Omelia – Giovedì Santo
Appena intonato il Gloria, oggi hanno risuonato a festa campane e campanelli, e l’organo ha suonato con forza, solennità e gioia. Perché questo? Perché oggi, nel giorno in cui ricordiamo che Gesù ha istituito l’Eucaristia e il Sacerdozio, non possiamo non esultare, non possiamo non essere nella gioia, non possiamo non provare meraviglia e stupore per ciò che è scaturito dal cuore di Gesù, innamorato di noi. Per amore, infatti, Egli ha istituito l’Eucaristia e il Sacerdozio, senza del quale non c’è Eucaristia. È per amore che Egli ha voluto rimanere con noi e per noi nell’Eucaristia. È per amore che Egli ha voluto farsi pane e nutrimento per noi e per la nostra vita, nell’Eucaristia. È per amore che ha voluto rimanere con noi fino alla fine del mondo e del tempo.
Ecco perché oggi, iniziando il Triduo, non possiamo non essere in una gioia debordante, in un’esultanza stupita, in una gratitudine che si esprime nel canto e nel giubilo. Campane, campanelli e organo sono stati un segno bello, ma in fondo un segno piccolo di una gioia che dovremmo avere stampata negli occhi, nel cuore, nella vita: Gesù ci ha dato l’Eucaristia! Che questa notizia non sia una notizia che ascoltiamo con superficialità, non sia una notizia sulla quale passiamo senza che, in fondo, resti davvero nulla come traccia nel cuore. Che questa sia una notizia a motivo della quale non finiamo più di dire al Signore: “Grazie”; non finiamo più di essere nella gioia, non finiamo più di essere nello stupore, nella meraviglia, non finiamo più di cantare e di giubilare.
Questo è il volto del nostro Dio, di un Dio che voluto farsi piccolo, farsi pane per stare con noi, per nutrirci di sé, per non abbandonarci mai, per essere la vita delle nostre vite.
L’apostolo Giovanni, nel suo vangelo, a differenza degli altri Evangelisti, non racconta il momento in cui Gesù istituisce l’Eucaristia; non racconta quel momento, eppure ne parla. Ne parla come? Con alcune espressioni che gli sono proprie, e ricordando un gesto che Gesù compie. Un’espressione tipica di Giovanni qual è? Eccola: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine», cioè fino alle estreme conseguenze. E il gesto qual è? Quello della lavanda dei piedi. Parola e gesto che cosa dicono, che cosa illustrano, che cosa manifestano, che cosa partecipano a noi? Che l’Eucaristia è il dono d’amore del cuore di Gesù, che attraverso l’Eucaristia Egli ci ha amato fino alla fine, che attraverso l’Eucaristia ci ha servito fino alla fine, all’estreme conseguenze; anzi, mediante l’Eucaristia ci ama e ci amerà sempre fino alla fine, e mediante l’Eucaristia ci serve e ci servirà sempre fino alla fine.
San Tommaso, il grande teologo, parlando dell’Eucaristia la definisce così: “il sacramento della carità di Cristo”, il segno più grande, il segno più convincente, il segno più esaltante della carità del cuore del Signore. E San Bernardo, quando parla dell’Eucaristia, la definisce così: “l’amore degli amori”. Come a dire l’amore più grande possibile, l’amore più intenso che possiamo immaginare, l’amore infinito che soltanto la fantasia del Signore poteva pensare per noi. Sacramento della carità di Cristo, amore degli amori.
Oggi siamo chiamati a ricordare l’istituzione dell’Eucaristia, a fare memoria di quel momento in cui Gesù si è inventato l’Eucaristia; e facciamo questo per ricordare, fare memoria, non dimenticare mai che lì c’è la sintesi dell’amore del Signore per noi, e la notizia che realmente sconvolge il cuore, lo rende felice, grato e stupito.
Che cosa accade però in noi? Perché non basta che ricordiamo, facciamo memoria, contempliamo, ci rallegriamo e ci meravigliamo. Che cosa accade a noi e in noi quando ci accostiamo all’Eucaristia? Accade, per grazia, che ne rimaniamo coinvolti, che l’amore col quale ci incontriamo è come un vortice che ci porta dentro di sé e che ci trasforma il cuore e la vita. Accade che quando ci incontriamo con Gesù Eucaristia l’amore diventa il nostro nuovo nome, la carità diventa la nostra nuova vita. Quell’amore del Signore che risplende nel mistero eucaristico diventa la nostra nuova legge, il nostro nuovo desiderio, la nostra nuova passione.
Sant’Agostino, incontrandosi con il Signore Gesù, dopo averlo ricevuto nella Comunione, ascolta il Signore che gli parla e che gli dice: “Guarda che con questo cibo non ti accadrà quello che accade quando ti nutri dei cibi materiali. Tu li trasformi in te, quei cibi. Cibandoti di Me ti accadrà qualcos’altro: che tu ti trasformerai in Me”. Questo accade quando noi ci incontriamo con l’Eucaristia: rimaniamo trasformati in Colui che incontriamo, in Colui che riceviamo, in Colui che adoriamo, e diventiamo tutto amore e tutta carità, anche noi; non può essere diverso, perché quell’amore ci cattura, ci cambia e ci trasforma.
