Le tre “A” del tempo quaresimale
Ritiro di Quaresima on line
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Il tempo forte della conversione
Ogni anno, all’approssimarsi della Quaresima, ci sentiamo ripetere, e anche ripetiamo a noi stessi: “Ecco il tempo della conversione”. Come è ovvio, non vi è nulla da eccepire davanti a questo provvidenziale richiamo. A condizione, però, che un tale richiamo non venga snaturato nel suo significato più profondo, più vero e più bello.
Se, infatti, il termine conversione dovesse indicare semplicemente un percorso faticoso, orientato a un nostro perfezionamento spirituale, questo stesso termine sarebbe svuotato della sua componente più tipicamente cristiana. In questo senso, infatti, un cammino di conversione potrebbe viverlo chiunque avesse a cuore il miglioramento morale e spirituale della propria vita.
La domanda, pertanto, che è necessario porsi, è la seguente: per quale motivo mi è donato un tempo di conversione? E inoltre: per quale ragione ogni anno la Chiesa mi invita a vivere con grande serietà il tempo della Quaresima? La risposta a questa domanda la conosciamo tutti molto bene. Ma non sempre, poi, la nostra vita procede di conseguenza rispetto a quanto conosciamo.
Per essere più diretti e precisi. Noi viviamo il tempo della Quaresima in una prospettiva compiutamente cristiana, nella misura in cui il nostro itinerario di conversione ci orienta con rinnovata decisione e radicalità a Gesù, il Signore della vita, della nostra vita. Anzi, dire il vero, dovremmo affermare che il cammino quaresimale tende a fare in modo che la vita di Cristo prenda forma in noi, che questa possa rendersi presente in tutte le sue potenzialità, che possa diventare un po’ più corrispondente al reale per noi la parola di san Paolo: “Per me il vivere è Cristo e morire un guadagno” (Fil 1, 21).
In altri termini ancora, è giusto dire che per noi la Quaresima è il tempo di un rinnovato amore per Colui che è il Tutto della vita, un periodo atteso con trepidazione per tornare nel deserto biblico dell’innamoramento con lo Sposo divino, che è al centro del nostro cuore, dei nostri pensieri, dei nostri progetti, dei nostri sentimenti.
Non si tratta, pertanto, di vivere il tempo quaresimale per un qualche motivo, pur nobile, importante, moralmente elevato, ma di viverlo per Cristo, con Cristo e in Cristo, riconosciuto ancora una volta come Salvatore della nostra vita, Principio e Fine del mondo e della storia.
Potrà, forse, esserci utile al riguardo fare memoria di alcune affermazioni che ritroviamo nell’insegnamento dei santi. Pensiamo, per esempio, a san Bernardo, quando scrive: “Transformamur cum conformamur”, che tradotto significa “Siamo trasformati quando siamo conformati. Ecco, in estrema sintesi, quanto abbiamo ricordato fino adesso a noi stessi: quando viviamo, con entusiasmo e nella logica dell’amore, il cammino della conformazione a Gesù, allora ne consegue anche una vera nostra trasformazione, conversione.
Gesù! Questo nome, che deve appassionarci fino alle lacrime, la cui vita deve essere davanti ai nostri occhi notte e giorno senza soluzione di continuità, il cui Cuore deve risultare la nostra stabile e gioiosa dimora, il cui amore sponsale e di misericordia solleva come su ali d’aquila la nostra vita… Gesù sia davvero tutto per noi, in questo tempo provvidenziale nel quale la Chiesa ci introduce ancora una volta.
Scriveva san Vincenzo de’ Paoli a un confratello: “Ricordatevi che noi viviamo in Gesù Cristo per la morte di Gesù Cristo, e che dobbiamo morire in Gesù Cristo per la vita di Gesù Cristo, e che la nostra vita deve essere nascosta in Gesù Cristo e piena di Gesù Cristo, e che per morire come Gesù Cristo, bisogna vivere come Gesù Cristo”.
Sant’Agostino, commentando il vangelo di san Giovanni e il mistero salvifico della nostra relazione con il Signore, annotava: “Rallegriamoci, dunque, e rendiamo grazie a Dio! Non soltanto siamo diventati cristiani, ma siamo diventati Cristo stesso. Capite, fratelli? Vi rendete conto della grazia che Dio ha profuso su di noi? Stupite, gioite: siamo diventati Cristo!”.
