Passione del Signore. Venerdì Santo
Tortona. Cattedrale
Riascoltando il racconto della Passione secondo il Vangelo di San Giovanni, come è consuetudine, al momento in cui Gesù emise il proprio spirito e, dunque morì, ci siamo inginocchiati e siamo rimasti per qualche momento in silenzio. È un gesto molto significativo, quello che la liturgia ci invita a compiere, ma è importante che non rimanga semplicemente un gesto, un gesto esteriore; è importante che al gesto esteriore corrisponda un atteggiamento interiore e del cuore.
In questo momento, mentre sostiamo in ascolto di quanto il Signore ha da dirci, vogliamo, spiritualmente, stare in ginocchio e rimanere in silenzio in questa semioscurità. Ne siamo avvolti esteriormente, ma desideriamo che ci avvolga anche interiormente, nell’anima. Rimaniamo, dunque, spiritualmente in ginocchio, rimaniamo in silenzio e nell’oscurità. E ascoltiamo.
Pietro, nel momento in cui Gesù è arrestato, viene avvicinato e indicato come uno dei discepoli di Gesù. Che cosa dice per tre volte? «Non lo sono».
«Ma sì, eri con lui, fai parte della sua cerchia. Ti abbiamo visto!». «Non lo sono!». Pietro si vergogna di Gesù; si vergogna, in quel momento, di averlo conosciuto; si vergogna di essere stato con lui; si vergogna di essere stato discepolo; si vergogna di essere stato apostolo; si vergogna di Gesù.
Poco dopo, i giudei possono scegliere: Gesù o Barabba. Chi sarà liberato? Gridano: «Non costui, ma Barabba! Non costui, ma Barabba!». Hanno scelto, hanno preferito un altro. Hanno preferito un malfattore, hanno abbandonato Gesù al suo destino. Non hanno detto: «Preferiamo lui, Gesù!». No! Hanno detto: «Preferiamo l’altro, Barabba. Non costui ma Barabba!».
I soldati romani avvicinano Gesù, che sta per essere crocifisso. Lo deridono e gli dicono: «Salve, re dei giudei!». Gesù è deriso, preso in giro; non è riconosciuta la sua signoria, è trattato come uno schiavo: «Salve, re dei giudei! Tu non sei affatto un re, sei uno schiavo! Tu non hai alcuna signoria, né su di noi, né su nessuno! Sei un servo, sei uno schiavo. Salve, re dei giudei!».
I giudei tornano ancora in scena e protagonisti e, davanti a Pilato, gridano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Pilato stava facendo un ultimo tentativo per liberarlo, ma loro non vogliono «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Hanno desiderato che Egli morisse, che non fosse più davanti ai loro occhi, che non disturbasse più la loro esistenza, che non fosse un intralcio per i loro progetti. «Crocifiggilo! Crocifiggilo!»
Le parole che abbiamo ricordato sono di Pietro, sono dei giudei, sono dei soldati romani… e basta? No! Queste parole sono anche nostre! Noi le abbiamo dette, noi le diciamo.
Siamo noi che, come Pietro, tante volte abbiamo detto: «Non lo conosco!», perché ci siamo vergognati di Gesù, perché abbiamo avuto timore ad avere il suo nome sulle nostre labbra, perché abbiamo avuto paura di parlare di Lui, perché ci siamo nascosti di fronte alla possibilità che ci dicessero: «È di Gesù, crede in Lui, ha la fede!». Noi abbiamo detto: «Non lo sono!». Ci siamo vergognati di Lui.
«Non costui, ma Barabba!». È nostra, questa parola; l’abbiamo detta noi, tutte le volte nelle quali a Gesù abbiamo preferito altro, abbiamo preferito altri, abbiamo messo da parte la sua parola, non ci ha interessato la sua volontà, lo abbiamo scartato dalla nostra vita. «Non costui, ma Barabba!»: è una nostra parola! È una nostra parola!
«Salve, re dei giudei!»: lo abbiamo detto noi tante volte. Quando ci siamo presi gioco della signoria di Gesù nella nostra vita. Lo abbiamo chiamato Signore, ma senza vivere come i suoi. Non abbiamo riconosciuto che Egli è la sorgente della nostra vita, non abbiamo riconosciuto che gli apparteniamo, non abbiamo riconosciuto che siamo suoi, non abbiamo riconosciuto la sua presenza in ogni aspetto del vivere, in ogni ambiente della quotidianità. Non lo abbiamo riconosciuto realmente Signore, Signore nostro, e abbiamo detto: «Salve, re dei giudei!».
