Omelia – Santa Messa nella solennità di Tutti i Santi

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Omelia – Santa Messa nella solennità di Tutti i Santi

Tortona, Cattedrale.

 

La bellezza e lo splendore di questo giorno nel quale celebriamo la solennità di Tutti i Santi, e che già, ieri pomeriggio, è stato motivo della nostra preghiera e della nostra gioia, può venire, in qualche modo, offuscato da un’altra consuetudine recente, anche se affonda le sue radici nella cultura celtica antica. Si tratta di una festa di cui si parla molto in questi tempi, la festa di Halloween.

Devo dire che si tratta di una festa, anzitutto, un po’ brutta perché gode della tenebra e dell’oscurità e, nello stesso tempo, gode di una certa mancanza di gusto. Si tratta anche di una festa piuttosto banale, perché tratta temi importanti, come la morte, con molta superficialità. E si tratta pure di una festa ambigua perché intreccia al grande tema della morte e della vita tratti di esoterismo, di magia, addirittura di riferimenti al maligno.

E, allora, è bello e motivo di soddisfazione vedere come in tante nostre comunità parrocchiali, la notte della vigilia dei santi stia diventando e sia diventata una vera notte di festa in compagnia dei santi: dove a quell’elemento di bruttezza che corrisponde a Halloween fa riscontro una dimensione di vera bellezza; a quell’elemento di banalità che caratterizza Halloween fa, invece, riscontro un incontro con il senso vero della vita; e a quell’elemento di ambiguità che caratterizza Halloween fa, invece, riscontro un annuncio della pienezza della vita e della vita vera.

Non vogliamo, oggi, però, attardarci su questo, anche se è importante fare chiarezza e ricordare che certe consuetudini o tradizioni che si affermano, aldilà a volte, di un’apparente neutralità, comunicano cose negative che non fanno bene al cuore, all’anima e alla vita.

 

Oggi, pertanto, fissiamo l’attenzione su ciò che costituisce lo splendore e la bellezza di questa giornata solenne ovvero di Tutti i Santi. Il che vuol dire che in questa giornata, come ci ha ricordato la lettura dell’Apocalisse, siamo invitati a contemplare quella moltitudine immensa che sono i santi, gli abitanti, i cittadini della Gerusalemme celeste, della città di Dio, della città della vera gioia, della pace, della pienezza della vita, dell’eternità.

Oggi siamo invitati ad alzare lo sguardo per affondarlo là, in quella splendida città che è la città di Dio. In quella città di Dio, dove abitano appunto i santi, noi abbiamo l’esperienza bellissima di toccare con mano come i santi siano nostri amici e compagni di strada, perché c’è un legame tra noi e loro: noi ci rivolgiamo a loro e li sappiamo vivi in Dio; loro pregano per noi e accompagnano il nostro cammino terreno.

San Paolo, in una sua lettera, dice che la nostra conversazione abituale è nei cieli. Sì, perché con coloro che abitano i cieli, cioè con coloro che abitano la città di Dio, noi possiamo entrare in conversazione e dialogo, e così sperimentare la bellezza di un’amicizia che contraddistingue il cammino della nostra vita: l’amicizia dei Santi.

In proposito, san Filippo Neri diceva così ai suoi ragazzi, ai suoi giovani, alla gente che incontrava: «Guardate, noi dobbiamo fare l’abitudine di avere spesso tra le mani quei libri che cominciano con la “S”: san Domenico, san Francesco, san Giovanni Bosco…». San Filippo Neri raccomandava che si leggesse la vita dei santi, proprio per fare memoria della loro presenza nella nostra vita, per entrare in dialogo di amicizia con loro e per sentirsi richiamati a quello che è il nostro vero destino: la città di Dio.

Oggi, contemplando lo splendore di quella immensa moltitudine che sono i santi, abitanti della città di Dio, vogliamo prendere un impegno: quello di avere per le mani la vita di qualche santo, proprio perché la vita del santo ci aiuti a rimanere in contatto e in conversazione con i santi; perché la vita del santo ci aiuti a ricordare la bellezza della santità; perché la vita del santo ci aiuti a fare memoria di qual è lo splendore e la bellezza del nostro destino di eternità.

 

La lettura dell’Apocalisse ci ha parlato anche di un sigillo, che è sulla fronte di coloro che abitano la città di Dio; questo sigillo è l’elemento che contraddistingue la vita del santo, e potremmo chiamarlo così: la gioia dell’amore.

Abbiamo ascoltato la lettura di san Giovanni. L’evangelista si rivolge ai cristiani e scrive: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!». Ecco il sigillo impresso nella vita del santo: quello di essere figlio di Dio e di vivere la gioia dell’amore. Quale amore? L’amore che Dio ha per lui e quello che lui cerca di avere per Dio; l’amore per il fratello e la sorella, la gioia della comunione, la bellezza di poter donare la propria vita. Ecco la gioia dell’amore come il sigillo che è sulla fronte dei santi. Certo, di coloro che abitano la città di Dio, ma anche di noi, che siamo pellegrini quaggiù, nella misura in cui la nostra vita partecipa di quella santità.

Allora, oggi, vogliamo ricordare che la santità vissuta qui in terra è un anticipo di paradiso, che la santità vissuta qui è un’esperienza di pienezza di vita, che la santità vissuta qui è davvero la gioia dell’amore che abita nel nostro cuore.

Non dimentichiamo, in questa bellissima solennità, l’immensa moltitudine con la quale siamo in comunione, in amicizia, in relazione che accompagna il cammino della vita. Non dimentichiamo il sigillo posto sulla nostra fronte, che è la gioia dell’amore, la bellezza di una vita santa secondo Dio.

 

Ma tutto questo ha a che fare con le realtà concrete del nostro mondo, con il nostro cammino quotidiano? Giorgio La Pira, il sindaco santo di Firenze, diceva così: «Vedete, io sento spesso dire che per migliorare il mondo bisogna fare questo, bisogna fare quello, bisogna realizzare quest’altro… Io vi dico che per migliorare il mondo ci vogliono i santi, ci vogliono più santi». È così vero! Il mondo migliora nella misura della nostra santità. E Madre Teresa, che rifletteva sulla vita della Chiesa, diceva: «Spesso nella Chiesa vediamo anche delle oscurità, che sono le nostre, quelle di uomini e donne che cedono al peccato. È inutile, però, dire “è buio, è buio”, perché la luce non viene. Il buio si dirada nella misura in cui diventiamo luce, perché accogliendo Gesù nella nostra vita, irradiamo la bellezza della Sua luce, lo splendore della Sua santità».

Ecco, questa splendida solennità che ci porta a contemplare il paradiso e ci porta a ricordare quanto sia importante che nella nostra vita viviamo la santità, ci ricorda anche che nella misura in cui, davvero, apparteniamo al Signore e irradiamo la Sua luce, diventiamo collaboratori preziosi e insostituibili per una nuova bellezza che può abitare questo mondo, per una nuova bellezza che può abitare le nostre famiglie, per una nuova bellezza che, davvero, rende migliore tutto e tutti.

Domandiamo la grazia che questo giorno possa essere per noi contemplazione del Cielo; ma, a motivo del nostro incontro con il Cielo, possa diventare anche comunicazione di un pezzetto di cielo in questo mondo, attraverso la santità della nostra vita.

Trascrizione da registrazione audio