Il tempo delle tre “A”
Ora che abbiamo ricordato, chiarendolo, il senso più profondo e bello della conversione, possiamo individuare alcuni ambiti di impegno del nostro itinerario quaresimale. Ambiti di impegno che desideriamo vivere proprio nella logica di un inserimento ancora più integrale nella vita di Cristo. Parlo di tre “A” quaresimali, dal momento che gli ambiti di impegno che intendo richiamare hanno la lettera “A” come iniziale.
Quaresima come “Adorazione”
San Pier Giuliano Eymard avvertiva con preoccupazione: “Il nostro secolo è malato perché non si adora”. Il Santo aveva davanti ai suoi occhi la cultura e lo stile di vita del suo tempo, il ‘900; ma avvertiamo tutti come la malattia alla quale egli si riferiva interessa ogni tempo della storia, il nostro tempo come anche la nostra vita personale e comunitaria. E’ lecito, infatti, affermare, che una nostra grave malattia spirituale è la mancanza di adorazione.
Nel domandarci il perché, attingiamo all’insegnamento di Romano Guardini che, nel suo celebre testo Introduzione alla preghiera, così riflette: “L’adorazione è il vivente attuarsi del fatto che Dio è, semplicemente, grande e l’uomo invece, semplicemente piccolo. L’adorazione dice: Tu sei Dio, io sono l’uomo. Tu sei colui che davvero è, per forza Tua, essenzialmente ed eternamente; io sono attraverso Te e davanti a Te. Tu hai tutta la pienezza del valore, tutta l’altezza della mente, sei Signore di Te stesso e a Te stesso felicemente basti. Il senso del mio esistere, invece, viene a me attraverso Te: io vivo nella Tua luce e le misure della mia vita son in Te”.
Poi, lo stesso Guardini, sempre nel testo citato, aggiunge: “Così dobbiamo praticarla. Raccoglierci: nel raccoglimento farci presente la grandezza di Dio e davanti a essa inchinarci con venerazione e nella libertà del nostro cuore. Allora si fa la verità in noi, la verità della vita. I rapporti dell’esistenza si ordinano e le misure vengono rettificate. Questa verità ci farà bene. Essa rimetterà a posto quello che attraverso la confusione e l’inganno della vita è stato sconvolto. Noi diverremo spiritualmente sani e potremo cominciare una vita nuova”.
Non è difficile, per ciascuno di noi, ammettere che entriamo nel tempo della Quaresima proprio nella condizione spirituale che Romano Guardini ha così bene delineato, dicendo che la nostra vita è rimasta sconvolta dalla confusone e dall’inganno. E’ proprio vero: confusione e inganno ci hanno portato a dare peso e importanza a ciò che peso e importanza non ha, a credere essenziale ciò che è solo accessorio, a mettere al primo posto degli interessi ciò che non merita un tale primato, a trattare il Signore non più come cuore e centro della vita, l’Amore che tutto fonda, che tutto accompagna e che a tutto dona significato.
Ecco perché è tanto importante che nel periodo quaresimale intensifichiamo il tempo dell’adorazione, dell’adorazione eucaristica. E vi siamo fedeli, costi quello che costi. Sarà un modo semplice e quotidiano, ma quanto mai efficace, per recuperare il primato di Dio nella nostra vita e per rimettere ordine nella confusione delle nostre relazioni a ogni livello: con noi stessi, con altri, con le cose. Quando il Signore non è adorato, il caos ingarbugliato si insinua nella vita e nelle scelte. Ma quando il Signore è adorato nella verità, allora è il cosmo armonioso – per stare al linguaggio della Genesi – che prende forma nella nostra esistenza.
Una domanda, pertanto, deve accompagnare la nostra vita comunitaria e personale, in vista di decisioni generose e coraggiose. Qual è il tempo che dedichiamo ogni giorno all’adorazione? Con quale cura proteggiamo questo tempo dall’invadenza di altre occupazioni e preoccupazioni, che ne mettono a repentaglio l’integrità quotidiana? La Quaresima non potrebbe offrire l’occasione per ampliare il tempo della nostra sosta adorante davanti all’Eucaristia? E non potrebbe offrire anche l’opportunità per rimanere ai piedi del Signore, in solitudine e come comunità, in qualche ora della notte? Siamo pronti a sacrificare il nostro tempo e le nostre energie per tante attività a dir poco non essenziali; non saremo capaci, nella gioia, di sacrificarlo per il Signore e nell’espressione del nostro amore per Lui?
