Il profeta è testimone della grande tribolazione in cui si trova Gerusalemme, eppure dentro questa grande tribolazione il profeta ascolta nel proprio cuore una voce, una voce che lo invita a parlare, una voce che lo invita a gridare. Questa voce suggerisce anche il contenuto di quella parola e di quel grido: “Il Signore viene con potenza”.
Il profeta non si tira indietro, parla e grida a quella Gerusalemme tribolata la parola della vera consolazione. Nonostante quella tribolazione, Gerusalemme vive consolata perché il Signore viene con potenza.
Il profeta è stato ispirato e in tal modo riesce a vedere, nonostante le apparenze esterne, la presenza fedele di Dio che consola il suo popolo, che accompagna il suo popolo. Viene con potenza, non una potenza umana, ma con la potenza dell’amore. Una potenza che si rivela in una vicinanza fedele, in quella ricerca di colui che è perduto, in un amore che non si tira mai indietro, in una carezza che raggiunge il cuore della città tribolata. Dunque Gerusalemme è tribolata, ma il Signore consola. Il profeta è ispirato nel pronunciare e gridare questa parola: “Il Signore viene con potenza”.
Anche noi, con l’aiuto e la forza dello spirito di Dio, in mezzo al cammino della vita, possiamo dire e gridare “Il Signore viene con potenza”. Forse non potremmo, questo, sperimentarlo nelle realtà esterne, ma sempre lo potremmo sperimentare nel segreto del nostro cuore, perché è questo che dà forza alla nostra vita, è questo che ogni giorno consola, mentre camminiamo lungo le strade della storia. È questo che dà fondamento sempre alla nostra speranza: il Signore viene, continua a venire, non si stanca di venire e viene con il volto del suo amore fedele, eterno e infinito.
Quando il profeta dice “Il Signore viene” parla di una venuta che non è legata ad un tempo, ma a una venuta che è fedele, dunque parla di un amore stabile, di un amore che non viene mai meno. Noi, in virtù dello spirito del Signore, facciamo questa esperienza del Signore che viene, che viene sempre, di un amore che è fedele e che non ci abbandona mai, di una carezza che continuamente incontra il nostro volto. Così, davvero, siamo consolati.
Siamo chiamati a cercare ogni giorno della nostra vita la consolazione vera, perché ogni altra consolazione è passeggera. Ciò che gli uomini e le circostanze della vita possono portarci di consolazione inesorabilmente passa e non ha la capacità di esaudire la grande richiesta del nostro cuore. La consolazione di Dio non passa, perché è fedele ed è l’unica che veramente viene incontro ai grandi desideri che il cuore di ciascuno di noi porta con se. Chiediamo, allora, allo Spirito Santo, come ha suggerito al profeta, quella parola di consolazione sulla Gerusalemme tribolata, che anche nel nostro cuore continui a suggerire la parola della consolazione e soprattutto ce la faccia sperimentare. Ci faccia sperimentare che il Signore viene sempre, che il Signore ci ama sempre, che il Signore ci è vicino sempre, nonostante le fatiche, le sofferenze e dentro le tribolazioni della vita. Lui non viene mai meno! Questa è la roccia che fonda ogni nostra autentica consolazione.
Nella pagina del Vangelo Gesù racconta quella splendida parabola del pastore che lascia le novantanove pecore e va in cerca di quella smarrita. Lo capiamo: è una parabola che parla di noi, perché noi siamo quella pecora smarrita della quale il Signore va alla ricerca, fino a che non l’ha trovata e non l’ha riportata con se, sopra le sue spalle, nell’ovile da cui si era allontanata.
Questa parabola dice la consolazione che noi possiamo sperimentare in virtù della bellezza dell’amore di Dio, perché è proprio tanto bello pensare che noi, pecore smarrite che tante volte ci allontaniamo, ci perdiamo nei sentieri del nostro cammino, siamo sempre, sempre con fedeltà infinita, cercati, raggiunti, ritrovati e salvati dal Signore.
Oggi viviamo la gioia di questa consolazione, dell’amore fedele di Dio che non passa mai e di questo amore che si fa ricerca, paziente, fedele di noi, che siamo tentati di scappare, di allontanarci dal Signore, che nella nostra povertà e nella nostra debolezza cadiamo, eppure Lui c’è sempre, perché il Signore viene stabilmente con la potenza del suo amore.
Questo deve portarci, però, ad un’altra considerazione. Come noi siamo così consolati e abbiamo pace nella potenza dell’amore di Dio, siamo a nostra volta chiamati a consolare coloro che sono nell’afflizione, nella tribolazione e nella tristezza. La più grande tribolazione, tristezza e sofferenza, non dimentichiamolo, è la lontananza da Dio.
Noi che siamo testimoni, in prima persona, di un Signore che viene a cercarci senza stancarsi mai, siamo chiamati a cercare a nostra volta coloro che si allontanano, coloro che cadono, coloro che si perdono.
In questa nostra terra ha vissuto don Orione il cui motto era “Anime, anime”. L’aveva imparato da san Giovanni Bosco che ripeteva spesso “Toglimi tutto, Signore, ma donami le anime”.
Questa sete di anime possa caratterizzare la nostra vita. Questo desiderio di portare la consolazione di Dio-amore a chi non ce l’ha possa caratterizzare la nostra vita. L’ansia di donare la gioia dell’amore di Dio che consola possa caratterizzare la nostra vita.
Ci rivolgiamo alla Madonna. Noi La invochiamo “Consolatrice degli afflitti”, perché è nostra consolatrice, Lei che ci porta l’amore di Dio e ci ricorda la potenza fedele di Dio. Lei ci aiuti anche ad essere, sul suo esempio, consolatori e consolatrici di coloro che sono afflitti.
Oggi, così, la nostra preghiera sale alla Madonna con fiducia: “Portaci la consolazione di Dio, la consolazione che è Dio-amore. Aiutaci ad essere consolatori, portando l’amore di Dio a chi questo amore lo ha abbandonato, non lo conosce, lo ha rifiutato”.