Cattedrale di Tortona
Siamo in comunione con la Chiesa tutta, con la Chiesa universale di cui, in questi giorni, la basilica di San Pietro e piazza San Pietro sono un segno davvero eloquente. Siamo in comunione con la Chiesa universale, in una preghiera comune che dalla nostra terra sale al cielo di Dio, in un atteggiamento di gratitudine per il Papa emerito Benedetto XVI, un pastore grande; un pastore, nel senso più nobile di questo termine, moderno, non alla moda e per questo attuale ieri, oggi e anche domani.
Siamo in comunione con il Santo padre Francesco. Ne abbiamo intravisto – e immaginiamo – il suo dolore; dalle sue parole conosciamo la stima, l’amicizia che egli ha avuto per Benedetto. In tante circostanze ne ha sottolineato la grandezza e, ultimamente, più volte, anche la santità.
Siamo in un clima di fede, quella fede che, ancora una volta, lo stesso Benedetto XVI ci ha suggerito con le sue stesse parole. Avvicinandosi al termine della vita, egli ha più volte ripetuto: “Non mi avvio verso la fine, ma verso l’incontro”, con quel Signore che egli ha servito e amato in ogni giorno della sua esistenza terrena. Non dimenticheremo, poi, le altre sue parole, – sembra le ultime da lui sussurrate – quelle che ci sono state trasmesse da chi, in questi giorni, gli è stato vicino: “Gesù ti amo”.
Siamo nei ricordi – ciascuno di noi ne ha – per avere visto papa Benedetto, per averlo incontrato, per averlo ascoltato, per averne letto le opere, gli insegnamenti, gli scritti; per aver avuto la grazia straordinaria – nel mio caso e mi sia consentito dirlo – di potergli stare accanto per circa sei anni, servendolo.
Questo, dunque, è il clima della nostra preghiera e della nostra celebrazione eucaristica.
Abbiamo ripetuto con il ritornello del Salmo Responsoriale, cantando: “Tutta la terra ha veduto la salvezza del Signore”. Questa salvezza la vediamo in tante realtà della nostra vita, la vediamo operante nella nostra vita, la vediamo presente nella Chiesa; la vediamo, la tocchiamo con mano, perché il Dio Salvatore è con noi. Questa salvezza, che tutta la terra ha veduto, tante volte risplende su quegli uomini e quelle donne che hanno accolto il Signore e per questo hanno visto fiorire in grandezza e bellezza straordinarie la loro vita. Una di queste vite è quella del Papa Emerito Benedetto XVI. È bello, dunque, oggi ripetere e cantare: “Tutta la terra ha veduto la salvezza del Signore”. Sì, l’abbiamo veduta, questa salvezza, nella vita e nell’opera del Papa Emerito Benedetto; tutta la terra ha potuto vedere, nella grandezza di quest’uomo di Chiesa, l’opera di Dio; tutti noi abbiamo potuto contemplare che cosa significa la salvezza di Dio quando questa è accolta nella vita di un uomo.
C’è un passaggio, nella pagina del vangelo di oggi, che ci aiuta a mettere a fuoco uno dei tratti distintivi della grandezza del Papa Emerito Benedetto. Giovanni il Battista, racconta l’evangelista, vede passare Gesù e dice ad alta voce, quasi gridando, perché quelli che gli sono vicino possano sentire con chiarezza: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo». Giovanni è il profeta della salvezza, del Salvatore e, dunque, è il profeta della bellezza, la cui vita, la cui parola, la cui opera hanno un senso in riferimento a Gesù Cristo e a essere profeta di Lui. Il Papa Emerito Benedetto XVI è stato, come Giovanni Battista, profeta di salvezza e, dunque, profeta di bellezza perché tutta la sua vita e tutta la sua opera hanno trovato significato, centro, motivo in Gesù Cristo, Colui che è il Salvatore, Colui che è la salvezza, Colui che, per questo, è la bellezza.
Mi piace, pertanto, questa sera, pensare a Benedetto XVI come al profeta della bellezza; il profeta che con la sua vita e la sua opera non ha smesso un istante, con ardore, di testimoniarla, annunciando Gesù Cristo, il Salvatore e il Bello, la Salvezza e la Bellezza della vita dell’uomo e del mondo.
