Geremia e la debole voce
Istituto Ravasco, 29 aprile 2019
Introduzione alla Lectio divina
Come affrontiamo Geremia
Si può paragonare il libro a un insieme di tessere di mosaico, che non sono mai state composte, per cui si trovano tessere di un colore dove ci vorrebbero quelle di un altro. Ogni pezzo, ogni tessera ha una sua bellezza, ma è difficile contemplare un disegno di insieme.
Si potrebbe ancora paragonare i libro a una cava di diamanti ammucchiati: bisogna tirarli fuori e ordinarli.
Di conseguenza leggeremo il libro così come si utilizza una cava di perle o di pietre preziose, prendendo via via quelle che ci attirano, che ci attraggono, che ci parlano.
La dinamico degli esercizi spirituali
Il desiderio è quello di compiere un percorso spirituale: purificare il cuore per trovare la volontà di Dio sulla vita. Vi propongo quasi un corso di esercizi spirituali spalmati nei nostri incontri mensili. Di conseguenza daremo la preferenza a quei testi che parlano della purificazione del cuore e a quelli che manifestano la volontà di Dio.
La strada percorsa e da percorrere
Abbiamo richiamato diverse immagini della predicazione di Geremia: la bottega del vasaio, la brocca spezzata, la cintura di lino, il boccale di vino, la tenebra e la luce, gli spaventapasseri.
Occorre dire, però, che tra le immagini ricordate e le altre numerose l’icona più forte, più straordinaria del mistero di Dio nella storia è lo stesso Geremia: lui stesso è predicazione, la sua vita è profezia. Vogliamo, pertanto, rivolgerci direttamente alla sua figura.
Chi era quest’uomo?
Rispondiamo partendo dal testo fondamentale in cui egli ha espresso la propria autocoscienza. Se avessimo chiesto a Geremia: “Perché ti comporti così? perché predichi in questo modo? perché soffri tanto?”, egli ci avrebbe detto: “Perché Dio mi ha chiamato”. La vocazione è la forza costante che lo sostiene nelle prove e nelle delusioni.
Ci siamo soffermati sulla relazione che Geremia ha avuto con la Parola di Dio, egli che l’uomo della Parola, l’uomo la cui sorte si identifica con la Parola.
Ora prendiamo in considerazione quelle che vengono definite “le confessioni di Geremia”. Sono pagine difficili, ma se il Signore le ha ispirate, certamente hanno da dirci qualche cosa di importante.
Lectio divina
Consideriamo, a differenza delle altre volte alcuni brevi brani in successione. Di volta in volta li analizzeremo, traendo alla fine qualche conclusione di sintesi. Prima, però, diciamo qualche parola di ordine generale.
Sono sette “confessioni”, perché in queste pagine il profeta parla di sé. Il modo di procedere è un po’ confuso, disordinato. Si passa dallo sdegno alla fiducia, per tornare al lamento e alla disperazione. Troviamo l’andamenti tipico di un animo profondamente sofferente e in preda all’angoscia.
Perché, in proposito, parliamo di voce debole? Geremia ha coscienza di aver udito una voce e lui stesso si sente solo una voce. Non fa miracoli, non compie guarigioni. Geremia è un profeta, in lui c’è tutta la forza di Dio, ma egli insiste nel descriversi come persona debole. Geremia è parola, ma parola debole.
Le confessioni del profeta ci attraggono e allo stesso tempo ci spaventano, perché anche noi ci sperimentiamo deboli, la Chiesa è debole. Nella città secolarizzata avvertiamo che la fede è solo una voce debole.
Geremia, ancora, non riesce a dimostrare con eventi straordinari che la sua parola è vera. Vive una pura fedeltà a quanto il Signore gli dice di pronunciare.
L’agnello mansueto (Ger 11, 18-23)
Lettura del testo
In questa prima confessione Geremia si sente in situazione di persecuzione, si vede nell’immagine dell’agnello mansueto, che ricorda quella del profeta Isaia al capitolo 53: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte a suoi tosatori, e non aprì la sua bocca”.
- Il Signore stesso gli ha mostrato che sarebbe stato respinto: (leggi v. 18).
Notiamo la sorpresa dell’uomo semplice, che scopre con dolore di non essere capito neppure dai suoi vicini, dai suoi amici, dalla gente di Anatot (la sua terra): stanno tramando per fargli del male.
Anche noi facciamo l’esperienza di sorprese amare quando scopriamo che là dove pensavamo di essere sostenuti, siamo invece male interpretati, combattuti, non capiti. - Nasce allora nel profeta l’esclamazione (leggi v. 19).
Sembra chiedersi: ma che cosa ho detto? Non volevo fare male a nessuno. Poi, riferisce le parole durissime pronunciate contro di lui. Sembra di sentire quelle dei Farisei contro Gesù, desiderosi di togliergli la vita. In Geremia contempliamo Gesù perseguitato, proprio da coloro a cui st facendo del bene. - A questo punto nasce la preghiera (leggi v. 20).
Stupenda per l’affidamento a Dio, ci stupisce nel desiderio di vendetta. Può essere una debolezza del profeta, ma è necessario leggere le sue parole interpretandole alla luce dello spirito dei salmi che mettono nelle mani di Dio la loro causa, perché sanno che Dio è giusto.
Geremia, come in tante altre occasioni, è figura di Gesù.
Il torrente infido (Ger 15, 10-21)
Lettura del testo
“Torrente infido” è un’espressione molto forte che quasi giunge a insultare il Signore. E’ un momento della vita di Geremia nel quale si può parlare quasi si crisi vocazionale. L’espressione dice bene quanto il profesta sta vivendo: si sente ingannato da Dio, giunge a dubitare di Lui. Sembra di udire il grido di Gesù: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”.
