Omelia – IV Domenica di Quaresima

Home / In Evidenza / Omelia – IV Domenica di Quaresima

Omelia – IV Domenica di Quaresima

Omelia della IV Domenica di Quaresima -Laetare.

Il tempo della Quaresima è un tempo nel quale abbiamo la possibilità e la grazia di sostare più a lungo sulla Parola di Dio. La nostra relazione con la Parola di Dio è un elemento qualificante del tempo quaresimale e la Scrittura, a proposito della Parola di Dio, usa due immagini che possono esserci utili, oltre a essere particolarmente importanti.

La prima immagine è quella della spada, perché la Parola di Dio è una spada che entra dentro, entra dentro la vita, entra dentro il cuore, entra dentro l’anima. È una spada benefica, che fa bene, perché incide, libera il cuore e l’anima da ciò che non è secondo Dio.

A fianco di questa immagine ce n’è un’altra, quella della parola che entra nel cuore dell’uomo ed è allo stesso tempo miele dolcissimo e sostanza amarissima. Perché quest’immagine? È miele dolcissimo in quanto noi in quella parola scopriamo quello di cui realmente la vita ha bisogno, tocchiamo con mano ciò che pienamente e molto di più risponde alle attese del cuore. E’, però, anche  amarissima, perché mette a nudo la nostra povertà, la nostra miseria, il nostro peccato, non ci lascia in pace nel compromesso con il male.

Queste due immagini ci accompagnino, anche questa mattina, nel momento in cui sostiamo un istante per cercare di rendere davvero nostra la parola del Signore che abbiamo ascoltato.

 

Oggi, in particolare sostiamo su tre parole.

 

La prima è dalla prima lettura. Dio si rivolge al suo popolo e dice: “Moltiplicarono le loro infedeltà”. Dio si rivolge al suo popolo di allora, ma questa parola che Dio rivolge al suo popolo è una parola che ci raggiunge oggi e raggiunge ciascuno di noi, perché tutti noi – lo dobbiamo ammettere – abbiamo moltiplicato le nostre infedeltà. E moltiplicare le nostre infedeltà è un’esperienza del nostro cammino quotidiano.

A volte, capita di sentire tra noi: “Ma io non faccio nulla di male. Perlomeno così mi sembra. Dico le mie preghiere al mattino, alla sera, faccio qualche opera buona”. Ma è proprio vero questo o, purtroppo, è il frutto di un’incapacità di guardare in profondità la vita per cogliere le molteplici infedeltà da cui è caratterizzata? Dobbiamo chiedere una grazia: la grazia di vedere le infedeltà presenti in noi, la grazia di scoprire il peccato che si annida nel cuore, la grazia di toccare con mano il male con cui tante volte scendiamo a compromesso; perché questa parola, che Dio, oggi, rivolge a noi, è una parola vera e, dunque, la moltiplicazione delle infedeltà risponde alla vita di ciascuno di noi.

D’altra parte, moltiplicare le infedeltà vuole dire moltiplicare l’infelicità. Quanto è vero questo! Ogni volta che il peccato entra in noi, ogni volta che il male lo accogliamo, ogni volta che il compromesso con ciò che non è da Dio è norma di vita, siamo infelici. Perché il mondo, oggi, in cui si può fare tutto, in cui si può sperimentare tutto, è profondamente infelice e smarrito? Perché moltiplicare le infedeltà significa, in realtà, moltiplicare l’infelicità. E se questo riguarda il mondo che è fuori di noi, in parte, riguarda anche noi, la nostra vita. Quando moltiplichiamo le infedeltà, moltiplichiamo l’infelicità.

C’è una preghiera molto bella, che a me personalmente piace tanto, è la preghiera del pubblicano al tempio, che si presenta a Dio e dice: “Signore, abbi pietà di me perché sono un peccatore”. Vi confido che è una delle preghiere che maggiormente accompagnano la mia giornata, nella consapevolezza di essere peccatore e infedele: “Abbi pietà di me, perché sono un peccatore, perché sono infedele”. Perché non far diventare questa preghiera, semplice, ma tanto bella, una preghiera che accompagna il nostro rapporto con il Signore, una preghiera che abita dentro le nostre preghiere, una preghiera che diventa il sottofondo del nostro dialogo con Dio? Diciamolo spesso: “Signore, abbi pietà di me che sono peccatore”. Ci aiuterà a vedere meglio, a scoprire di più, a toccare con mano il peccato, il male presenti nella nostra vita e nel nostro cuore.

 

La seconda parola ce la offre la Lettera di san Paolo agli Efesini. Così scrive l’apostolo: “Dio, ricco di misericordia, ci ha fatto rivivere con Cristo”. Come è bello! Perché, oggi, il nostro riflettere sulla Parola di Dio non si ferma, semplicemente, alla considerazione della nostra infedeltà e del nostro peccato, ma si prolunga nella contemplazione grata e gioiosa della misericordia infinita di Dio, che ci fa rivivere. Rivivere! Perché ho usato questa parola? Perché la colpa distrugge, la colpa uccide, ma la misericordia di Dio ricostruisce e ridona vita. Forse ci può aiutare l’immagine di un edificio bello: è la nostra vita. Che cosa comporta la colpa? Comporta che questo edificio diventi meno bello, venga macchiato, cominci a rovinarsi. E più la colpa è grande e più l’edificio si rovina e cade. Eppure, Dio ricco di misericordia, lo fa rivivere, lo ricostruisce, gli ridona bellezza e splendore.

