti di significato; a chi, soprattutto e anzitutto, è lontano da Dio, senza fede, povero di quella tragica e peggiore tra le povertà che è la mancanza di Gesù Cristo.
Custodire l’essenziale, custodire Gesù significa anche questo. Significa invocare e accogliere ogni giorno la vita nuova della carità di Cristo, della carità che è Cristo, nella forza dolce del Suo Spirito. Significa custodire in noi quella novità che solo la vita del Signore sa dare e che sola è capace di affascinare il mondo, per attirarlo nel raggio benefico e salvifico dell’abbraccio di Dio.
Il cammino diocesano: per custodire l’essenziale che è Gesù
Quest’anno la Chiesa che vive in Tortona proseguirà il suo cammino in comunione con la Chiesa universale e con la Chiesa che è in Italia. Mi riferisco al cammino sinodale. Tale cammino avrà per noi una specificazione, in linea con le necessità pastorali che caratterizzano la vita della nostra Diocesi. Sabato 28 ottobre, infatti, inizierà, con un’assemblea sinodale diocesana, il percorso che ci accompagnerà lungo tutto l’anno e che terminerà sabato 8 giugno, con una nuova assemblea sinodale diocesana. Il tema all’ordine del giorno sarà quello della catechesi. Nel corso dell’anno pastorale, ci si incontrerà nei singoli vicariati per trattare questo tema, al fine di verificare insieme l’attuale situazione e trovare insieme possibili e nuovi percorsi sui quali incamminarci, per il bene più grande della nostra amata Chiesa. Il cammino lo faremo insieme, con al centro il Signore Gesù e nella luce radiosa del Suo Santo Spirito. Un unico desiderio ci guiderà: scoprire in quale modo, oggi, poter meglio partecipare a tutti – bambini, ragazzi, giovani, adulti, famiglie – la vita nuova in Gesù Cristo.
Continueremo, poi, il cammino iniziato al fine di realizzare in modo sempre più concreto e fecondo le comunità pastorali, nel contesto dei vicariati. Non è un cammino semplice, lo sappiamo. Per tanti motivi. Ma è un cammino necessario, per arrivare a una nuova forma di presenza pastorale sul nostro territorio. Questo, e ancora una volta lo sottolineo con convinzione e con forza, non significa una resa di fronte alle difficoltà del tempo presente. Significa, piuttosto, l’appassionata ricerca della via che il Signore ci chiama oggi a percorrere, per essere in sintonia con la Sua volontà, così da poter annunciare il Vangelo con rinnovata gioia e limpida freschezza sempre, dappertutto e a tutti (cfr. Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 1-13).
A tal fine sarà necessario che i presbiteri siano sempre più pastori pronti a dare la vita per il loro gregge; che i diaconi siano sempre più il segno della carità di Cristo, nel servizio; che i fedeli laici siano sempre più appassionati nell’animazione delle realtà temporali alla luce del Vangelo; che i consacrati siano sempre più radicali nell’essere richiamo vivente della vita del mondo che verrà. E sarà sempre più necessario che tutti, in profonda comunione e nel segno di una vera corresponsabilità, camminiamo e annunciano con gioia, coraggio e audacia, senza lamentele e inutili nostalgie e tristezze, Colui che è la passione d’amore della nostra vita, il nostro Tutto, Colui del quale nulla è meglio: Lui, l’essenziale, Gesù Cristo
Il nostro cammino diocesano, dunque, anche in queste sue particolari espressioni, lo capiamo bene, vuole custodire l’essenziale che è il Signore Gesù.
A Maria affidiamo la nostra vita e quella della Chiesa in Tortona. Ci affidiamo a Lei, che sempre ci riporta maternamente all’essenziale, prendendoci con tanta dolcezza per mano e accompagnandoci, senza indugio, al Suo Figlio Gesù.
Trascrizione da registrazione audio