Incontro con gli Insegnanti di religione della Diocesi
Dalla Veglia pasquale fino a Pentecoste nei nostri presbiteri è presente il cero pasquale illuminato. Conosciamo il suo significato: è il segno di Cristo risorto, luce del mondo, vita del mondo. Quella luce ci parla di una luminosità che illumina il cammino, di un calore che scalda il cuore. Ci torna subito alla mente l’esperienza fatta dai due discepoli in cammino da Gerusalemme verso Emmaus quando, dopo aver ascoltato Gesù parlare, avvertirono un ardore del tutto speciale nel loro cuore. Siamo qui questa sera per avvertire anche noi la luce e il calore che promanano dalle parole del Signore. Siamo qui anche noi per fare esperienza di un cuore che arde a motivo del nostro incontro con il Signore Gesù e a motivo dell’ascolto della sua parola. Chiediamo la grazia che possa essere così. Che questo cero che illumina e che arde, e che è segno di Cristo risorto, possa diventare in noi cero che arde perché incontriamo, ancora una volta, Gesù risorto e vivo in mezzo a noi, che ci rivolge la sua parola di vita.
Sono tre le parole che in modo particolare ci toccano il cuore. Abbiamo ascoltato nella pagina degli Atti degli Apostoli ciò che afferma san Paolo. Egli riferisce una parola che Gesù ha pronunciato ma che nei vangeli non troviamo. Scrive l’apostolo: «Si è più beati nel dare che nel ricevere». È questa la prima parola che desideriamo custodire nel nostro cuore. C’è più beatitudine nel dare che nel ricevere.
Quando si va in Terra Santa si visitano due grandi laghi: uno è il lago di Gennesaret, chiamato anche il mare della vita, l’altro è il Mar Morto, chiamato appunto mare della morte. Perché questa differenza di identità? Il primo lago, il mare della vita, è un lago che riceve acqua ma a sua volta la dona; l’altro, il mare della morte, riceve acqua ma la tiene per sé. Il primo lago, dal momento che riceve e dà acqua, è un lago vitale, è un mare pescosissimo, l’altro è senza vita, senza pesci.
Le guide spiegano che, quando Gesù affermava che chi dona la propria vita la trova e chi, invece, la tiene per sé la perde, tutti capivano benissimo quello egli diceva, perché avevano davanti agli occhi i due mari. Ed è proprio così anche per noi: se doniamo la vita la troviamo, se la teniamo per noi, la perdiamo.
Si è più beati nel dare che nel ricevere, perché quando si dà, la vita fiorisce, mentre quando non si dà, la vita muore. È una parola che è per noi, per la nostra vita di fede, per il nostro cammino. Ci ricorda che l’incontro con il Risorto mette in movimento il cuore e lo rende capace di farsi dono, senza riserve e senza condizioni. Ma questa parola riguarda da vicino anche voi, insegnanti di religione a scuola, perché l’insegnamento della religione è un dono e deve trovarci generosi, incondizionati nel dono: nel donare la nostra conoscenza, nel donare la nostra sapienza, quello che abbiamo e che siamo per il bene di quei bambini, ragazzi e giovani che ci sono affidati. Nella misura i cui la professione di insegnanti di religione è vissuta nella logica del dono, si compie una vera missione e si sperimenta la beatitudine dell’insegnante. È così. L’insegnante vive una beatitudine tutta speciale ed è quella che deriva dal compiere il proprio servizio nella logica del dono, di un dono che deve far crescere, deve formare, deve educare; di un dono che porta la vita perché porta Cristo.
Chiediamo la grazia che non soltanto la nostra vita sia dono, ma che anche il nostro insegnamento sia un dono, per poter sperimentare quella beatitudine che Gesù ci ha promesso.
Una seconda parola che desideriamo custodire nel cuore. Gesù si rivolge agli apostoli, ai discepoli, pensa a loro mentre prega il Padre e dice: «Io ho dato loro la tua parola… La tua parola è verità».
