“Gesù Risorto, voglio servirti con la letizia nel cuore e il sorriso sul volto”
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Lectio divina
Apocalisse 6, 1-11
1E vidi, quando l’Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, e udii il primo dei quattro esseri viventi che diceva come con voce di tuono: «Vieni». 2E vidi: ecco, un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli fu data una corona ed egli uscì vittorioso per vincere ancora.
3Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che diceva: «Vieni». 4Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra e di far sì che si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada.
5Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che diceva: «Vieni». E vidi: ecco, un cavallo nero. Colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. 6E udii come una voce in mezzo ai quattro esseri viventi, che diceva: «Una misura di grano per un denaro, e tre misure d’orzo per un denaro! Olio e vino non siano toccati».
7Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». 8E vidi: ecco, un cavallo verde. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli inferi lo seguivano. Fu dato loro potere sopra un quarto della terra, per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.
9Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso. 10E gridarono a gran voce:
«Fino a quando, Sovrano,
tu che sei santo e veritiero,
non farai giustizia
e non vendicherai il nostro sangue
contro gli abitanti della terra?».
11Allora venne data a ciascuno di loro una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro.
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I primi sei sigilli: visione d’insieme
Dopo la grande visione del trono di Dio (cf 4, 1-11) e dell’Agnello (cf 5, 1-14), ha inizio l’apertura dei sette sigilli. Si tratta di una sequenza di visioni che scaturiscono dalla prima e fondamentale visione, descritta all’inizio del libro (cf 1, 12-16).
Non dimentichiamo il grande protagonista di quella prima visione: Il Signore vivente. E non dimentichiamo colui che vede, Giovanni. L’apostolo partecipa a una celebrazione dell’Eucaristia nel giorno della Domenica. Da quella prima visione si sviluppano tutte le altre. Siamo così spettatori di una fioritura sorprendente: ogni petalo di bocciolo che si viene aprendo porta con sé nuove ed entusiasmanti scoperte e chiarificazioni.
Ma torniamo ai sigilli. I primi quattro vengono aperti rapidamente e sono tuti portatori di avvenimenti di sciagura. All’apertura del quinto sigillo la serie delle sciagure si interrompe: lo sguardo si posa su una visione celeste (i martiri che attendono il giudizio di Dio), che ha come scopo principale quello di svelare il significato e la conclusione degli avvenimenti. Il sesto sigillo riprende il motivo delle sciagure. A differenza, però, dei primi quattro, il suo svolgimento è lento e vi troviamo due quadri antitetici: il giudizio di Dio e il raduno degli eletti.
Nella descrizione dell’apertura dei sigilli, Giovanni manifesta due tecniche narrative che gli sono abituali: la tecnica del ritardo e delle anticipazioni.
- L’apostolo ama raccontare in modo che l’azione si svolga rapidamente all’inizio e poi con più lentezza verso la fine. Il punto centrale – che il lettore è impaziente di conoscere – è continuamente differito. In tal modo il lettore è invitato a pazientare e, quando pensa di essere giunto alla conclusione, si accorge di esserne ancora lontano. Da una parte, è un espediente letterario con il quale si tiene viva l’attenzione del lettore; dall’altra, è anche espressione della vicenda umana nella quale, quando si crede di afferrarne la conclusione, ci si accorge che questa è ancora lontana.
- La narrazione, inoltre, procede interrompendosi di tanto in tanto per anticipare la conclusione: la vittoria di Dio. L’intenzione presente in queste anticipazioni è quella di avvertire il lettore, che ancora soffre a motivo della persecuzione, che la vittoria è già compiuta. Qui non ci troviamo a un semplice accorgimento letterario. Si tratta, piuttosto, di una concezione teologica in virtù della quale vi è la certezza che la vittoria di Dio è stata anticipata negli avvenimenti che riguardano la vita di Gesù. D’altra parte questa anticipazione è una legge propria della storia della salvezza, che ritroviamo anche nella vita di Gesù Si pensi ai miracoli da Lui compiuti e ai gesti di liberazione dal demonio, come anche alla Trasfigurazione: sono anticipazioni della vittoria sul Maligno e sul peccato, anticipazione della risurrezione.