Possiamo provare a declinare con più precisione questo annuncio di bellezza, che è risuonato, fedelmente nella vita, nelle parole, negli scritti, nelle opere del Papa Emerito Benedetto XVI.
Egli ci ha insegnato, anzitutto, la bellezza della fede, ovvero la bellezza di quel Dio che si è reso presente in mezzo a noi e si è rivelato a noi nel volto di Gesù Cristo. Non ha smesso un istante di annunciare la bellezza della vita che si incontra con Dio salvatore nel volto di Gesù Cristo, l’amico dell’uomo, l’alleato dell’uomo, il vero amico della vita, il vero alleato della vita. Quante volte ci ha parlato dell’amicizia di Dio con l’uomo, della bellezza di questa alleanza di Dio con l’uomo! Quante volte ci ha parlato della bellezza della fede come di un incontro di amore, in cui l’uomo e l’umanità trovano il senso vero della loro esistenza!
Ci ha insegnato la bellezza della fede, e questo ci ha aiutato e ci aiuterà a ricordare che estromettere il Dio di Gesù, rinnegare il Dio di Gesù, tenere fuori dalla porta della vita il Dio di Gesù è il grande dramma e la grande tragedia non soltanto della vita personale – certo anzitutto di questa – ma anche del nostro vivere insieme. È il dramma e la tragedia delle nostre famiglie, è il dramma e la tragedia dei nostri paesi, è il dramma e la tragedia delle nostre città, è il dramma e la tragedia della nostra storia e del nostro mondo. Ci ha insegnato la bellezza della fede nel Dio di Gesù Cristo, alleato dell’uomo, e così ci ha aiutato e ci aiuterà a non dimenticare che la vera tragedia, il vero dramma per ciascuno e per l’umanità è estromettere il Dio di Gesù Cristo dalla nostra vita.
Egli ci ha insegnato la bellezza della Chiesa, che è il corpo vivente di Cristo nel tempo e nella storia. Una Chiesa che ha le proprie fragilità e debolezze dovute alla nostra umanità, a noi che siamo deboli e fragili che ne facciamo parte. Eppure, nonostante questa debolezza e questa fragilità, il Papa Emerito Benedetto XVI non ha cessato mai di insegnarci la bellezza della Chiesa che è santa, perché è il corpo di Cristo che vive nel tempo e nella storia.
In questo modo ci ha aiutato e ci aiuterà a non cadere nel tranello di parlare male della Chiesa, di addossare alla Chiesa le colpe che sono nostre, di ciascuno di noi, e di vedere sempre nella Chiesa un soggetto vivente, che cammina nel tempo e nella storia, riformabile, certo, ma sempre lo stesso e il medesimo, che in ogni tempo è condotto dallo Spirito Santo; sempre lo stesso e il medesimo soggetto vivente che si riforma, ma nella continuità di un’opera incessante che lo Spirito realizza in ogni tempo della sua storia.
Ci ha insegnato la bellezza della Chiesa e ci ha aiutato e ci aiuterà a conservare nel cuore il senso gioioso e grato per questa bellezza.
Egli ci ha insegnato la bellezza della Liturgia. Tante volte ha ripetuto che la Liturgia è il luogo nel quale cielo e terra s’incontrano, e la terra diventa più bella perché è toccata dal cielo di Dio, rimane trasformata di bellezza perché è toccata dalla bellezza di Dio. In tal modo ci ha ricordato che c’è un primato della grazia nella vita della Chiesa, c’è un primato di Dio nella vita della Chiesa. La Chiesa, infatti, come la Liturgia, non la facciamo noi, perché il protagonista vero è Lui, il Signore, che fa la Chiesa, che fa la nostra vita di santità e di fede, che è primo artefice di tutto.
In questo modo ci ha aiutato e ci aiuterà a non cadere nella tentazione di sentirci noi protagonisti, di pensare di poter essere noi a fare una Chiesa nuova che non può esistere, di essere noi artefici della santità e del cammino spirituale: perché, Lui, il Signore è il protagonista, Lui è l’artefice: è la vita di grazia che ha il primato, è Dio che ha il primato sempre e in tutto.