Ancora noi abbiamo detto: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». E lo abbiamo detto tante volte… Quando abbiamo estromesso Gesù dalla nostra esistenza; quando abbiamo vissuto senza che Lui avesse nulla da poterci dire; quando abbiamo deciso, senza pensare a ciò che corrispondeva alla sua volontà; quando lo abbiamo dimenticato, quando siamo andati avanti nella vita, crocifiggendolo con la nostra dimenticanza, con la nostra indifferenza. «Crocifiggilo! Crocifiggilo!» è parola nostra.
Mentre siamo spiritualmente in ginocchio, rimaniamo in silenzio, avvolti nella semioscurità, queste parole risuonano dentro di noi, sono il segno del nostro peccato, del nostro dramma, della nostra tragedia, perché sono il segno del nostro “no” a Gesù. Risuonano, si fanno sentire, fanno verità nel nostro cuore, ci mettono a nudo; ci fanno sentire così poveri, così fragili, così ingrati, così cattivi. Sì, così cattivi! Ed è bene che ci facciano sentire così, oggi!
A fronte di queste parole, però, che abbiamo ascoltato nel racconto della Passione e che riconosciamo come le nostre, ce ne sono altre due, quelle di Gesù, le ultime: «È compiuto! È compiuto!»; e è descritto poi ciò che accade: “Chinato il capo spirò”.
«È compiuto!». Che cosa è compiuto? È compiuto l’atto di amore di Dio per noi. È compiuto perché ci ha dato tutto, si è lasciato maltrattare fino alla fine; Non ha messo un argine, non ha detto: «Ora basta!» No! Perché ci ha amato sino alla fine. «È compiuto!» È compiuto l’amore infinito del Signore per noi, è compiuta la misericordia infinita del Signore per noi, tanto che, chinato il capo, spirò. Ma che cosa vuol dire spirare? Vuol dire che, esalando il respiro, l’ultimo, Egli ha pensato a noi. Ci ha donato il suo Spirito. Noi lo abbiamo mandato a morire ed Egli ci ha dato la sua Vita. Noi lo abbiamo condannato ed Egli ci ha salvato. Noi lo abbiamo ucciso ed Egli ci ha dato lo Spirito Santo della vita nuova nel suo amore.
È importante che riascoltiamo quelle parole che mettono in evidenza il nostro peccato e la nostra cattiveria; ma è altrettanto e ancora più importante che ascoltiamo questa parola e che osserviamo questo gesto nel quale l’amore di Dio si fa talmente grande, infinito, che il nostro peccato sembra un nulla. Un nulla! Tanto è grande l’amore del Signore per noi!
Non possiamo non commuoverci pensando che l’amore di Dio in Gesù è stato talmente grande che Egli ci ha salvato attraverso il nostro peccato. Ci siamo salvati uccidendolo! Ci ha salvati perché lo abbiamo crocifisso! Ci ha dato la vita perché lo abbiamo condannato a morte! Ha reso sorgente di salvezza, ciò per cui avremmo dovuto morire per sempre. Questo è l’amore di Dio per noi! Questa è la misericordia infinita del Signore per noi! Questo è! E, allora, oggi c’è solo una parola che possiamo dire a Gesù, solo una, è la parola di un Salmo: “E io vivrò per te!”. Diciamola questa parola: “E io vivrò per te!”
Per chi altro posso vivere? Per chi altro posso dare la mia vita? A chi posso dedicarmi interamente? Chi posso amare se non Te, che mi hai amato e mi ami così, che sei il mio Salvatore così, che hai una misericordia così grande, che mi dai tutto te stesso e la tua stessa vita? Per chi vivrò? Vivrò per te! Diciamolo tante volte nel segreto del cuore, questa sera. Diciamolo adesso, quando farà il suo ingresso qui in mezzo a noi il crocifisso, che ci verrà presentato per l’adorazione. Lo guarderemo, lo adoreremo. Dentro di noi risuoni questa parola, l’unica che possiamo dire con una gioia senza fine, con una gratitudine senza fine, con una consolazione senza fine, con una meraviglia senza fine: “E io vivrò per te!”.
Trascrizione da registrazione audio