E’ bene anche notare che, nella descrizione dei sigilli, ritorna la figura settenaria, tanto cara a Giovanni e indicante una sorta di pienezza. Inoltre, è anche utile sottolineare che, nel momento in cui l’Agnello apre i primi quattro sigilli, uno dei quattro esseri viventi vi collabora. Questi sono i rappresentanti dell’intera creazione che invoca la venuta gloriosa di Colui che ritornerà nella pienezza finale dei tempi. In loro, pertanto, si esprime l’aspirazione cosmica alla ricapitolazione finale nel Cristo glorioso.
Ancora un particolare. Il primo degli esseri viventi grida “con voce di tuono” (6, 1). Le invocazioni “vieni”, che si succederanno all’apertura di tutti e quattro i sigilli, equivalgono ai rimbombi del tuono che è già scoppiato ora, all’apertura del primo sigillo: la venuta dell’Agnello, nella sua potenza gloriosa, mentre porta a compimento la storia umana nel suo complesso, apre fin da ora i sigilli, uno dopo l’altro.
Un’ultima annotazione. Cavalli e cavalieri della visione richiamano le visioni di Zaccaria (cf 1, 8-10; 6, 1-6). Il fatto, poi, che i cavalli siano di differente colore conferma che il cromatismo è uno strumento simbolico di cui Giovanni serve nella descrizione delle sue visioni.
I quattro cavalieri
- Il primo cavallo è di colore bianco. Il bianco è il colore della vittoria. Il cavaliere che monta il cavallo bianco, infatti, è “vittorioso per vincere ancora” (6, 2). Anche la “corona” di cui è dotato conferma questa sua prerogativa.
Tutto lascia pensare che questo cavaliere, nel contesto storico in cui viveva Giovanni verso la fine del I secolo, raffiguri la potenza militare vittoriosa per eccellenza, rappresentata dal popolo dei Parti: cavalieri terribili e inafferrabili, che imperversarono per tutto il primo secolo, invadendo l’Impero romano ai confini orientali.
Giovanni, tuttavia, rielaborerà questa immagine nel corso delle visioni successive. Che cosa, dunque, verranno a rappresentare il cavallo bianco e il suo cavaliere? Si può pensare che rappresentino la parola di Dio, in quanto componente intrinseca della storia. Non tanto, quindi, in quanto Parola creatrice, ma soprattutto in quanto Parola che si muove, che corre, che si agita, che opera come essenziale fattore della storia. In questo senso la Parola di Dio è presente nella storia come cavaliere che corre con la “corona”, per “vincere e vincere ancora”. Così la prima grande componente della storia è proprio la Parola di Dio; tutto il resto viene dopo. - Il secondo cavallo è di colore rosso. Sembra essere il simbolo della guerra civile. Certo, rappresenta la violenza; infatti, è dotato di “una grande spada” (6, 4) con il potere di “togliere la pace dalla terra” (6, 4).
La forma verbale qui usata è l’aoristo passivo: “fu dato”, “fu consegnato”. Questo significa che il cavaliere opera con violenza e toglie la pace in posizione di obbedienza a un’altra iniziativa, quella di Dio. Colui che opera nella violenza è sottoposto a un disegno che riduce la stessa violenza in obbedienza a Dio e all’Agnello. Anche la violenza è dentro una più grande Provvidenza di Dio, e Dio se ne serve per portare a compimento il Suo progetto di salvezza e di amore.
In realtà, non solo la violenza è soggetta a un piano provvidenziale più grande. Nella descrizione dell’Apocalisse tutti e quattro i cavalli, in quanto portatori di sciagure, possono esercitare solo un potere limitato e solo dentro l’iniziativa di Dio. - Il terzo cavallo è di colore nero. Come è indicato dalla “bilancia” (6, 5), che il cavaliere tiene nella sua mano, questo cavallo rappresenta la carestia.
