+ Ave Maria +
Carissimi nel Signore,
quello che stiamo vivendo è un tempo del tutto singolare: per la nostra vita personale, per la vita delle nostre comunità, per la vita del nostro paese.
Non entro nel merito di problematiche sanitarie, certamente complesse e di non facile soluzione. Tutti conosciamo le indicazioni date e a esse ci atteniamo con grande attenzione e senso di responsabilità. Al riguardo, e per inciso, mi è caro sottolineare che, pur ottemperando
alle indicazioni ricevute, dobbiamo tenere vivo nel cuore il desiderio ardente della partecipazione alla Messa.
Ricordate gli antichi martiri di Abiténe? “Senza la Messa non possiamo vivere”.
È questa una convinzione di fede che non deve abbandonarci e che, anzi, in questo tempo, dobbiamo ancora di più coltivare. Attendiamo con desiderio crescente il giorno in cui potremo tornare a partecipare alla Messa. E intanto intensifichiamo la nostra preghiera nelle tante altre forme che abbiamo a disposizione.
Rimango sul piano delle questioni spirituali, quelle che riguardano la nostra vita cristiana. Che, poi, è il piano più importante e fondamentale per ciascuno di noi. Può esserci, infatti, un rischio: quello di attendere semplicemente che la presente emergenza finisca, quasi vivendo in apnea, aspettando tempi migliori per “riprendere a vivere”. Non mi pare che questo sia l’atteggiamento giusto, sia perché non sappiamo fino a quando questa emergenza si protrarrà (e potrebbe protrarsi a lungo), sia perché questo atteggiamento non ci aiuta a vivere bene il tempo presente, che è un tempo da vivere in pienezza dal punto di vista della fede.
Un altro possibile rischio è quello di lasciarci fagocitare da quanto ascoltiamo e vediamo, così da affrontare questa situazione con uno spirito mondano, ripiegati soltanto sulle emergenze sanitarie, sul problema della sicurezza della salute e sulle realtà terrene.
Mi aiuta sempre e mi consola molto quello che dice San Paolo, quando in una sua lettera afferma: “Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” (Rm 8, 28). Anche questo è un tempo che concorre al bene, un tempo di grazia, un tempo di Provvidenza. Non sempre ci è dato di capire subito i disegni di Dio, ma è certo che anche in questo tempo c’è un disegno dell’Amore di Dio, è in atto la Provvidenza di Dio, è presente una grazia di Dio: in generale, sulla vita della nostra città, del nostro Paese, del mondo; in specie, sulla vita personale di ciascuno di noi.
Quale bene ci è riservato in questo tempo della nostra vita?
Ognuno è chiamato personalmente a riconoscerlo. In questo contesto, però, desidero richiamare al bene certo di un triplice sguardo, che abbiamo l’opportunità di coltivare con cura.
- Mi pare che in questo tempo ci sia data l’opportunità, che è grazia, di rivolgere di più il nostro sguardo verso l’Alto. Ciò che stiamo vivendo, infatti, ci mette davanti alla realtà della nostra fragilità e della nostra povertà; realtà di cui spesso ci dimentichiamo, soprattutto quando apparentemente sembra che tutto vada bene. La presente emergenza, invece, ci mette nella disposizione sapiente di riconoscere che Dio solo conta davvero, che Dio rimane ed è l’essenziale, al di là di tutto. Mi pare, pertanto, che ci sia data la grazia di rivolgere con più attenzione lo sguardo verso l’Alto, verso Dio. Viviamo un tempo nel quale abbiamo l’opportunità di rinnovare il bene inestimabile della fede, di aprire di più e di spalancare le porte della vita e del cuore a Dio.
- Mi pare, anche, che in questo tempo ci sia data l’opportunità, che è grazia, di rivolgere di più il nostro sguardo in avanti. Toccare con mano la nostra precarietà, infatti, ci ricorda che siamo dei pellegrini; non dei pellegrini verso il nulla, ma dei pellegrini in cammino verso il Paradiso. Non tutto si risolve qui, nel breve tragitto dell’esistenza. Viviamo un tempo nel quale abbiamo l’opportunità di rinnovare il bene inestimabile della speranza, quella vera.
- Mi pare, infine, che in questo tempo ci sia data l’opportunità, che è grazia, di rivolgere di più lo sguardo attorno a noi. A motivo della paura, sperimentiamo la tentazione di chiudere gli occhi, di guardare solo a noi stessi e alle nostre esigenze. Al contrario, i nostri occhi possono e devono aprirsi per posarsi con più grande amore su tutti coloro che, più e meno da vicino, stanno attorno a noi. Non è tempo di rinchiudersi in uno sterile e triste egoismo, ma di aprirsi nella carità, che è dono di Dio al nostro cuore. Abbiamo tanti modi per farlo. Anzitutto con la preghiera: ricordando chi è malato, affidando al Signore chi ci ha lasciato, chiedendo forza e coraggio a quanti più direttamente sono impegnati nell’emergenza, supplicando per coloro che sono più in difficoltà nel vivere la presente situazione. Ma poi
anche con la pronta disponibilità a portare il nostro aiuto là dove potesse esserci richiesto. La stessa osservanza delle norme sanitarie sia un’espressione di carità per salvaguardare la vita degli altri e, in specie, dei più deboli.
Concludo, facendo memoria di ciò che disse e fece San Giovanni Bosco, quando a Torino si diffuse una gravissima epidemia di colera. Ecco il racconto di quei giorni.
“Sul principio dell’agosto 1854 scoppiò in Torino il colera. Don Bosco l’aveva preannunziato, e già fin dal mese di maggio aveva detto ai suoi giovani:
– Quest’anno ci sarà il colera a Torino, e vi farà grande strage; ma se voi farete ciò che vi dico, sarete salvi.
– E che cosa dobbiamo fare?
– Prima di tutto, vivere in grazia di Dio; poi, portare al collo una medaglia che io benedirò e darò a tutti, e recitare un Pater, Ave e Gloria ad onore di S. Luigi.
I casi di colera salirono ben presto a cinquanta al giorno. In tre giorni superarono i 1400. La regione più afflitta fu quella di Valdocco, ove si trovava appunto l’Oratorio; e mentre molte famiglie furono interamente distrutte, dei giovani e del personale dell’Oratorio nessuno fu minimamente toccato, quantunque una gran parte si fossero offerti di andare ad assistere i colerosi nelle case e nei lazzaretti.
Don Bosco, che loro andava ripetendo: «Se non farete peccati, io vi assicuro che nessuno sarà toccato», fu veramente profeta”.
Io non sono un profeta come don Bosco. Però, con l’affetto grande che ho per tutti voi, portate con voi una medaglia o un’immagine della Madonna. Portatela con fede, chiedendo la grazia di essere salvaguardati da ogni male spirituale e dal presente contagio.
Il Signore benedica tutti e la Madonna tutti custodisca.
Un abbraccio con rinnovato e grande affetto, in comunione di preghiera.