Omelia – S. Messa per i giornalisti e gli operatori della comunicazione sociale

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Omelia – S. Messa per i giornalisti e gli operatori della comunicazione sociale

Omelia – S. Messa per i giornalisti e gli operatori della comunicazione sociale

Sabato della III Settimana del Tempo Ordinario

  

Siamo qui e ci ritroviamo insieme, anzitutto, per incontrare il Signore nel cammino della nostra vita. Certamente, però, lo incontriamo anche tenendo presente quella professione che caratterizza le nostre giornate e il nostro impegno quotidiano.

E, ora, vogliamo sostare davanti al Signore, rimanendo in ascolto attento della parola che Egli ci ha rivolto. È una parola, dunque, che accompagna il cammino della nostra vita ed è anche una parola che illumina e accompagna il nostro impegno professionale.

 

Abbiamo ascoltato una vicenda che riguarda il re Davide. Si tratta di una vicenda dolorosa, perché Davide pecca gravemente contro Dio, ma, in realtà, non se ne rende conto: la sua vista è annebbiata, è incapace di dire a se stesso che ciò che egli ha compiuto è un abuso grave, che riguarda Dio e che riguarda il prossimo. Incontra il profeta Natan, che si reca da lui a nome di Dio, e il profeta aiuta Davide a fare verità sulla sua vita e sui suoi comportamenti, e c’è una parola che gli trafigge il cuore. La parola è questa: «Tu sei quell’uomo». Natan aveva raccontato a Davide una sorta di parabola, nella quale un uomo commetteva una grave ingiustizia nei confronti di un altro. Davide si era inquietato e aveva detto: «Questo uomo deve essere messo a morte, deve pagare per la sua iniquità»; e Natan, a nome di Dio, gli aveva rivolto questa parola trafiggente: «Tu, proprio tu, sei quell’uomo». A Davide si sono aperti gli occhi, si è spalancato il cuore e la verità è riemersa dalle profondità della vita. Quella parola dura che lo ha raggiunto è stata una parola di grande misericordia, perché la verità, che è ricomparsa nel suo cuore, gli ha consentito un cammino di conversione e di novità.

 

Questa parola ha a che fare con noi e con il cammino della nostra vita, perché abbiamo bisogno, di tanto in tanto, che la parola che Dio ci rivolge e che riemerge dalle profondità del cuore, ci raggiunga, ci trafigga e venga a dirci «Tu sei quell’uomo», per mettere in luce la nostra povertà, il nostro peccato, il nostro compromesso, il nostro tradimento; e questa parola che, nell’immediato, ci apparirà dura, perché trafiggente l’anima, l’avvertiremo anche come parola di grande carità e di grande misericordia, perché è soltanto nella verità che sperimentiamo la libertà; è soltanto nella verità che incontriamo la salvezza; è soltanto nella verità che le oscurità del cammino si illuminano di una luce che dà ristoro, consolazione, serenità e pace.

Custodiamo, allora, nel cuore questa parola che è da Dio: «Tu sei quell’uomo», per riconoscere che siamo poveri, che siamo deboli e, alla luce di questa riscoperta, riprendere il cammino rinnovati, in un modo nuovo, in un modo più vero.

 

Abbiamo ascoltato nella pagina del Vangelo: i discepoli si trovano sulla barca in mezzo al mare, il grande lago di Galilea. A un certo punto, però, il vento si alza, il mare si agita, le onde fanno paura. Gesù è sulla barca, insieme ai discepoli e agli apostoli, ma sembra disinteressarsi di quello che accade e, a un certo punto, i discepoli si rivolgono a Gesù e gli dicono: «Ma non t’importa che moriamo? Abbiamo paura di quello che sta accadendo!». E Gesù impone al mare agitato e al vento impetuoso di calmarsi. Poi, però, ecco la parola che rivolge ai suoi: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». È una parola che raggiunge, certo, i discepoli, ma oggi raggiunge noi, perché – dobbiamo ammetterlo – noi siamo come quei discepoli che hanno paura, hanno timore, mentre attraversano il mare della vita e il mare della storia. E perché abbiamo paura e abbiamo timore? Perché, in fondo, come quei discepoli diciamo a Gesù, direttamente o indirettamente: «Forse non t’importa di noi. Forse ti sei dimenticato di noi. Forse non è così vero quell’amore che pensavamo avessi per noi. Forse quella provvidenza alla quale mi ero affidato non è poi così presente nella mia vita».

 

E, allora, ecco il timore, ecco la paura, ecco quel turbamento che fa dire: «Ma perché? Ti sei forse dimenticato?».   È importante, dunque, che anche questa parola evangelica risuoni nel cuore. È la parola del Signore che emerge dalle profondità e che viene a illuminare, custodire, consolare nella fede: «Non abbiate paura. Non abbiate paura, perché io ci sono, perché vi amo davvero. Io sono provvidenza, io ho cura di voi, vi accompagno mano nella mano».

 

Se queste due parole – lo comprendiamo – sono importanti per il cammino della nostra vita, queste parole sono altrettanto importanti per la professione che caratterizza il nostro impegno quotidiano, anche perché la nostra professione si serve delle parole. E perché queste parole possano essere parole vere, parole di vita, parole di luce, parole che aiutano e accompagnano il cammino della nostra comunità, hanno bisogno di essere abitate, illuminate, purificate dalla Parola, con la “P” maiuscola, che è quella di Dio.