Gli storici ricordano che, negli anni 92 e 93 d.C., una grande carestia colpì l’Asia Minore. I prezzi dei generi di prima necessità (“orzo” e “grano”, come ricorda il testo) salirono alle stelle, ma non il vino e l’olio, come ricorda l’Apocalisse: “Olio e vino non siano toccati” (6, 6). Viene, pertanto, qui simboleggiata, la fame e la paura della fame: la minaccia che la creazione porta in sé, ogniqualvolta si presenta tumultuosa e in contraddizione con il bisogno di sicurezza desiderato dall’umanità. - Il quarto cavallo è di colore verde. Il verde è il simbolo della morte e colpisce in diversi modi “un quarto della terra” (6, 7).
“Gli inferi” (6, 7) seguono questo cavaliere. Sono il segno di tutti i drammi che la morte lascia dietro di sé dal momento in cui è entrata nel mondo: dolore, malattia, angoscia, squilibri di ogni genere. Come per gli altri tre cavalieri, anche per il quarto possiamo osservare la nota della incompletezza. La carestia è grave ma non totale. Il vino e l’olio non scarseggiano. I flagelli della fame, della peste e della guerra sono terribili, ma colpiscono solo un quarto dell’umanità. In tal modo Giovanni sottolinea che il mondo non è ancora giunto alla fine.
Il quinto sigillo
All’apertura del quinto sigillo, la scena improvvisamente cambia: oggetto della visione non sono più le sciagure ma l’anticipo della loro conclusione, non più la terra ma il cielo.
L’immagine, in apparenza, è un po’ strana: i martiri – “coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso” (6, 9) – sono “sotto l’altare”. In realtà, l’immagine è meno strana di quanto possa sembrare. Il martirio, infatti, è sempre stato considerato come un sacrificio sull’altare di Dio. Ecco, dunque, la ragione dell’immagine usata.
E’ importante notare che i martiri, con le loro invocazioni, tentano di affrettare la conclusione degli avvenimenti: “Fino a quando, Sovrano,…” (6, 10). In verità, non i martiri in cielo che gridano questa richiesta, ma i perseguitati sulla terra, la Chiesa che non riesce a capire il motivo del ritardo nell’adempimento della giustizia, la ragione di una pazienza da parte di Dio che sembra noncuranza.
La risposta è al versetto 11, quando ai martiri viene detto di “pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli”. Il prolungarsi dell’attesa, pertanto, è il segno della bontà di Dio, che intende completare il numero degli eletti. La storia, sembra di capire, deve avere il suo tempo, perché il disegno della provvidenza di Dio possa trovare compimento e la Sua misericordia possa trovare espressione compiuta nelle vicende umane.
Si può leggere questo testo dell’Apocalisse tenendo presente la pagina di san Luca, dove è Gesù che narra la parabola del fico sterile (cf 13, 6-9), quando il contadino prega il padrone di pazientare ancora un anno prima di sradicarlo, in attesa che porti i frutti sperati.
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A sintesi di quanto approfondito, si possono fare tre osservazioni, a partire dalle quali tradurre in termini di vita spirituale la Parola di Dio a noi donata.
- La storia umana, come anche la vita della Chiesa e la vita di ciascuno di noi, è caratterizzata da quelle che abbiamo definito “sciagure”. I cavalli e i cavalieri, nelle visioni di Giovanni, ne sono una significativa rappresentazione. Queste sciagure siamo chiamati a considerarle sempre con lo sguardo della fede e dal punto di vista di Dio. Nulla sfugge al Suo disegno di amore e di provvidenza; nulla può mettere a repentaglio il progetto di salvezza che è già realizzato in Cristo, risorto da morte, e che agisce nella storia nonostante le apparenze contrarie. La fede sa “vedere” la vittoria di Dio già presente nel mondo, nella vita della Chiesa, nella nostra storia personale; la fede sa “vedere” il Vittorioso, il Risorto anche dentro le sciagure del tempo presente.