Un filosofo celebre, senza saper bene quello che diceva, ma in realtà per una segreta e per lui inconsapevole ispirazione, ha affermato: “L’uomo è ciò che mangia”. È verissimo! Noi siamo quello che mangiamo, noi siamo l’Eucaristia di cui ci cibiamo, noi siamo l’Eucaristia che contempliamo e che adoriamo. È così! Perché la nostra vita, la nostra vita cristiana, ha la forma dell’Eucaristia, ha la forma dell’amore, ha la forma della carità; ha, cioè, la forma della vita e del cuore di Cristo Signore.
Quale, allora, deve essere il nostro rapporto con l’Eucaristia? L’Eucaristia la celebriamo, anzitutto, la celebriamo con la Messa. Si può immaginare una vita cristiana senza la Messa? Dopo quello che abbiamo detto, si può immaginare una vita cristiana senza la celebrazione eucaristica? Ditemelo! Si può immaginare?
San Francesco, in una lettera scritta ai Frati dell’Ordine, si esprimeva così: “Sarebbe una grande miseria e del tutto deplorevole che avendo il Signore lì, presente, con noi e per noi ci preoccupassimo di qualche cosa d’altro, nel mondo intero”.
Come si fa, permettetemi questa sfida alla nostra vita, a passare un giorno senza vivere l’Eucaristia? Come si fa? Come si fa a trascorrere un giorno senza partecipare alla Messa, se abbiamo capito chi è l’Eucaristia, se abbiamo capito che dono è l’Eucaristia?
L’Eucaristia celebrata. Oggi vogliamo ripartire da questa celebrazione con il desiderio, il proposito, l’entusiasmo nel cuore, dicendo a noi stessi: «Voglio provarci a rendere la celebrazione eucaristica l’appuntamento insostituibile di ogni mia giornata».
L’Eucaristia consumata. Lo abbiamo detto: il Signore si è fatto nostro nutrimento. Una santa religiosa, suor Maria di Gesù Crocifisso, conosciuta anche come la piccola araba, quando rientrava tra i banchi della sua chiesa, dopo aver ricevuto il Signore, diceva sottovoce, ma tutti la sentivano, talmente era il suo entusiasmo: “Adesso ho tutto, adesso ho tutto, adesso ho tutto!”. E continuava a ripeterlo!
Ricordo, durante i giorni difficili, tristi, del primo lockdown di questa pandemia, dove non si poteva uscire di casa, e dunque neppure andare in una chiesa, quanto ha vissuto una coppia di sposi, marito e moglie, che abitava nel mio stesso palazzo. In casa avevo la cappella, con l’Eucaristia. Un giorno si fecero coraggio e mi chiesero di poter venire per lo meno un momento in cappella a ricevere il Signore, ogni giorno. Lei, soprattutto, entrando in cappella, e poi prima di ricevere il Signore, piangeva, dal momento che era abituata a ricevere ogni giorno l’Eucaristia e portava nel cuore il peso di non poterLa ricevere. Finalmente tronava a riceverla, e piangeva di gioia.
Noi come ci nutriamo dell’Eucaristia? È Lui! Adesso ho tutto, adesso ho tutto! Chiediamo la grazia di ripartire da questa celebrazione anche noi col desiderio ogni giorno di poter dire con gioia: «Adesso ho tutto, adesso ho tutto», perché ci nutriamo di Lui.
L’Eucaristia adorata e visitata. Il Signore ha voluto essere con noi perché noi potessimo visitarlo e adorarlo, stare con Lui e tenergli compagnia.
Si racconta di San Tommaso, sempre il grande teologo, che durante la giornata spesso lo trovavano con la fronte appoggiata sulla porticina del tabernacolo a dialogare amichevolmente, affettuosamente, da amico e innamorato con Gesù che lì era presente.
Edith Stein, l’ebrea filosofa, diventata cristiana cattolica, morta nel campo di concentramento di Auschwitz, ancora ebrea un giorno entrò in una cattedrale in Germania. Non le era mai successo: entrando in cattedrale rimase stupita; perché? Vedeva persone che entravano; donne, anche di una certa età, con i pacchi in mano, che si inginocchiavano, stavano lì, davanti al tabernacolo, dicevano qualche preghiera, poi un po’ di silenzio e poi ripartivano per ciò che le attendeva. Non era abituata a vedere ciò che accadeva nella cattedrale cattolica. Nella sinagoga, nelle chiese luterane si andava per ascoltare la parola, per l’ufficio divino. Non era abituata a immaginare che si potesse entrare in chiesa e trovarsi amichevolmente col Signore, per parlare di sé, della propria vita, condividere gioie e dolori e ripartire.
Oggi noi ripartiamo da questa celebrazione con il desiderio di adorarla, l’Eucaristia, di visitarla, l’Eucaristia, perché è Lui, Gesù vivo che ci attende, per stare con noi, per donarci il suo amore, per ascoltare il nostro cuore.
L’Eucaristia celebrata, consumata, adorata e visitata. Gesù si è consegnato nelle nostre mani: non è straordinario questo? Perché facendosi pane si è consegnato nelle nostre mani; questo è il suo amore per noi. Allora forse c’è una parola che sintetizza il modo in cui noi siamo chiamati a rapportarci all’Eucaristia e questa parola è: dobbiamo amarla! È così grande l’amore del Signore che l’Eucaristia ci trasmette, che non possiamo non amarla con tutto il cuore e con tutta l’anima! È il tesoro più prezioso che abbiamo, perché è Lui risorto e vivo in mezzo a noi.
Riprendiamo, allora, il nostro cammino, dicendo: «Signore ti amiamo nell’Eucaristia, ti amiamo già, ma vogliamo amarti di più, ancora di più. Vogliamo amarti sempre di più».
Trascrizione da registrazione audio