Egli ci ha insegnato la bellezza della ragione che si apre alla fede e a Dio. Ci ha insegnato la bellezza di una ragione che, quando si fa umile e riconosce di non bastare a sé stessa, aprendosi a Dio e alla fede, raggiunge la pienezza delle sue possibilità e si apre a orizzonti sconfinati, altrimenti impensabili.
In questo modo ci ha aiutato e ci aiuterà a rifuggire da una ragione chiusa in sé stessa e, dunque, soggetta alle ideologie che sono una iattura per l’uomo e per ogni tempo della sua storia. Ci ha insegnato la bellezza della ragione che si apre alla fede e ci ha aiutato e ci aiuterà a non incorrere in quel temibile errore che è la ragione chiusa in sé stessa, motivo di ideologie perniciose, come le tante che sono presenti nel nostro mondo e che possono, oggi, essere riassunte nel tentativo, disperato e destinato al fallimento da parte dell’uomo, di essere lui il creatore di sé stesso.
Egli ci ha insegnato la bellezza della verità, che non è qualcosa di astratto perché è una persona, è un vivente: è Gesù la verità. Ci ha insegnato la bellezza di lasciarsi conquistare dalla bellezza della verità che è Gesù. Ci ha insegnato la bellezza di pensare nella verità che è Gesù, ci ha insegnato la bellezza di giudicare nella verità che è Gesù.
In questo modo ci ha aiutato e ci aiuterà a sottrarci a quella che egli stesso ha chiamato “dittatura del relativismo”, a motivo della quale proprio il relativismo diventa l’unico pensiero possibile, capace di perseguitare ogni altra espressione di pensiero per il suo fanatismo cieco e senza senso. Ci ha insegnato la bellezza della verità e ci ha aiutato e ci aiuterà a rifuggire da quella dittatura del relativismo che s’insinua nelle nostre vite, nelle nostre intelligenze, nella nostra cultura, nel nostro tempo.
Egli ci ha insegnato la bellezza della libertà. Uomo mite e umile, in modo davvero straordinario e santo, delicatissimo e dolcissimo in modo davvero straordinario e santo, con occhi luminosissimi e profondi come pochi altri, ci ha insegnato quella libertà che scaturisce dall’avere in sé la vita del Signore Gesù, mite e umile di cuore. Per questo egli ha avuto il coraggio e la forza di ritirarsi, vivendo la vera libertà nel servizio, la vera libertà da ogni forma di potere, la vera la libertà nel cuore di Gesù. Anche in questo suo gesto straordinario egli si è rivelato Pastore autentico, capace di non mettere sé stesso al centro, ma solo il Signore e il bene vero della Chiesa.
Ci ha insegnato la bellezza della libertà e così ci ha aiutato e ci aiuterà a essere liberi, liberi da ogni idolo, liberi dalla ricerca del consenso e del plauso del mondo, liberi dal peggiore idolo che siamo noi stessi.
Egli ci ha insegnato, infine, la bellezza della speranza, chiamata sempre per nome: Gesù. La sua speranza è stato Gesù, e ci ha insegnato a guardarlo come autentica speranza dell’uomo e del mondo.
Ce lo ha indicato, e così ci ha aiutato e ci aiuterà nel labirinto della storia, nelle difficoltà della vita, nelle oscurità del cammino a non perdere di vista Lui, Gesù Cristo. Perché Lui, Gesù Cristo, è la speranza nel tempo di questo pellegrinaggio e poi, in relazione all’altra vita, il compimento di ogni speranza che si possa dire vera, dal momento che non c’è speranza vera che non sia approdo all’eternità di Dio. Ha insegnato la bellezza della speranza e ci ha aiutato e ci aiuterà a non perdere mai di vista che il Cielo è la vera, unica, speranza, che dà speranza affidabile a ogni passaggio del nostro cammino terreno.
Siamo in preghiera, grati al Signore per la grandezza che ci è stata donata da un pastore profeta di salvezza e di bellezza. Preghiamo. Certo, preghiamo per lui, per il Papa Emerito Benedetto XVI. Preghiamo, però, anche per noi, perché facciamo tesoro della sua straordinaria eredità; e preghiamo anche perché, come da tante parti si dice, si chiede, si spera, un giorno egli possa essere dichiarato Dottore della Chiesa.
Trascrizione da registrazione audio