- Il segreto di tutto, pertanto, è raffigurato dal cavallo bianco che, in Giovanni, assume le fattezze della Parola vivente di Dio. Una Parola che è all’opera instancabilmente e che dona senso a tutto. La Parola fatta carne, crocifissa e risorta da morte, Verbo di Amore e di Verità, è il centro e il cuore del mondo. Alla luce di quella Parola tutto si rinnova. Può aiutare la riflessione, in questo senso, una bella pagina di Padre Henry De Lubac, laddove descrive il significato dell’avvento del cristianesimo per la storia umana: “Al primo annuncio che ne ebbe, l’umanità fu sollevata dalla speranza. La pervadevano oscuri presentimenti che, come contraccolpo, rendevano più acuta la coscienza del suo stato di miseria. Essa si sentì liberata […]. Gli astri, nel loro corso immutabile, non regolavano più implacabilmente i nostri destini. L’uomo, qualunque fosse, aveva un legame diretto con il suo Creatore, Sovrano stesso degli astri […]: era l’intera umanità che nella sua notte si trovava improvvisamente illuminata e prendeva coscienza della sua regale dignità” (Il dramma dell’umanesimo ateo, pp. 18-19).
- L’attesa nella quale viviamo è il segno della pazienza di Dio. Il tempo che è donato all’uomo è tempo di grazia, tempo di conversione, appello a ritrovare la via di Dio e a fare esperienza della salvezza. Lo stesso riproporsi, durante l’anno, dei tempi liturgici, esprime la pazienza con la quale il Signore accompagna la nostra vita e dona possibilità sempre nuove per il pentimento e il ritorno a Lui. Viviamo, pertanto, il tempo della Quaresima, che ancora una volta ci è donata, come occasione che l’amore di Dio in Gesù offre a ciascuno di noi, perché finalmente e senza più ritardi rispondiamo con un sì deciso e incondizionato alla chiamata di Dio che ci vuole santi.
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Trasformiamo ora in preghiera, con il Salmo 86, quanto abbiamo letto e meditato, e affidiamo al Signore il nostro desiderio di vivere nella fedeltà e nella generosità la Sua Parola.
Signore, tendi l’orecchio, rispondimi,
perché io sono povero e misero.
Custodiscimi perché sono fedele;
tu, Dio mio, salva il tuo servo, che in te confida.
Pietà di me, Signore,
a te grido tutto il giorno.
Rallegra la vita del tuo servo,
perché a te, Signore, rivolgo l’anima mia.
Tu sei buono, Signore, e perdoni,
sei pieno di misericordia con chi t’invoca.
Porgi l’orecchio, Signore, alla mia preghiera
e sii attento alla voce delle mie suppliche.
Nel giorno dell’angoscia alzo a te il mio grido
perché tu mi rispondi.
Fra gli dèi nessuno è come te, Signore,
e non c’è nulla come le tue opere.
Tutte le genti che hai creato verranno
e si prostreranno davanti a te, Signore,
per dare gloria al tuo nome.
Grande tu sei e compi meraviglie:
tu solo sei Dio.
Mostrami, Signore, la tua via,
perché nella tua verità io cammini;
tieni unito il mio cuore,
perché tema il tuo nome.
Ti loderò, Signore, mio Dio, con tutto il cuore
e darò gloria al tuo nome per sempre,
perché grande con me è la tua misericordia:
hai liberato la mia vita dal profondo degli inferi.
O Dio, gli arroganti contro di me sono insorti
e una banda di prepotenti insidia la mia vita,
non pongono te davanti ai loro occhi.
Ma tu, Signore, Dio misericordioso e pietoso,
lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà,
volgiti a me e abbi pietà:
dona al tuo servo la tua forza,
salva il figlio della tua serva.
Dammi un segno di bontà;
vedano quelli che mi odiano e si vergognino,
perché tu, Signore, mi aiuti e mi consoli.