Omelia – Martedì dell’VIII Settimana – Anno II

Home / Omelie / Anno Liturgico / Omelia – Martedì dell’VIII Settimana – Anno II

Omelia – Martedì dell’VIII Settimana – Anno II

Cappella Paolina

Omelia
“Sarete santi, perché io sono santo” (1 Pt 1, 16). Questo imperativo che conclude il brano della Prima Lettera di San Pietro, che oggi abbiamo ascoltato, ci ricorda che la santità di Dio è per ciascuno di noi invito pressante alla santità. Accostarsi a Dio, che è santo, significa rimanere coinvolti nella straordinaria bellezza della Sua santità, provare tristezza e orrore per il peccato, sentire crescere il desiderio vivo di percorrere la via della perfezione evangelica.
Si potrebbe dire che l’autenticità del nostro incontro con il Signore la possiamo valutare proprio dal crescere in noi di questo desiderio. Se la preghiera e il rimanere davanti a Dio non dovessero generare nel cuore un movimento di ascesa verso l’Alto, un’esperienza di nostalgia profonda per le vette della santità, questo significherebbe che la nostra preghiera non ha veramente come interlocutore Dio, che il nostro stare in verità è uno stare davanti a noi stessi e non al Signore.
Iniziamo la nostra giornata rinnovando la contemplazione stupita e gioiosa della santità di Dio. E nella luce di questa santità diamo seguito al desiderio più profondo del cuore, che dirige i passi della nostra vita vero la misura alta della fede, la nostra santificazione.
Il cammino della nostra santificazione per questa giornata lo possiamo trovare delineato in alcuni richiami della Parola che oggi il Signore ci offre.
E’ sempre l’apostolo Pietro a indicare un primo cammino da percorrere: “cingendo i fianchi della vostra mente” (1 Pt 1, 13). L’immagine è molto suggestiva e incisiva. Probabilmente ci è più facile vigilare sulle parole e sulle azioni, perché siano secondo Dio. Più difficile, infatti, è rimanere vigilanti su ciò che passa per la mente, là dove nessuno vede e sente, nel segreto del nostro cuore. Eppure è proprio e soprattutto nel segreto del cuore che siamo chiamati a vivere alla presenza di Dio. Pensieri, giudizi, fantasie, progetti, desideri: non lasciamo spesso briglia sciolta a tutto questo mondo interiore che nessuno vede? Non capita di convivere abitualmente e, a volte, senza più problemi, con un sottobosco che nulla ha a che fare con il mondo di Dio?
Cingere i fianchi della mente significa mettere le briglie all’intelligenza e al cuore, perché il nostro mondo interiore, dove altri non vedono ma Dio vede, sia in tutto e per tutto secondo la volontà di Dio.

L’apostolo prosegue e afferma: “non conformatevi ai desideri di un tempo” (1 Pt 1, 14). Ecco un secondo cammino di santificazione per la nostra giornata. I desideri di un tempo sono certamente i desideri che hanno preceduto la conversione, secondo la parola di San Pietro. Si tratta di quei desideri pagani che abitano l’animo umano prima che vi sia l’incontro con la salvezza in Gesù. Questi desideri “di un tempo”, tuttavia, non solo sono legati a un tempo cronologico che è passato, ma sono tali anche perché ogni volta che ci sottomettiamo ad essi veniamo riportati indietro nel tempo dello spirito e viviamo una vera vecchiaia del cuore.
Tornare ai desideri di un tempo significa, pertanto, fare la triste esperienza della vecchiaia interiore, che intristisce e rende pesante la vita. La giovinezza unica e vera è sempre in Dio e in colui che vive di Dio. I desideri danno forma alla vita; in qualche modo siamo i desideri che coltiviamo. Se i nostri desideri sono quelli di un tempo, la nostra vita non può che essere vecchia e cadente, triste e senza speranza. Se i nostri desideri sono quelli di Dio, la nostra vita sperimenta una giovinezza crescente, la gioia vera e duratura, lo sguardo fiducioso che si proietta sull’orizzonte.
Vigiliamo sui nostri desideri, coltiviamo i grandi desideri di bene, ancoriamo i nostri desideri al Vangelo. Sia la forma della nostra vita corrispondente alla grande bellezza del nostro desiderare in Dio.

Ascoltando la pagina del vangelo, oggi sorge spontanea una domanda da rivolgere a Gesù. Per quale motivo a Pietro, che ti dichiara di aver lasciato tutto e di averti seguito, dopo aver promesso il centuplo, rispondi con le parole: “Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi” (Mc 10, 31)?
E’ una domanda che interpella tutti noi e dalla quale attendiamo la risposta di Gesù. La risposta pare possa essere questa. Pietro, insieme agli altri discepoli, davvero aveva lasciato tutto e si era posto alla sequela del Signore. Ma questo bastava? Gesù sembra ricordare a Pietro e agli altri che il lasciare e il seguire non è dato una volta per tutte, ma si deve rinnovare ogni giorno della vita con sempre nuova intensità. Non basta lo slancio di una volta, non basta l’inizio del cammino, non basta la generosità di un momento.
Il pericolo che corre chi ha lasciato ciò che aveva per seguire il Signore è quello di ritrovarsi ultimo credendosi primo. Perché questo? Perché un po’ alla volta ha ripreso ciò che aveva lasciato e ha smesso di seguire Gesù lungo l’itinerario sempre nuovo che Egli mostra e propone. “Lasciare” bisogna ogni giorno della vita, come anche “seguire”. Lasciare e seguire si rinnovano sempre. Se non si rinnovano rischiano di non essere più veri. Lasciare e seguire sono le parole dell’amore. E l’amore se non cresce e si rinnova è destinato alla morte.
Oggi ci viene offerto anche questo cammino di santificazione: di nuovo la Parola del Signore ci invita a lasciare il mondo e a seguire Gesù. Con cuore limpido chiediamo che cosa questo può significare nel concreto della giornata. Con prontezza impegniamoci a viverlo.

(sintesi del parlato)