Riflessioni di spiritualità sacerdotale a partire dall’eucaristia
Ritiro ai sacerdoti
Castello di Perletto
Premessa: il nostro tragitto
- Con tanto affetto, simpatia, sentimenti di fraternità e desiderio di stare insieme qualche momento a considerare ciò che sta a cuore della nostra vita e del nostro ministero. E’ un parlare intimo tra noi, che ogni giorno viviamo la bellezza e la fatica del dono che abbiamo ricevuto in vasi di creta. Sì, perché quando diciamo “in persona Christi” diciamo un dono e una responsabilità: un dono immenso, una responsabilità che ci fa tremare.
- Desidero recuperare alcuni dati essenziali del mistero eucaristico per poi considerare questi dati in relazione alla nostra spiritualità. Ciò che significa “in persona Christi” lo desumiamo in particolare dal grande mistero eucaristico, anche se tutta la vita del sacerdote è “in persona Christi”. Ovviamente senza a alcuna pretesa di completezza. Sono suggestioni che lasciano aperto il campo a un itinerario personale di preghiera e approfondimento.
Il nostro tragitto, al fine di recuperare anzitutto alcuni dati essenziali dell’Eucaristia sarà così in tre tappe:
- l’Eucaristia nella storia della salvezza (centralità dell’Eucaristia)
– figura
– evento
– sacramento - l’Eucaristia come fondamento costitutivo della Chiesa
– consacrazione
– comunione
– contemplazione
– imitazione - l’Eucaristia come presenza reale e attesa del ritorno del Signore
1. L’Eucaristia nella storia della salvezza
Dio si è rivelato agli uomini nel contesto di una storia che, per questo diventa storia di salvezza.
In questa storia il filo conduttore è l’insieme degli interventi di Dio: le sue meraviglie.
La venuta di Gesù rappresenta un salto di qualità nella serie di queste meraviglie: è la meraviglia delle meraviglie di Dio.
Quale posto occupa l’Eucaristia in questa storia della salvezza, nel Cuore e nella mente di Dio?
Risposta: non occupa un posto, la occupa tutta!
Ma la occupa in diversi modi:
A.T. in figura, N.T. come evento, tempo della Chiesa come sacramento.
Le figure dell’Eucaristia
L’attesa dell’ora della cena fu tenuta desta nell’A.T. mediante figure che della cena erano preparazione, quasi abbozzo.
– la manna (Esodo 16, 4)
– il sacrificio di Melchisedek (Genesi 14, 18)
– il sacrificio di Isacco
Nella sequenza “Lauda Sion Salvatorem” composta da San Tommaso per la festa del Corpus Domini si canta: “Adombrato nelle figure: immolato in Isacco, indicato nell’agnello pasquale, dato ai padri come manna”
Troviamo in questo inno l’accenno a quella che più che figura è antefatto: la Pasqua
“Io vedrò il sangue e passerò oltre” (Esodo 12, 13): cioè, vi farò fare Pasqua, vi risparmierò e vi salverò. Che cosa vedeva Dio di tanto prezioso sulle case degli Ebrei? Vedeva il sangue di Cristo, vedeva l’Eucaristia!
Al tempo di Gesù la Pasqua si svolgeva in due tempi.
– il primo tempo era costituito dall’immolazione dell’agnello che avveniva nel tempio di Gerusalemme del 14 Nisan
– il secondo tempo era costituito dalla consumazione della vittima, nella cena pasquale che si svolgeva famiglia per famiglia nella notte successiva la 14 Nisan
L’Eucaristia come evento
In che cosa consiste l’evento che fonda l’Eucaristia e che realizza la nuova Pasqua?
I Vangeli ci danno due risposte complementari. Ricordiamo i due momenti delle Pasqua ebraica.
- San Giovanni
Guarda con preferenza la momento dell’immolazione: la Pasqua cristiana viene istituita sulla croce, nel momento in cui Gesù, vero Agnello, viene immolato.
Stabilisce un particolare sincronismo nel suo vangelo:
sottolinea continuamente che si avvicinava la Pasqua dei Giudei
sottolinea al contempo l’avvicinarsi dell’ora di Gesù
sul Calvario è il 14 Nisan, nel momento in cui nel tempio si immolavano gli agnelli
sulla Croce a Gesù non viene spezzato alcun osso, come era prescritto per la vittima - Sinottici
Guardano di preferenza al momento della cena: è nella cena che viene istituita l’Eucaristia
Assume un particolare rilievo la preparazione della cena pasquale.
Giovanni accentua il momento dell’immolazione reale, i Sinottici quello della immolazione mistica. Ma l’unico evento è l’immolazione di Cristo.
Così l’evento che fonda l’Eucaristia è la morte e la risurrezione di Gesù, il suo dare la vita per noi. Per questo l’Eucaristia nasce dall’amore e la si comprende nella logica dell’amore.
L’Eucaristia come sacramento
La Messa rinnova l’evento della croce celebrandolo e lo celebra rinnovandolo.
