Omelia – Santa Messa nella Seconda Domenica di Avvento
Incontro con i Movimenti e le Associazioni laicali
Al momento in cui si proclama il Vangelo, nelle feste, nelle solennità, in domenica, viviamo un rito suggestivo, perché quel Vangelo è portato solennemente all’ambone, con le candele accese e col turibolo fumigante di incenso.
È forse questo semplicemente un rito superficiale? No! È un modo semplice, ma significativo e bello, di esprimere la nostra fede. Quale fede? Nel fatto che in quel momento la parola che risuona non è una parola di uomini, ma è la Parola di Dio.
Certo, questa parola risuona attraverso una voce umana, ma quella voce umana è soltanto il tramite, sensibile, della voce di Dio che risuona in mezzo ai suoi. E così è stato ed è oggi. Non per nulla noi rispondiamo al termine della proclamazione: “Lode a te, o Cristo”. Perché la lode la rivolgiamo a Lui che ci ha parlato, che ci ha raggiunto con la sua parola, che ha fatto risuonare la sua voce. Come è importante questo! È importante che lo viviamo sempre nella fede e che, ugualmente nella fede, lo viviamo ora, adesso. Il Signore ha parlato!
È su questa Parola che per un momento ci soffermiamo.
L’Apostolo ci ha ricordato che siamo chiamati a crescere nella carità per poter operare poi il discernimento e decidere su ciò che è meglio. Nella misura in cui accogliamo la parola del Signore in noi, diventiamo capaci di crescere nella carità, cioè di crescere nell’amicizia del Signore e, dunque, anche di operare un discernimento, di valutare il bene e il male, di capire ciò che corrisponde alla volontà di Dio e ciò che non vi corrisponde. In altre parole, la parola che Dio ci dona non è destinata a essere una parola da godere con l’intelligenza o da vivere nel privato, no! È una parola che ci introduce dentro la vita, dentro la quotidianità, dentro la storia, perché questa vita, questa quotidianità e questa storia siano dentro la volontà di Dio.
È con quella parola che attraversiamo il cammino della vita ed è con quella parola che possiamo fare luce su ciò che nel cammino della vita è secondo il Vangelo o non è secondo il Vangelo.
Quando, dunque come questa sera, ascoltiamo la parola che il Signore ci rivolge, dobbiamo fare attenzione e ricordare che quella parola ci è data come un dono straordinario perché la nostra vita concreta sia dalla parte di Dio e non dalla parte del mondo. Ci è data perché diventiamo capaci di distinguere ciò che è da Dio e ciò che è dal mondo. Ci è data perché possiamo sempre vivere in conformità al Vangelo e alla volontà del Signore. Non dimentichiamolo. Dicendo “Lode a te, o Cristo”, non diciamo soltanto “Ti ringraziamo per quello che ci hai detto”, ma affermiamo anche la volontà che quello che Egli ci ha detto diventi luce, orientamento, radice di decisione nella nostra vita di ogni giorno.
Quando si afferma, giustamente, che oggi uno dei drammi della nostra vita cristiana è la distanza tra la fede e la vita, si afferma proprio questo: ascoltare la parola di Dio senza che questa parola divenga principio di vita. Noi non vogliamo questo. Siamo qui per dire, questa sera, che desideriamo che quella parola che il Signore ci dona divenga principio di vita, e che tra la fede e la vita non ci sia più distanza, ma la fede diventi capace di informare la vita, di dare criterio alla nostra quotidianità, di incidere sulla nostra storia.
Nella pagina del Vangelo si afferma che la parola di Dio scese su Giovanni nel deserto. Che strano: poco prima si parla dell’Imperatore, del Tetrarca, del Governatore, dei Sommi Sacerdoti, dei luoghi importanti della terra in cui Giovanni vive. Ma la parola scende su Giovanni nel deserto. Un uomo che vive nel deserto fa l’esperienza della parola che scende su di lui. Ha tanto da dirci, questo, perché ci introduce dentro lo stile di Dio.
La parola di Dio non è rivolta a chi è sicuro di sé, forte delle sue capacità, potente della potenza del mondo. No! La Sua parola scende là dove incontra l’umiltà, la piccolezza, il deserto. È quel deserto che implora l’acqua dal cielo, che riceve l’acqua della fecondità. Non la terra già germogliata, che non ne ha bisogno. È un criterio importante di vita.