Riflettendo sulla propria personale esperienza dell’adorazione, santa Elisabetta della Trinità scriveva: “L’adorazione è una parola del cielo più che della terra. Mi pare che possa definirsi l’estasi dell’amore. E’ l’amore schiacciato dalla bellezza, dalla forza, dalla grandezza immensa dell’oggetto amato, che cade… in un silenzio pieno e profondo… E’ lasciare sé stessi e passare in un Altro”.
Preghiamo con fervore, chiedendo che il tempo della nostra conversione a Gesù possa caratterizzarsi per un tempo di più prolungata e intensa adorazione eucaristica.
Quaresima come “Ascesi”
Il termine “ascesi” non è molto abituale nel nostro linguaggio. E forse neppure nel nostro stile di vita. Siamo tutti un po’ debitori del nostro tempo e della cultura che lo caratterizza, certo non molto propensa al sacrificio e alla rinuncia. Può darsi che in passato si sia anche insistito troppo su rinuncia e sacrificio, soprattutto dimenticando di ricordarne con cura le motivazioni più vere. La storia, anche della spiritualità, conosce sempre la legge del pendolo: da una parte e dall’altra, troppo o troppo poco.
Certamente la Chiesa, nella sua sapienza, non dimentica neppure oggi di richiamare l’ascesi, quale componente importante anche del percorso quaresimale. E’ decisivo richiamarne la motivazione fondamentale. La motivazione è l’amore. Chi, in effetti, anche nelle realtà umane, non è pronto a grandi sacrifici e a grandi rinunce per amore di una persona amata, di un ideale grande, di uno scopo alto che ci si è prefissi di raggiungere? Chi potrebbe obiettare che, in tutti questi casi, come in altri, è l’amore che sospinge e che neppure fa avvertire il peso della rinuncia e del sacrificio? Come affermava sant’Agostino, da grande conoscitore del cuore umano: “Quando si ama, non si fatica, o, se si fatica, questa stessa fatica è amata”.
D’altra parte, non è stato l’amore infinito di Dio a esigere – mi si passi questo termine – il sacrificio della croce? Non è stata la misericordia infinita del Cuore di Gesù a dettare la Sua adesione incondizionata al disegno del Padre, che lo avrebbe condotto alla Passione e alla Morte?
Una domanda, allora, si impone: non sarà che una certa ritrosia davanti alla prospettiva di una vita ascetica più severa riveli, in realtà, una deficienza nell’amore? E’, poi, esperienza comune a tutti noi: quando, qualche volta, abbiamo compiuto sacrifici e rinunce nelle cose che riguardano Dio, ci siamo ritrovati più innamorati. Se il sacrificio e la rinuncia sono il frutto di un grande amore, è anche vero che la rinuncia e il sacrificio sono un seme prezioso per la crescita dell’amore.
Così ritrovati, rinuncia e sacrificio sono parte integrante di un itinerario di conversione che desideri essere una vera conversione a Cristo e al Suo amore.
Potrà esserci utile ricordare quanto annotava santa Teresa d’Avila, a proposito della sua personale esperienza: “Gli esercizi della vita religiosa mi erano deliziosi, e provavo soprattutto una speciale compiacenza quando mi capitava di dover spazzare in quelle ore che prima ero solita dedicare alla vanità. Rimanevo stupita io stessa, non sapendo da dove ciò provenisse. Sentivo di vedermi finalmente liberata da tutte le mie miserie. Al ricordo di quell’intima soddisfazione non c’è cosa che oggi io non sia pronta a fare, per difficile che sia. L’esperienza che ho avuta di molti casi simili, mi ha fatto ormai comprendere una verità: in premio della piccola violenza che debbo fare in principio per risolvermi a certe cose, il Signore è sempre pronto a ricompensarmi fin da questa vita con favori che possono essere apprezzati soltanto da chi li gode”.