Come è bella questo passaggio evangelico perché ci ricorda che Gesù, donandoci la parola del Padre, ha dato sé stesso a noi, si è consegnato nelle nostre mani, ci ha dato la sua vita: ci ha dato tutto dandoci sé stesso.
Questo è il grande tesoro della vita di noi tutti, perché chi ha Cristo non manca di nulla, chi ha Cristo ha tutto, e noi abbiamo questa grazia di avere il Signore Gesù, perché Lui si è dato a noi. Ciò che, ancora una volta, vale per la vita di fede, vale anche per il vostro essere insegnanti di religione, perché la parola che ci è stata donata è una parola che siamo chiamati a nostra volta a donare. E come è entusiasmante pensare che il Signore ci ha donato la sua parola, la verità, sé stesso perché noi potessimo comunicarlo a chi sta crescendo, a chi si sta formando, a chi si sta affacciando sul palcoscenico della vita. Non è straordinariamente bello pensare che il Signore Gesù dona sé stesso a noi, perché noi facciamo dono di lui ai nostri ragazzi, ai nostri bambini ai nostri giovani? Siamo testimoni della parola di Cristo, siamo testimoni della verità in mezzo alla nostra gioventù.
Che cosa c’è di più entusiasmante, che cosa c’è di più bello? Quella parola, allora, detta ai discepoli e agli apostoli è detta oggi anche a voi, insegnanti di religione: perché la comunichiate attraverso il vostro insegnamento, la trasmettiate attraverso l’esempio della vostra vita, perché la diate con generosità a tutti coloro che sono a voi affidati.
E c’è ancora una terza parola da custodire nel cuore. Gesù sempre si rivolge al Padre ma pensa ai suoi discepoli e dice: «Sono nel mondo… e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo».
È una parola di nuovo importante per la nostra vita di fede, perché tutti noi siamo immersi nel mondo e viviamo la tentazione di diventare mondani: di pensare come pensa il mondo, di sentire come sente il mondo, di vivere come vive il mondo.
Noi siamo immersi nel mondo – ed è giusto così – ma non per diventare o rimanere mondo, quanto piuttosto per donare al mondo quello che non ha: la salvezza in Cristo Gesù. E anche questa parola ha a che fare con il vostro essere insegnanti di religione.
Siete in mezzo ai giovani, ai ragazzi, ai bambini. È importante conoscerli, conoscere il loro modo di pensare, conoscere il loro modo di ragionare, quello che amano, quello che li appassiona, le gioie e i dolori della loro vita, le loro speranze e i loro dubbi, il bene e il male di cui fanno esperienza. È importante, dunque, ascoltare le loro vite. Ma per portarvi quella parola che illumina e che salva, per portarvi Cristo. Certo, non come a catechismo, ma con il profilo culturale che è proprio dell’insegnamento della religione a scuola oggi. Portare Cristo è il dono più grande che possiamo fare a ciascuno di loro: per la loro crescita culturale, per la loro identità umana, per la pienezza della loro vita. I ragazzi delle nostre scuole hanno bisogno della testimonianza e della parola che trasmetta altro rispetto al mondo e che li aiuti a vivere in questo mondo con la luce, con l’amore, con la forza di Cristo che è il loro salvatore.
Ecco, pertanto, le tre parole che il Signore ci consegna: beati nel donare, testimoni della verità, mandati nel mondo ma per portarvi Cristo.
Chiediamo la grazia che queste tre parole siano luce e calore, come la fiamma del cero e che, custodendo queste tre parole nel cuore, anche noi avvertiamo, come i discepoli sulla via di Emmaus, quell’ardore nuovo che ci trasforma, che ci cambia, e attraverso il quale torniamo sulle strade vita con una luce nuova negli occhi, una luce nuova sul volto, una forza nuova nel cuore, per essere davvero suoi, sempre più suoi, a sevizio di coloro che ci sono affidati.
Trascrizione da registrazione audio