Spesso siamo tentati di appoggiarci sulle nostre forze, sulle nostre capacità, sui nostri progetti, ma questo ci impedisce di toccare con mano la potenza di Dio e della Sua parola. Fino a tanto che non ci spogliamo della nostra pretesa di autonomia, anche nella vita cristiana, di poter fare noi, di poter realizzare noi le opere, fino a tanto che questo non accade non possiamo sperimentare la bellezza delle grandi opere che Dio vuole compiere nella nostra vita.
C’è un pericolo che è scritto nel cuore di tutti noi, a livello personale e anche a livello associativo, di gruppo, di movimento, ed è il pericolo di riporre fiducia in noi stessi, di vivere autonomi da Dio, non dicendolo con le parole, ma vivendolo nei fatti; credendo più alle nostre capacità, alle nostre forze, ai nostri talenti, al nostro fare, che alla presenza, all’opera e alla grazia di Dio.
La parola di Dio che scende su Giovanni nel deserto ci ricorda proprio questo: siamo chiamati a sperimentare nella gioia la potenza di Dio che fa grandi opere nell’umiltà della nostra vita, nella povertà della nostra vita, nella consapevolezza che senza di Lui non possiamo nulla! È Gesù che lo ha detto: “Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15, 5). E noi, poveri illusi, tante volte immaginiamo di poter fare senza di Lui, confidando in noi.
Questa parola che scende su Giovanni nel deserto ci ricorda, in modo chiarissimo, che senza il Signore non possiamo fare nulla! Dunque, stiamo nell’umiltà, stiamo nella povertà dello spirito, stiamo nella nostra piccolezza e invochiamo Lui che sa come compiere grandi opere, nella vita di tutti noi. Ecco perché il primato, a livello personale e a livello comunitario, deve averlo sempre e solo la preghiera. Questo è il modo più semplice, immediato, vero di affermare che ci fidiamo di Dio e non ci fidiamo troppo di noi.
Nella stessa pagina del Vangelo troviamo una frase che conclude il brano: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”. Come ogni uomo vedrà la salvezza di Dio?
Si parla di Giovanni, il Battista, è lui che afferma questo. Attraverso la sua parola, in qualche modo, si vedrà la salvezza di Dio. Attraverso la sua testimonianza si potrà vedere la salvezza di Dio che si realizza in Gesù. Molte volte, quando si cerca di rappresentare Giovanni, per trovare la sua identità più vera, lo si rappresenta come un uomo che ha il dito puntato verso Gesù. È così! Perché Giovanni altro non ha voluto, nella propria vita, se non far vedere la salvezza di Dio, mostrare Gesù.
Anche noi siamo chiamati a mostrare la parola di Gesù, a mostrare Lui, con tutto noi stessi. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio se la parola del Signore, se il suo volto risplenderà nella nostra vita, nelle nostre parole, nei nostri occhi, nei nostri gesti, in tutto quello che siamo e facciamo: questo noi lo vogliamo, non possiamo non volerlo, perché per noi l’avere incontrato il Signore significa anche e immediatamente coltivare il desiderio grande, grandissimo che tutti lo possano incontrare e che tutti possano vedere la salvezza di Dio in Lui, e che tutti possano scoprire la gioia della sua grazia e del suo amore.
Quella Parola alla quale abbiamo tributato la lode con l’incenso, con la luce delle candele, col nostro dire “Lode a Te, o Cristo”, possa diventare carne della nostra vita, radice di decisioni nella concretezza della quotidianità. Sia quella parola che porta frutto e che fa grandi cose perché incontra la nostra umiltà. Sia quella parola che attraverso di noi, tutto di noi, risplende nel mondo e fa vedere la salvezza di Dio che è in Gesù.
Camminiamo su questa strada. Camminiamo insieme, nella gioia, nello stupore, nella meraviglia che la parola del Signore ci sia data, nella gioia, nello stupore, nella meraviglia di poterla portare con noi e nel mondo, nella nostra terra.
Trascrizione da registrazione audio