Piccola Opera “Regina Apostolorum”
Omelia
In questa II Domenica di Quaresima, la Liturgia della Chiesa ci conduce sul monte alto della Trasfigurazione, là dove Gesù si manifesta agli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo in tutto lo splendore della sua divinità. Sul monte, quasi a conclusione di quanto accaduto, risuona la voce del Padre che, rivolto agli apostoli, li esorta così a proposito del figlio Gesù: “Ascoltatelo!”.
E’ una parola importante, che vogliamo custodire nel nostro cuore, considerandola alla luce di due particolari, che la parola del Signore ascoltata ci conduce a sottolineare.
Che cosa accade appena dopo che il Padre ha rivolto il suo invito ai tre apostoli? Il Vangelo afferma: “E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo”. Elia e Mosè, prima presenti accanto a Gesù, ora sono scomparsi. Questa scomparsa è ricca di significato: gli apostoli, e noi con loro, sono esortati a prestare ascolto al Figlio Gesù e a lui solo. Non vi possono essere altre parole che portano vita e salvezza. Ormai il Signore Gesù è l’unica Parola vivente che salva la vita dell’uomo. Ogni altra parola e ogni altra voce devono essere ascoltate, capite e interpretate alla luce di quell’unica Parola che il Padre ha donato.
E’ inevitabile l’affiorare della domanda su quale è il nostro rapporto con Gesù e la sua parola. Quante parole umane, quante voci mondane affollano la nostra mente e il nostro cuore, vi dettano legge, ispirano le scelte della vita, i pensieri, i criteri di giudizio! E sono parole vuote, prive di significato e senza speranza perché non provengono da Dio e non hanno la capacità di aprire orizzonti di vita vera, di felicità duratura, di verità e di amore!
Prendiamo, dunque, sul serio quell’ “Ascoltatelo!” che risuona sul monte alto della pagina evangelica! E sia la parola vivente di Dio, il Signore Gesù, l’unica parola alla quale affidare il cammino dei nostri giorni.
Spostiamoci per un momento al libro della Genesi, dove ci viene presentato il drammatico dialogo tra Dio e Abramo. Al patriarca viene richiesto un atto di fede straordinario: sacrificare il figlio della promessa che costituisce tutto il senso della sua vita ormai al tramonto. Aveva vissuto per quel figlio; e ora Dio ne chiede l’olocausto.
La grandezza della fede di Abramo è tutta nella sua risposta alla richiesta del Signore: “Eccomi”. Siamo invitati a entrare dentro questa parola per capire quale intensità debba avere l’ascolto di Dio nella nostra vita di fede. Ascoltare Dio, rimanere aperti e disponibili alla sua parola e alla sua volontà significa lasciarsi strappare desideri, progetti, punti di vista, modi di pensare, criteri di vita. Significa lasciarsi strappare la mente e il cuore per assumere mente e cuore nuovi. Il nostro “eccomi” a Dio deve essere così per essere vero. La parola di Dio, perché è di Dio e non è nostra, sarà sempre “più in là di noi” e sempre ci chiederà di sacrificare qualcosa. Ma questa sacrificare non sarà a nostro svantaggio, bensì a nostro beneficio, per la pienezza della nostra vita. E’ proprio questo ciò che sperimenta Abramo, quando si sente dire: “ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare”.
Impariamo da Abramo a dire “eccomi” al Signore. Impariamo che cosa sia l’ascolto vero della voce del Signore. Chiediamo la grazia di saper raccogliere l’invito del Padre per un ascolto della sua parola che ci strappi da noi stessi e ci permetta di entrare nel mondo di Dio. Questo è il senso della vita!
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L’apostolo Paolo, scrivendo ai Romani, e facendo riferimento alla propria personale esperienza di vita, ci consegna una decisiva convinzione di fede: “Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?”.
La convinzione che l’apostolo ci comunica, in fondo, altro non è che il segno del passaggio dal mondo pagano al mondo cristiano. Quel mondo era immerso nella paura perché non conosceva la presenza e l’opera di un Dio amico dell’uomo. L’avvento del mondo cristiano porta con sé un modo nuovo di guardare la vita, la storia, il futuro, la morte: Dio è amico dell’uomo, lo ama e nutre per lui sentimenti di misericordia infinita. Tutto concorre al bene dell’uomo, perché in tutto vi è il segno di un Dio che è padre amorevole e che vuole il bene per i suoi figli.
Il passaggio dal mondo pagano al mondo cristiano è un passaggio che attraversa il cuore di tutti noi. Chi di noi non ha delle paure? Chi di noi non porta nel cuore le ansie e le angosce per tanti aspetti della vita, non ultimi il dolore e la morte? Eppure queste paure sono il segno di un cuore che non è stato ancora del tutto conquistato dalla fede, raggiunto dalla buona notizia che Dio ci ama appassionatamente.
Perché se Dio è amore e ha a cuore davvero la mia vita, non vi può essere proprio nulla nella vita che non porti il segno di questa presenza. Tutto è per me! Nulla è contro di me! Non vi può essere più niente, di grande e di piccolo, contrario alla mia vera felicità, al mio bene più grande, per quanto le apparenze, a volte, possano far pensare diversamente.
Domandiamo la grazia di lasciarci una volte per tutte raggiungere dalla consolante notizia dell’amore di Dio; domandiamo la grazia di saper vivere ogni giorno della vita in questa fede.
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Torniamo ancora per un momento sul monte della Trasfigurazione e lasciamoci condurre per mano da due grandi uomini della nostra storia di fede: sant’Ambrogio e san Tommaso.
Dice Sant’Ambrogio: “Non con i passi del corpo, ma con le tua azioni elevate sali questa montagna. Segui Cristo, in modo che tu stesso possa divenire monte”. Come è bello questo invito del santo Vescovo di Milano! Egli ci esorta ad ascendere verso l’alto con le opere della nostra vita, così da divenire noi stessi un monte sul quale la bellezza di Dio possa rendersi manifesta al mondo. Questa è la nostra chiamata, la nostra vocazione! Si ripete spesso e con grande verità che l’evangelizzazione e l’annuncio del vangelo procedono per via di attrazione. Questa è l’attrazione che siamo tutti chiamati a esercitare in mezzo al mondo in cui viviamo: quella che deriva da una vita nella quale si rende presente Dio, nello splendore del Suo amore e della sua verità per la vita dell’uomo, nel fascino di un’esistenza nella quale brilla la bellezza del volto del Signore. Di questo ha bisogno il mondo, sempre e in particolare in questo nostro tempo così arido di presenza di Dio e proprio per questo così assetato di Dio.
Afferma, inoltre, san Tommaso che la speranza è “il presente del nostro futuro”. Ciò che hanno vissuto gli apostoli sul monte con Gesù ha donato loro la speranza. Il futuro di gloria che su quell’alto monte hanno potuto contemplare li ha accompagnati per il resto del loro cammino terreno come fattore di speranza e di gioia. Per loro, da allora, il futuro è divenuto il presente che ha illuminato di nuova speranza l’intera loro vita. Così possa essere anche per noi: l’esperienza della preghiera e del quotidiano incontro con il Signore sia il futuro che dona luce al presente, sia il domani impresso nel cuore che dona fiducia e gioia nel pellegrinaggio terreno verso la patria del Cielo.
(trascrizione da registrazione)