 

Entriamo, allora, nel concreto del nostro impegno quotidiano. Quando si è chiamati con le parole a parlare degli altri, a parlare dei fatti, può accadere che quello sguardo rivolto sempre all’esterno per mettere in evidenza, per valutare, per presentare, perda di vista sé, il proprio cuore, la propria vita. Ma, se questo accade, diventiamo incapaci di uno sguardo non soltanto vero, ma anche pieno di compassione e di verità; e la verità va sempre con la carità, come la carità va sempre con la verità. Se dentro di me metto in evidenza un fatto che accade, qualcosa che avviene, senza pensare “io anche sono quell’uomo, nella mia povertà e nella mia debolezza”, quella parola non è più parola vera e non è più parola che porta dentro l’amore e, dunque, non è più parola che aiuta il cammino della persona e della comunità, non è più parola che illumina e rischiara il percorso della vita, personale e collettiva. Come è importante che l’operatore, il giornalista dei mezzi della comunicazione sociale, mentre parla di altro, mentre parla di altri, abbia il coraggio e l’audacia di dirsi: «Io anche sono quell’uomo».

 

Ma c’è anche l’altra parola, perché il confronto quotidiano con la realtà che, se da una parte porta a scoprire tante dimensioni belle che non andrebbero mai dimenticate e messe in rilievo, porta anche a scoprire tante dimensioni meno belle della vita, della realtà, della comunità in cui si vive. È il mare tempestoso della storia e della vita e questo ci può impaurire, ci può far perdere speranza, può farci perdere fiducia, può darci uno sguardo oscuro sulla realtà, sul presente, sul domani, può renderci pessimisti sulle vicende della storia e dell’umanità. E, allora, quanto è importante che un giornalista, un operatore della comunicazione sociale non smetta di ascoltare quella parola che dice: «Perché hai paura? Perché temi? Non hai ancora fede?». Ecco la parola che dall’alto illumina le parole umane e apre alle parole umane, sempre, un orizzonte di speranza, di fiducia, di prospettiva.

 

Queste due parole, dunque, che il Signore, oggi, ci dona, riguardano il nostro cammino personale, ma riguardano anche il nostro cammino professionale.

 

Quest’anno non celebriamo la Messa nella giornata di san Francesco di Sales, che è il patrono dei giornalisti. Non possiamo, però, fare a meno di ricordare questo nostro grande patrono; e vogliamo ricordarlo con due sue parole preziose, preziosissime, che ancora una volta riguardano la nostra vita personale, ma anche la nostra vita professionale.

 

La prima. San Francesco scrive così: “Fate del Salvatore, del Signore il cuore del vostro cuore”. Come a dire: “Fate di Colui che è verità, amore, parola eterna, il cuore del vostro cuore, cioè la sapienza del vostro cuore, la sapienza del vostro sentire, la sapienza del vostro giudicare, la sapienza del vostro osservare. Ecco, penso che sia nella nostra vita personale, sia nella nostra vita professionale dovremmo andare alla scuola del grande patrono dei giornalisti, per ricordare una parola così preziosa: “Fate del Salvatore, della parola eterna di Dio il cuore del vostro cuore”. Allora sì, le nostre parole sarebbero più belle, più buone, più significative, più capaci di illuminare e di dare prospettiva, più sapienti.

 

C’è anche la seconda parola che vogliamo ricordare di san Francesco di Sales. In un tempo nel quale si parla molto di intelligenza artificiale potremmo, con un gioco di parole, dire a noi stessi che, sì, dobbiamo occuparci dell’intelligenza artificiale, ma occuparci ancora di più di essere artigiani di intelligenza. Questo è ciò che più di ogni altra cosa deve prendere la nostra occupazione personale e professionale. Essere artigiani di intelligenza. Ed ecco san Francesco di Sales che scrive: “Tutto ciò che non è per l’eternità, non è altro che vanità”. Chi opera nelle comunicazioni sociali sa bene come ci sia una vanità in ciò che è trattato, perché una parola risuona oggi e domani non vale più; una notizia vale per il presente, domani è già superata; un accadimento interessa oggi, ma domani non interessa più. Davvero, si sperimenta la vanità, e come è importante, allora, che artigiani di intelligenza, cioè capaci di entrare dentro parole, notizie, fatti accadimenti, non ci lasciamo catturare da ciò che è semplicemente vano, ma in quella vanità sappiamo raccogliere ciò che vale davvero, ed è per l’eternità.

 

Rimaniamo in ascolto di questo grande patrono dei giornalisti e facciamo in modo che sia patrono non soltanto perché lo ricordiamo una volta l’anno, ma perché con le sue parole e il suo insegnamento, davvero, ci troviamo con un “artista della comunicazione sociale”. E che queste due parole rimangano impresse nel nostro cuore di cristiani che camminano nel percorso della storia e nel nostro cuore di professionisti della comunicazione, che ogni giorno sono impegnati in questo campo: “Fate della parola di Dio il cuore del vostro cuore” e “Tutto ciò che non è per l’eternità non è altro che vanità”.

 

San Francesco di Sales vi accompagni e vi aiuti nel rendere sempre più bella, vera, un servizio autentico al bene di tutti, questa splendida professione che è la vostra.

 

Trascrizione da registrazione audio