- Il brano inizia con un lamento che chiama in causa la madre (leggi v.10). Qui c’è tutto il dolore di chi si sente perduto e solo.
- Segue la difesa. Geremia sa di aver obbedito al Signore (leggi v. 15).
- Quindi vi è un bellissimo ricordo del passato. Il profeta ammette che le parole che Dio ha messo sulla sua bocca sono state motivo di sofferenza, ma anche di grande dolcezza (leggi v. 16). In quel tempo felice Geremia ha amato e divorato la parola del Signore.
- Il profeta ricorda la Signore di essere stato fedele, di aver agito sempre secondo la parola di Dio, di non essersi concesso riposo (leggi v. 18a).
- Al versetto 18b (leggere) siamo al culmine della tentazione. Dio lo ha abbandonato. Non possiamo escludere che Geremia abbia vissuto anni in cui è rimasto muto, incapace di profetare e di interpretare ciò che avveniva nel popolo. E’ atroce il dramma dell’aridità.
- Giunto quasi alla disperazione, gli viene confermata la vocazione (leggi vv. 19-20). Dobbiamo supporre che il profeta abbia abbandonato l’ascolto della parola di Dio, la preghiera. Il profeta deve avere assoluta fiducia, deve credere alla promessa.
Se nella prima confessione si parlava di una persecuzione esteriore, qui si parla di una terribile prova interiore.
Perché a me? (Ger 17, 14-18)
Lettura del testo
La terza confessione è una preghiera accorata che il profeta esprime contro i suoi persecutori.
Sottolineiamo due parole.
- Anzitutto quella dei persecutori (leggi v. 15).
Vi leggiamo la stessa tentazione cui è sottoposto Gesù sulla croce. Geremia sente l’irrisione della gente: tu vai parlando sempre di distruzione e di castighi, e come mai che non si verificano?
La seconda è il lamento del profeta per l’incredulità, lamento che si esprime in modo commovente (leggi v. 16, 18).
Una sofferenza molto grande (Ger 18, 18-23)
Lettura del testo
I primi due versetti contengo l’essenziale della confessione. Qual è il motivo della sofferenza di Geremia? Non solo quello di non essere considerato dai suoi avversari un sacerdote e un dotto (e non vuole esserlo), ma neppure un profeta. Geremia soffre perché si vorrebbe si tenesse conto della parola che egli dice. Ma la gente non dà peso alle sue parole, non ascolta quello che dice.
Il profeta che vive solo per la Parola, sperimenta il dramma del rifiuto e dell’opposizione.
Si pensi a coloro che vogliono uccidere Gesù, la Parola.
Mai hai sedotto Signore (Ger 20, 7-18)
Lettura del testo
Non è dato sapere se questo sia l’ultimo brano di confessione. Certamente è un brano che spaventa: da una parte vi è lo sgomento di chi ha capito che il Signore ha una mano molto dura, dall’altra la convinzione che bisogna comunque avere fiducia di Lui.
- Leggi v. 7. Dio si è comportato come un uomo che inganna una dona, attraendola per poi impadronirsi di lei. Geremia non voleva profetare ma Dio lo ha ingannato, facendogli credere un’altra cosa. Il profeta si è fidato ma Dio non gli ha detto quello che lo aspettava.
Anche a noi può capitare: trovarsi in difficoltà per essere stati fedeli alla voce del Signore. La domanda: Che cosa ti ho fatto? - Le conseguenze dell’inganno sono drammatiche (leggi vv. 7-8). Il lamento, però, è espresso in preghiera, quindi con spirito di fede. Le parole di Geremia sono parole di amore, di un amore appassionato e irritato. Il profeta non può dimenticarsi di Dio (leggi v. 9).
- I versetti successivi, in modo alternato, esprimono speranza e dramma.
Il litigio con la Parola tocca il nostro intimo e ci invita a ripensare il mistero di Dio e ad andare più a fondo, al di là delle banalità di cui spesso ci accontentiamo.
Una visione di sintesi
Siamo servitori della parola di Dio, ci siamo impegnati a seguirla, perché siamo discepoli del Signore Gesù. Per noi la Parola è il Verbo fatto carne. Ci accorgiamo, però. A volte che la parola è debole. La gente a volte non ci ascolta, ci deride, ci ostacola.
- Le confessioni di Geremia ci richiamano alla debolezza della Parola incarnata, alla debolezza di Betlemme e del Golgota.
Perché dobbiamo combattere contro difficoltà di ogni tipo? Gesù risponde: perché in questo modo ho rivelato il Padre. Il mistero di Dio è un mistero povero, che non si può paragonare a nessuna forza umana, ma che proprio in questo ha il sigillo divino.
La potenza di Dio rimane debolezza agli occhi del mondo. - La missione della Chiesa consiste nel porsi a servizio della salvezza del mondo nel segno della debolezza. L’Eucaristia esprime in modo mirabile questa verità fondamentale. Lì si compie il massimo della rivelazione dell’amore. Si pensi al gesto della lavanda in san Giovanni. La più grande assimilazione al Signore l’abbiamo quando siamo simili a Cristo di Betlemme, della croce, dell’Eucaristia, cioè alla voce debole di Geremia.
- Quando la parola ci viene a mancare, quando siamo nello scoraggiamento, siamo sempre servi del Signore e in quel momento siamo simili all’Agnello mansueto. Non è dunque contrario alla vocazione avere momenti di stanchezza e di debolezza: in quelle condizioni ci accorgiamo che è davvero presente il Signore.