Misericordia “di generazione in generazione”
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“Abbiamo il diritto di credere che anche la nostra generazione è stata compresa nelle parole della Madre di Dio, quando glorificava quella misericordia di cui ‘di generazione in generazione’ sono partecipi coloro che si lasciano guidare dal timore di Dio” (Dives in misericordia, 10).
In effetti, le parole del Magnificat hanno un contenuto profetico che riguarda, allo stesso tempo, la storia passata di Israele e l’avvenire del popolo di Dio nel suo cammino terreno. Tutti siamo dentro la generazione nella quale si rende presente la misericordia di Dio, quale fondamento della vera salvezza donata all’intera umanità. Vi può essere, forse, una qualche salvezza al di fuori della misericordia infinita del Signore? Vi può essere altra ragione di vera speranza che non scaturisca dal Cuore di Gesù, trafitto per i nostri peccati?
Anche, noi, dunque, possiamo dire e cantare con la Madonna che “di generazione in generazione” la misericordia di Dio si rende presente, come àncora sicura capace di tenere salda la nostra vita, nonostante i marosi da cui è colpita.
A quali marosi possiamo riferirci? Si pensi, soprattutto in questo nostro tempo, alle molteplici inquietudini che minacciano la pace del cuore e tra le nazioni, tendono a stravolgere la stessa identità della persona umana, mettono a repentaglio la speranza per l’avvenire, vanno a sgretolare le radici del pensare e del vivere secondo ragione, rendono oscuro il cammino che appare privo di autentico significato e sicuro orientamento. Rimane sempre attuale, da questo punto di vista, quanto afferma il Concilio Vaticano II, nella Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo: “Di fronte alla presente evoluzione del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi capitali: Qual è il significato del dolore, del male, della morte che, malgrado ogni progresso, continuano a sussistere? Che cosa valgono queste conquiste raggiunte a così caro prezzo?” (Gaudium et spes, 10).
Può essere utile fare memoria di quanto, a proposito della vita e del suo significato, hanno lasciato scritto alcuni qualificati testimoni del tempo in cui viviamo. Ernest Hemingway concludeva così, con tanta amarezza, la sua riflessione: “Il tutto è niente e il niente è tutto”. Giuseppe Prezzolini annotava: “Eccomi qui alla fine dei miei anni: solo, stanco, disperato, senza che qualcuno mi dica da dove vengo e dove vado”. Il noto giornalista Indro Montanelli scriveva: “Se debbo chiudere gli occhi senza sapere da dove vengo e dove vado e che cosa sono venuto a fare su questa terra, valeva la pena che aprissi gli occhi? La mia è una dichiarazione di fallimento!”.
Sulla stessa linea si poneva José Saramago. Che cos’era per lui la vita? Un’apparizione “situata tra il nulla e il nulla”. E nel romanzo La caverna paragonava l’uomo a statuette di cera: “Con la pioggia si trasformeranno in fango e poi in polvere quando il sole le asciugherà. Questo è il destino di ognuno di noi”.
Quando si leggono queste parole, eco piuttosto fedele di ciò che caratterizza la nostra generazione, torna alla mente quanto scriveva in una sua lettera Fedor Dostoevskij, a proposito della crisi dell’Occidente: “L’Occidente ha smarrito Cristo […] ed è per questo che muore, unicamente per questo”. Smarrire Cristo significa smarrire la misericordia infinita di Dio e, di conseguenza, smarrire il senso della vita personale e comunitaria.
Smarrire Cristo, infatti, si risolve nella chiusura del cuore e della vita al dono che viene dall’Alto, con la pretesa di essere protagonisti di una salvezza conquistata con le proprie forze, in virtù della scienza, della tecnica, del progresso. Ma una tale pretesa si rivela sempre una vera illusione e, conseguentemente, una cocente delusione che sfocia nella perdita del senso della vita e della storia. Se non c’è “un sole che sorge dall’alto” (Lc 1, 78), per fare memoria delle parole usate da Zaccaria nel cantico evangelico, ogni possibile speranza rimane avvolta dall’oscurità e sconfitta dall’assurdo.
Torniamo, allora, al pensiero di Dostoevskij e completiamolo con quanto ha lasciato scritto Blaise Pascal: “Attraverso Gesù Cristo noi conosciamo la vita, la morte. Fuori di Gesù Cristo ignoriamo che cosa sia la nostra vita, la nostra morte, Dio, noi stessi. Così, senza la Scrittura che ha solo Gesù Cristo come soggetto, noi non conosciamo niente, e non vediamo che oscurità e confusione nella natura di Dio e nella nostra” (Pensieri, 396).
Solo in Cristo, il volto della misericordia infinita di Dio, anche la nostra generazione può ritrovare sé stessa, il significato vero del suo vivere e del suo camminare nel mondo. Solo in Cristo anche la nostra generazione può trovare risposta alle grandi domande che abitano il cuore dell’uomo. Solo in Cristo anche la nostra generazione può superare le inquietudini profonde che a volte disorientano e altre volte schiacciano. Allora, con la Madonna, possiamo anche noi annunciare nella gioia: “Di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono”.
Non ci sono dubbi sul fatto che la misericordia di Dio attraversi anche il nostro tempo e la nostra generazione. Non si può immaginare che Gesù, misericordia infinita, non voglia venire in soccorso alla nostra miseria. A noi, però, il compito di aprire con fiducia il cuore e la vita: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3, 20).
(testo di riflessione mensile per l’Apostolato della preghiera)