Traccia dell’omelia
E’ sempre la buona Provvidenza che guida l’ascolto della Parola del Signore nella celebrazione liturgica, mettendola in relazione a quanto si sta vivendo. E’ così anche oggi, giorno nel quale ci ritroviamo accanto alla nostra N. per vivere con lei il suo ingresso In comunità. La Parola del Signore, che abbiamo ascoltato, ha certamente qualcosa da dire a tutti noi e qualcosa da dire, in modo particolare, alla N. e a ciò che oggi sta vivendo nella gioia e con qualche emozione.
La prima lettura è un brano dal libro del profeta Geremia (cf. 26, 11.16-24). Il profeta parla a nome di Dio e si rivolge al suo popolo per richiamarlo sulla via del bene, di una vita migliore, di un’alleanza fedele. Ecco la risposta di un popolo che si chiude all’ascolto della voce del Signore: “Una condanna a morte merita quest’uomo” (Ger 26, 11). E’ lecito chiedersi: può forse avere a che fare con noi la vicenda di un profeta che rischia la morte per la parola che ha proclamato? Sì, ha a che fare con noi e con la vita di N., perché quella condanna a morte, a volte, siamo proprio noi a dichiararla alla Parola del Signore, quando ci raggiunge per mettere in discussione la nostra vita, richiamarci alla fedeltà nell’amore di Dio, indicarci la via della conversione e di una vita più conforme alla volontà del Signore. Oggi N. dichiara di voler vivere della Parola di Dio, di volerla sempre accogliere e custodire con cura, di desiderare che la sua vita sia del tutto conforme a quella Parola nella quale è la vita vera e felice. Lo sappiamo: la Parola del Signore è dolcissima, perché risponde in modo sovrabbondante alle grandi attese del cuore dell’uomo. A volte, però, è anche amara perché impone una morte, una croce: chiede il cambiamento, esige di fare verità, che si esca dal proprio comodo e dalle mediocrità. Eppure la dolcezza infinita della Parola del Signore si rivela proprio anche nella sua amarezza, perché la sua è un’amarezza per la dolcezza, un’amarezza di morte che porta la vita, un’amarezza che salva perché ama di un amore infinito.
La pagina del vangelo (Mt cf. 14, 1-12) ci racconta una vicenda legata al tetrarca Erode. Egli aveva conosciuto Giovanni Battista, ne era rimasto affascinato, lo ascoltava volentieri e con interesse quando parlava, ma la sua vita era rimasta legata alle debolezze morali e al compromesso con il male. L’esito di questa drammatica contraddizione interiore vissuta da Erode sarà l’uccisione di Giovanni il Battista. Anche in questo caso è lecito chiedersi: in che modo ha a che fare con noi la triste vicenda di Erode? Ha a che fare con noi, e con N. in particolare, perché Erode possiamo essere tutti. Non è forse vero che anche noi rimaniamo affascinati dal Signore, avvertiamo la bellezza dei suoi doni, sentiamo la verità della sua parola, capiamo che in Lui è la risposta vera alle grandi domande del nostro cuore… e poi viviamo nel compromesso e nella mediocrità? Come Erode anche noi rimaniamo a metà strada, incerti sul da farsi, attratti dalla vita nuova e veramente libera che respiriamo a contatto con il Signore e, tuttavia, ancora legati, agganciati alle catene del mondo, delle nostre passioni, del male che è in noi? Che lo vogliamo o no l’esito di tutto questo non può che essere tragico ed è l’uccisione del dono che ci è stato offerto, la morte della vita nuova che, nella mediocrità, non può sopravvivere.
N. oggi entra nella vita religiosa. Che cosa vuol dire questo “entrare”? Vuol dire che in un modo del tutto nuovo intende introdurre la sua vita all’incontro con il Signore, con la comunità che la accoglie, con il carisma da cui è stata affascinata. Il modo del tutto nuovo è la radicalità dell’ “entrare”. Una radicalità che non sopporta di rimanere sulla soglia, di attestarsi nella mediocrità, di accontentarsi di compromessi. N. non vuole essere Erode! N. vuole che tutto di lei sia di Dio, che tutto di lei entri nella vicenda della comunità, che tutto di lei risplenda del carisma della Comunità.
In questo giorno la Chiesa celebra la memoria di San Giovanni Maria Vianney. Nella preghiera della Colletta abbiamo ricordato il nostro santo come un “mirabile pastore”. Abbiamo tanto bisogno di mirabili pastori! Ma per avere mirabili pastori abbiamo anche bisogno di vite che si offrano al Signore con una vita mirabile. Solo una mirabile offerta della vita può cooperare davvero all’esistenza di mirabili pastori. La nostra cara N. vuole questo: che la sua vita consacrata possa contribuire ad avere la grazia di mirabili pastori. Per questo dovrà rendere la sua vita e la sua offerta di ogni giorno mirabile per santità.
Siamo qui convenuti in questa chiesa per fare corona a N. con la nostra amicizia, il nostro affetto, la nostra preghiera. Chiediamo per la nostra cara N. la grazia di essere sempre discepola che ascolta con passione d’amore la voce del Signore; radicale senza se, ma, però, rimandi nella sua vita di donazione al Signore; mirabile in santità per ottenere dal Signore mirabili pastori.