L’apostolo Paolo, lo ricordiamo certamente tutti, usa, e non solo un volta, la suggestiva immagine della corsa, al fine di illustrare una vita cristiana fervorosa. Soffermandosi, poi, su questa immagine, egli guarda a coloro che, per raggiungere una meta semplicemente umana e una gloria solo terrena, si sottomettono a sacrifici di ogni genere, pur di conseguire il risultato sperato. In tal modo, l’ascesi cristiana appare come la diretta conseguenza di un amore per il Signore non ancora appagato, di un desiderio di Gesù che quasi impone un esercizio assiduo pur di essere placato, di una volontà ferma e disposta a tutto pur di vivere in pienezza la comunione di vita con il Signore.
Chi è amato e ama corre, non si accontenta di camminare. L’impressione che si ha nella vita dei santi, in effetti, è che su di loro incomba quasi un’ansia. La corsa diviene in loro una necessità abituale, non un atto da compiere nell’entusiasmo di un momento. E’ un abito di sollecitudine, di amorosa impazienza nel rispondere a Dio che investe tutto l’essere, di prontezza a lasciare tutto ciò che, in un modo o nell’altro, possa impedire la risposta all’Amato. In realtà, se è vero e non facile illusione, l’amore attrae irresistibilmente e la sua intensità determinerà l’intensità della nostra ascesi, intesa come ricerca di Dio.
Scrive san Gregorio Nazianzeno: “L’anima liberata dalle cupidigie terrene si fa più ardente di giorno in giorno e cammina sempre più velocemente salendo a mete più eccelse. E così, con un desiderio costantemente accresciuto, sorge e vola sempre più in alto”.
Domandiamoci, allora, in quale forma e secondo quale intensità è presente la dimensione ascetica nella nostra vita personale e comunitaria. Domandiamoci, anche e soprattutto, se rinunce e sacrifici, sia accolti dalla vita sia ricercati volontariamente, sono da noi abbracciati quali forma di un amore che desidera con tutte le proprie forze corrispondere alla chiamata dell’Amato.
Preghiamo con fervore, chiedendo che il tempo della nostra conversione a Gesù possa caratterizzarsi per un tempo di più generosa ascesi.
Quaresima come “Ascolto”
Ritengo del tutto provvidenziale che, nel tempo della Quaresima, si abbia la gioia di celebrare la solennità di san Giuseppe. La sua figura, infatti, si inserisce naturalmente nel clima proprio di questo periodo liturgico. Mi riferisco, in particolare, al clima dell’ascolto.
San Giuseppe, lo sappiamo bene dai Vangeli, è l’uomo di cui non si riferisce parola che abbia pronunciato, neppure una. Non perché non abbia avuto la capacità di parlare, ma per sottolineare che, nella sua vita, la precedenza è sempre stata data alla parola di Dio e, pertanto, all’ascolto. Giuseppe è colui che ascolta, che di ascolto vive e che, per ascoltare, attende senza stancarsi.
In un testo molto bello, L’ombra del Padre, scritto in forma di romanzo dall’autore polacco Jan Dobraczinski, il padre putativo di Gesù viene così descritto, nella sua fisionomia interiore prevalente: “Fin dai primi anni di vita amava il silenzio. Il silenzio gli parlava più nitidamente della voce. Esigeva sempre la medesima cosa: attendere. Accanto scorreva la vita, irrequieta e rumorosa. Cadevano tante parole inutili, tante lamentele pronunciate alla leggera, tante assicurazioni che in verità non significavano nulla… Stava confitto in quello scorrere con il suo silenzio, come un sasso nell’alveo del torrente. Attendeva, anche se a dire il vero non sapeva che cosa. Attendeva ciò che gli doveva il silenzio”.
La descrizione è molto bella, e molto vera. Forse, proprio per questo, nella vita di san Giuseppe ha molta importanza il sonno, come anche il sogno. Il momento del dormire, infatti, come anche quello del sognare, dal punto di vista biblico non indica tanto un’attività, un progetto, un desiderio che si vuole realizzare, quanto piuttosto quel tempo della giornata nel quale ogni attività cede il passo all’attesa, il progetto personale fa spazio all’accoglienza, il desiderio e la parola tacciono e si ascolta una voce che parla nel silenzio.
E così, infatti, proprio nella passività del sonno e del sogno, san Giuseppe ascolta la voce di Dio, entra in sintonia con la Parola che dall’alto viene a plasmare la sua vita, ode la Voce nella quale aderisce alla volontà del Suo Dio e Signore. Il falegname di Nazaret ascolta e attende. E, finalmente, quando è del tutto spoglio di sé, la Parola lo raggiunge.