Paolo VI, nell’enciclica “Mysterium fidei” usa il termine “ripresentazione”
Secondo la storia c’è stata un’unica Eucaristia, secondo la liturgia ci sono tante eucaristie quante sono quelle celebrate. Grazie al sacramento l’immolazione di Cristo diventa a noi contemporanea e noi diventiamo contemporanei all’immolazione di Cristo. L’oggi della salvezza.
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La centralità dell’Eucaristia nel disegno di Dio ci porta a considerare la nostra centralità nel cuore dei Dio. Gesù è tutto l’amore del Padre, l’Eucaristia è tutto l’amore del Padre, noi siamo tutto l’amore del Padre. Il dono dell’essere “in Persona Christi”: il Padre vede noi nel Figlio.
2. L’Eucaristia come fondamento costitutivo della Chiesa
Il rapporto Chiesa – Eucaristia è un rapporto dinamico: non basta dire che l’Eucaristia sta al centro della Chiesa, ma bisogna anche dire che l’Eucaristia fa la Chiesa. E la fa in un modo particolare.
Se il Battesimo fa crescere in quantità la Chiesa, l’Eucaristia la fa crescere in intensità, perché la trasforma sempre più in immagine del suo Capo che è Cristo. Questo vale per la Chiesa, ma anche per ciascuno di noi personalmente.
Si entra nel dinamismo del dono “in persona Christi” e della responsabilità a noi affidata di assimilazione soggettiva al dono ricevuto. Leggiamo in questa luce i diversi spunti di riflessione. “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”: comprende il dono e la responsabilità. La realtà del dono ci rende umili: una tale grandezza non è per noi, è per coloro che ci sono affidati.
Con la consacrazione (rivivendo il sacrificio del Signore)
Il peso formidabile delle parole consacratorie
-“Spezzò il pane”.
E’ il gesto eucaristico di Gesù (la frazione del pane, che il sacerdote compie prima della Comunione)
Perché spezzò il pane? Significato sacrificale: Gesù spezzava se stesso offrendosi al Padre. E’ il pane della sua obbedienza e del suo abbandono quello che Gesù dà da mangiare ai discepoli.
E io? Rimango coinvolto e conquistato in ciò che ha fatto Gesù: spezzato davanti a Dio, abbandonato del tutto alla volontà del Padre.
-“Prendete e mangiatene tutti”.
Dopo il riferimento al Padre c’è il riferimento a noi: Gesù vuole essere mangiato.
Diventa un invito a lasciarsi mangiare dai fratelli nella logica dell’amore che si dona.
-“Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”.
Che cosa intende per corpo?
Nella Bibbia non è una componente o una parte dell’uomo, ma tutto l’uomo: indica così tutta la vita di Gesù.
Che cos’è il sangue?
Nella Bibbia non indica una parte del corpo umano, ma ciò che segna la vita; donare il sangue è dunque donare la morte. Se il sangue, come si pensava, è la sede della vita, il suo versamento indica la morte.
Allora: mistero della vita e della morte del Signore donate a noi.
E veniamo a noi: coinvolti nel dono della nostra vita e della nostra morte. Non ci sono più vite inutili. Sono parole che Gesù ripete attraverso la nostra voce: sono ormai nostre, date in dono
Con la comunione (lasciandoci mangiare dai fratelli)
Ha detto un filosofo ateo, Feuerbach: “L’uomo è ciò che mangia”
E’ vero per l’Eucaristia: il cristiano è veramente ciò che mangia. San Leone Magno: “La partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a farci diventare quello che mangiamo” (Sermone sulla Passione 3, 7).
Sant’Agostino: “Non sarai tu che assimilerai me a te, ma sarò io che assimilerò te a me” (Confessioni VIII, 10).
Questo vuol dire che rende come i suoi i nostri sentimenti, pensieri, desideri (“gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”: Filippesi 2, 5)
Partecipare al corpo e al sangue del Signore significa entrare in comunione con la sua vita e con la sua morte: possiamo condividere tutto, la sua gioia, la sua stanchezza, la sua paura, la sua speranza.
San Tommaso d’Aquino: “il sacramento dell’amore” (Summa Teologica, I-II, q. 28, a. 1). Ogni comunione che non si conclude con un atto di amore è una comunione incompiuta.
Questo è il significato dell’Eucaristia come “convito”.
L’amen della comunione: amen detto al Signore e al suo Corpo mistico che è la Chiesa.
“Si cammina con Cristo nella misura in cui si è in rapporto con il suo corpo” (Mane nobiscum Domine, 20).
“Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempi con stoffe di seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità. Colui che ha detto ‘questo è il mio corpo’, è il medesimo che ha detto ‘voi mi avete visto affamato e non mi avete nutrito” e “quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me” (San Giovanni Crisostomo).
Con la contemplazione (lasciandoci guardare dai fratelli che in noi vedono Gesù)
Per assimilarci a Cristo non basta mangiare il suo corpo e bere il suo sangue: bisogna anche contemplare il mistero.