Allora, nel momento in cui ci soffermiamo un istante su questa realtà così bella e così consolante, non possiamo in questo tempo quaresimale non ricordare che il luogo ordinario, preziosissimo che il Signore ci ha donato per questo rivivere e per questo essere ricostruiti è il sacramento della riconciliazione, la confessione. Una piccola condivisione: è mia abitudine avvicinarmi a questo sacramento splendido una volta la settimana, al massimo una volta ogni 15 giorni. Come è bello sentirsi rivivere, sentire che viene ricostruita dalle macerie quella casa bellissima, dono di Dio. Perché siamo così stolti da non voler sperimentare spesso questa gioia, questo rivivere che il Signore ci vuole donare, questa ricostruzione che il Signore vuole fare ogni volta in noi e per noi? È come se volessimo rimanere in mezzo alle nostre macerie, è come se volessimo rimanere lì in un edificio malato, macchiato, reso privo del suo splendore.

Ma perché? Quando il Signore, ricco di misericordia, dalla morte che le nostre colpe ci hanno procurato, vuole farci rivivere in Cristo? Basta con questa nostra stoltezza! Basta! Approfittiamo del dono! Accostiamoci a questo sacramento nel quale Dio ricco di misericordia ci ridà la vita. Ce la ridà! E con la vita la pace vera e la gioia autentica.

 

E infine, la terza parola. Nella pagina del Vangelo Gesù parla con Nicodemo e dice così: «Chi crede in Lui ha la vita eterna». Vedete, noi spesso siamo abituati a pensare la vita cristiana, la nostra vita di fede, come l’insieme delle cose che facciamo per il Signore. Noi preghiamo, e pensiamo di fare qualcosa per il Signore; noi operiamo la carità e pensiamo di fare qualcosa per il Signore; noi cerchiamo di essere buoni e pensiamo di fare qualcosa per il Signore; ma in realtà il cuore e il centro della vita cristiana, della nostra fede, non è quello che facciamo noi, ma quello che il Signore fa per noi. E quello che il Signore fa per noi è il darci se stesso, è il darci tutto, è il darci la vita eterna, che non è soltanto la vita oltre la morte ma è la vita già piena fin da ora. È Lui che ci dà tutto, e in questo darci tutto mette in movimento il nostro cuore e la nostra vita così che noi possiamo rispondergli. Così quello che noi operiamo o cerchiamo di operare da poveretti, è solo la risposta del cuore di fronte all’opera che Dio fa in noi, al dono inestimabile che il Signore fa in noi, a ciò che Egli ci dà: se stesso, tutto, la vita eterna. Per questo la vita cristiana, la vita di fede, anzitutto, è uno stupore, un ringraziamento, una gioia a motivo del fatto che il Signore ci dà tutto: la vita eterna, se stesso, la pienezza. Ed è da lì che scaturisce lo slancio e il desiderio di rispondere con l’amore all’amore che abbiamo ricevuto e riceviamo ogni giorno.

Chi crede “in Lui”: perché ciò che dicevamo divenga realtà siamo chiamati a credere in Lui, cioè siamo chiamati a vivere un rapporto vero con il Signore, siamo chiamati a entrare dentro una relazione viva con il Signore, siamo chiamati ad accogliere questo Signore che vuole essere tutto per noi e che intreccia il suo cammino con il nostro.

Nel Vangelo si dice: non “chi crede a Lui”, perché “credere a” implica un distacco, ma “credere in”, cioè un coinvolgimento con la vita di Gesù. E se questo accade, allora, davvero, abbiamo tutto, perché Egli è la vita piena che ci è donata, Lui è la vita eterna, già qui presente, che possiamo sperimentare, Lui è il tutto che diventa il nostro patrimonio. Credere “in” Lui!

Ancora una piccola condivisione. C’è un’invocazione molto bella che ho scoperto, ancora da seminarista, di santa Giovanna Francesca di Chantal, che lei usava spesso e dice così: “O mio Dio, tutto quello che tu vuoi, io lo voglio. Tutto quello che tu fai, io lo amo. Tutto quello che tu permetti, io lo adoro”. Ed è come dire, semplificando: “Io ti voglio, io ti amo, io ti adoro”.

Questo è credere in Lui: un coinvolgimento vero della vita, del cuore, dell’intelligenza, dei sentimenti, della volontà. “Io ti voglio, io ti amo, io ti adoro!”. Se questo lo diciamo, non soltanto con le parole ma anche con la profondità del cuore, allora, davvero, questo dono straordinario che è Lui – la pienezza della vita e la vita eterna – diventa nostro.

 

Ecco le tre parole. Non le dimentichiamo! Entrino dentro il nostro cuore come spada, come realtà dolcissima e amarissima che ci cambia la vita. Ricordiamole: “Hanno moltiplicato le loro infedeltà”; “Dio, ricco di misericordia, ci ha fatto rivivere con Cristo”; “Chi crede in Lui ha la vita eterna”.

Siano le tre luci che accompagnano l’itinerario quaresimale.