Quanto abbiamo da apprendere da san Giuseppe! La nostra Quaresima sarebbe certamente più autentica se lo prendessimo a esempio di silenzio e di ascolto. E il nostro silenzio e il nostro ascolto sarebbero più veri se rimanessimo più a lungo alla sua scuola.
Permettetemi, allora, una piccola proposta. Perché, nei giorni della Quaresima, non dedichiamo un tempo della nostra preghiera personale al solo ascolto, nell’attesa che il Signore parli al nostro cuore? Per noi, quasi sempre, il tempo dell’orazione è tempo di parole e di pensieri, di letture e di riflessioni, di lodi, ringraziamenti, suppliche e intercessioni. Proviamo a rimanere, in silenzio, davanti al Signore, semplicemente disponendo il cuore all’ascolto di Lui, con il solo desiderio di udire la Sua voce, di scorgere la Sua volontà. Allora verrà il momento nel quale una Parola, mai prima udita, si imprimerà nella nostra mente, con una forza sconosciuta, con lo splendore di una luce mai vista, con la dolcezza di un gusto che non è di questo mondo. Vedremo fiorire in noi, senza nostra alcuna partecipazione, un pensiero inatteso, un’idea a cui non avevamo mai pensato, un’ispirazione che avvertiamo del tutto donata. Perché Dio parla, e parla sempre. Ma è necessario vivere l’attesa e il silenzio nell’ascolto.
Se san Giuseppe è compagno prezioso nel cammino della Quaresima, soprattutto in merito alla dimensione spirituale dell’ascolto, compagna preziosissima in questo stesso cammino è la Madonna. Anche di Lei, provvidenzialmente, spesso durante l’itinerario quaresimale, si celebra una solennità: quella dell’Annunciazione.
Capiamo bene come anche questa ricorrenza liturgica ci dia l’opportunità di guardare a Maria nell’atto dell’ascolto. Il Suo dialogo con l’angelo, infatti, è la prima tappa di un itinerario interiore, che i Vangeli riescono a esprimere con una semplice annotazione: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”.
In Lei l’ascolto, che ha certamente le stesse caratteristiche che ritroviamo in Giuseppe, si esprime anche per il tramite di una meditazione che è “custodia nel cuore”. Maria custodisce, perché al momento non riesce a capire. Custodisce e attende che quella parola “muta” divenga parlante; che quella parola senza suono divenga armoniosa, che quella parola oscura divenga limpida e luminosa. Il custodire di Maria è, in certo modo, l’attendere di Giuseppe.
Ma in Maria, il custodire arricchisce l’attesa di un’altra dimensione: quella dell’affiancare e mettere in relazione. Nel cuore della Madonna una parola si affianca all’altra, una parola entra in relazione con quella successiva, un fatto della vita si intreccia con un altro fatto. E così, un po’ alla volta, tutto prende forma, il disegno di Dio si fa chiaro e la Sua parola diviene annuncio di salvezza, che riempie il cuore di meraviglia e dona gioia alla vita. Non ritroviamo, forse, tutto questo nel canto del Magnificat? Il canto nel quale Maria “vede” nella fede l’opera di Dio, “ascolta” nella fede la parola di Dio, contempla nella fede il disegno di Dio. Possiamo dire che il Magnificat è il frutto dell’ascolto di Maria, è il disegno di Dio che appare in virtù del custodire.
Alla scuola della Madonna, il tempo della Quaresima potrà essere periodo propizio per vivere con rinnovata intensità l’ascolto di Dio e della Sua parola. E preghiamo con fervore, chiedendo che il tempo della nostra conversione a Gesù possa caratterizzarsi anche per questo.
Il tempo della carità
Ho letto che il marito della serva di Dio Chiara Corbella, testimoniando la propria esperienza accanto alla moglie, ha avuto modo di affermare in relazione alla santità, cui tutti siamo chiamati: “La storia cristiana non si fa con i «se», ma con i «sì»”.
Prendo a prestito questa felice intuizione, mentre mi appresto a concludere la meditazione. In effetti, in queste parole semplici e profonde, ci viene ricordato che l’autenticità della nostra fede la possiamo valutare sulla base delle nostre opere. E’ verissimo: non sono le opere a salvarci. Chi ci salva è solo il Signore Gesù con la potenza della Sua grazia e della Sua misericordia. Ma il frutto di questa salvezza che ci è donata, l’esito dell’incontro con Cristo che redime la nostra vita non può che rendersi presente e visibile nelle opere, che portano il segno inequivocabile della carità.