Ricordiamo che cosa Sant’Agostino dice di Maria: “Concepì il Verbo prima con la mente che con il corpo”.
Il cristiano deve accogliere Gesù nella sua mente dopo averlo accolto nel suo corpo: cioè deve pensare a lui, ricordarsi di lui, avere lo sguardo rivolto a lui, fare memoria di lui (“fate questo in memoria di me”).
Fare memoria che cosa significa?
-significato teologico: ricordare Gesù al Padre (noi diventiamo il ricordo di Gesù per il Padre)
-significato antropologico: ricordarci di Gesù
ricordare viene dal latino “recordari”: far salire di nuovo al cuore, pensare con amore.
Mezzi a disposizione:
la Parola di Dio nella Messa
tempo di preparazione e ringraziamento alla comunione
adorazione silenziosa all’Eucaristia
“Io guardo lui e lui guarda me”
“Uno sguardo affettivo sull’Eucaristia” (San Bonaventura)
“La tua felicità Gesù mi basta” (Charles de Foucauld)
Con l’imitazione (lasciandoci imitare dai fratelli)
“Fate questo in memoria di me” ha anche una valenza imitativa. La parola di Gesù è illuminata anche da un’altra parola: “Io vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi” (Giovanni 13, 15).
Interessante il gesto della lavanda dei piedi: Giovanni lo colloca alla fine della vita di Gesù (come a dire che la vita del Signore va vista in questa luce) e all’inizio degli eventi pasquali ed eucaristici (come a dire che tutto dovrà essere compreso in quella luce).
La vita cristiana come imitazione della lavanda dei piedi.
Nell’imitazione sta anche il tema della missione: dall’Eucaristia deriva l’urgenza di testimoniare e di evangelizzare. Messa da “missio”: il senso della conclusione della Messa.
4. L’Eucaristia come presenza reale e attesa del ritorno del Signore
(con la nostra presenza d’amore in mezzo al popolo di Dio ed essendo richiamo delle realtà future)
Presenza reale. Noi siamo chiamati a essere segno di questa presenza.
Il sentimento della presenza: “Maria!”, “Rabbonì!”
La disciplina dell’arcano della Chiesa antica
Nascosta ai neofiti fino a una settimana dopo il Battesimo
Protetta dai pagani con iscrizioni e dipinti con il simbolo del pesce e altri
Uno che non credeva alla presenza reale: “Se potessi credere che lì sull’altare c’è davvero Dio, cadrei in ginocchio e non mi rialzerei più”.
“Per questo la fede ci chiede distare davanti all’Eucaristia con la consapevolezza che siamo davanti a Cristo stesso” (Mane nobiscum Domine, 16). Ne consegue una modalità di stare davanti all’Eucaristia.
Attesa. Noi siamo chiamati a evocare il destino eterno, la vita che non muore.
La presenza reale ma velata fa nascere il desiderio dell’incontro definitivo.
Così si fa esperienza del pellegrinaggio della vita.
Dimensione escatologica dell’Eucaristia: “infonde al cammino cristiano il passo della speranza” (Mane nobiscum Domine, 15).
“Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”.
Conclusione
Quanto abbiamo detto a proposito dell’Eucaristia ha a che fare con tutta la vita del sacerdote. In questo senso non c’è atto sacerdotale che, in qualche modo, non sia “in persona Christi”. E’ vero, oggettivamente abbiamo avuto una tale garanzia solo per alcuni gesti, ma soggettivamente è questa una realtà che pervade tutta la vita. Non esistono spazi privati nella vita del sacerdote. Se esistono spazi privati, quelli sono spazi sottratti al Signore, rubati alla Sua volontà di essere in noi e attraverso di noi.
Siamo abitati dal sacerdozio di Cristo e tutto è atto sacerdotale. Anche il momento della malattia e il momento della morte sono determinati dal nostro essere “in persona Christi”. Tutto dipende da questo, ogni nostra azione, pensiero, emozione.
“In persona Christi” sta al centro della nostra vita, è il motivo della nostra felicità. Altrimenti siamo destinati all’infelicità, alla ricerca di qualcosa che non troviamo mai: un altro ministero, un’altra comunità, un altro vescovo. Siamo determinati dall’essere e non dal fare. E questa è la nostra somma libertà.
In noi Gesù deve amare la Chiesa (l’ha amata e ha dato se stesso per lei)
Gesù in noi è a custodia dell’oggettività della salvezza a favore dei nostri fratelli nonostante a nostra povertà e miseria.
“Ho visto Dio in un uomo” si diceva del Curato d’Ars. Un uomo di Dio, nell’accezione popolare.
San Francesco era preghiera. Noi siamo sacerdoti , non facciamo i sacerdoti.
Il sacro e il santo: il sacro è il dono oggettivo, il santo è l’adesione soggettiva.
La responsabilità di conformarci progressivamente a Gesù: è l’avventura bella della vita. Quale valenza ha per noi il “come” di Gesù!
Il bambino e il papà. I tre monaci.