Dico questo, perché il nostro itinerario di conversione a Gesù deve – lo ripeto – deve condurci a uno stile di vita nel quale, perlomeno, si vede il nostro impegno senza riserve nel vivere la carità del Cuore di Gesù. Se Gesù è il centro della nostra vita, se Gesù è l’amore che ci ha conquistato, se Gesù è il Signore a cui abbiamo lasciato carta bianca, allora è inevitabile che la Sua stessa vita abiti la nostra, che i Suoi stessi desideri siano i nostri, che i Suoi sentimenti e pensieri siano i nostri. E, pertanto, che la carità del Suo cuore batta nel nostro e illumini tutto di noi.
Le stesse tre “A”, che hanno costituito l’oggetto della nostra meditazione ci auguriamo possano essere vie sicure di conversione in questo tempo della Quaresima, saranno realmente vissute da noi se risulteranno essere la radice di una vita rinnovata nell’amore del Cuore di Gesù. Altrimenti, dobbiamo avere il coraggio di dircelo, saranno state soltanto occasioni perse, nelle quali avremo vissuto una forma di ripiegamento sterile su noi stessi, nell’illusione di entrare in relazione più intima con il Signore, ma, in realtà, avendo solo guardato allo specchio la nostra immagine.
Non sto a dilungarmi sul tema della carità, che non è strettamente l’oggetto del nostro meditare. Rileggo solo, insieme a voi, un testo di un celebre autore spirituale. Forse potrà aiutarci nel cammino della carità, in Quaresima, soprattutto nella sua applicazione comunitaria: “Quando ci viene detto qualcosa troppo rudemente, non occorre rispondere sullo stesso tono, né sentirsi ferito o amareggiato e via dicendo. Il fuoco della nostra carità non deve essere così male acceso che poche gocce d’acqua bastano per spegnerlo. E’ auspicabile che si evitino le espressioni, le parole, le azioni che possono provocare scontento ai propri fratelli; è però altrettanto auspicabile che nessuno sia così facile da ferire e così delicato da essere turbato da un nonnulla, tanto da inacidirsi immediatamente, da alzare la voce, da offendersi o da perdere la pace dell’anima. Questo non farà altro che accrescere ancora di più la passione e la collera. Una palla di cannone attraversa una torre con fracasso orrendo, ma se si schianta su un sacco di lana si ammortizza e perde interamente la sua forza. Talvolta il risentimento viene perché qualcuno ha detto parole eccessivamente aspre e qualcun altro ha reagito troppo vivacemente: bisogna allora riconciliarsi non appena possibile ‘perché il sole non tramonti sulla collera’ (Ef 4, 26) e chiedersi reciprocamente scusa. Bisogna fare anche di più: bisogna precedere il proprio fratello ‘affinché non ci rapisca la corona’ (Ap 3, 11), cioè il merito, In effetti colui che chiede perdono per primo, l’ha sicuramente conquistata” (Alfonso Rodriguez).
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Concludo con un brevissimo atto di contemplazione rivolto alla misericordia di Dio. Sia perché la Quaresima è tempo di misericordia, sia perché sarà salutare guardare a ogni nostra caduta, nel cammino pur generoso della conversione, dal punto di vista della misericordia. In questo atto ci aiuta santa Teresa di Gesù Bambino. E’ suo il racconto che andiamo a riascoltare: “Un re in una partita di caccia inseguiva un coniglio bianco, che i suoi cani erano sul punto di raggiungere, quando la bestiola, sentendosi perduta, ritornò rapidamente e saltò tra le braccia del cacciatore. Costui, commosso da tanta fiducia, non volle più separarsi dal coniglio bianco, e non permetteva a nessuno di toccarlo, riservandosi di nutrirlo. Così il buon Dio farà con noi, se, inseguiti dalla giustizia figurata dai cani, cercheremo scampo nelle braccia del nostro stesso giudice”.
Ecco, non stanchiamoci mai, neppure in questa Quaresima, di cercare rifugio nelle braccia fortissime e dolcissime del Signore Gesù. La sua infinita misericordia avrà sempre la meglio sulla nostra pur grande miseria.