L’unità del corpo Cristo
Efesini 4, 1-16
Suore PORA 18-20 maggio 2012
L’analisi del testo
v. 1: “Io dunque, prigioniero a motivo del Signore …”
Paolo si auto presenta. Il termine prigioniero in greco significa “incatenato”. Paolo è in catene per Gesù, vive in tal modo nella comunione intima del Signore, in comunione con la passione e la risurrezione.
Come Paolo, anche noi quando parliamo dobbiamo partire dalla comunione con il Signore, con la sua passione e croce.
La vera catena che lega Paolo è la catena dell’amore. Anche noi dobbiamo vivere incatenati al Signore con il legame dell’amore.
“… vi esorto”
Non si tratta di un ammonimento moralistico. Palo esorta a partire dalla comunione con Cristo. Dunque, alla fine è Cristo stesso che esorta. Vedremo, infatti, che quanto viene richiesto appartiene al Signore. Il discepolo, la Chiesa è chiamata a ripresentare i lineamenti interiori di Gesù.
“comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto”
– Anzitutto recuperiamo la bellezza della chiamata, che dona un senso al mio essere nel mondo: pensato e amato. Il senso della vita è entrare sempre più dentro la chiamata ricevuta nella quale non dobbiamo perdere di vista la gratuità e la grazia.
D’altra parte è nella misura in cui entriamo dentro la chiamata ricevuta che diveniamo anche capaci di far innamorare alla chiamata di Dio, essere trasparenza di un dono per il quale vale la pena lasciare tutto.
– Paolo lega la chiamata alla speranza (cf v. 4 “una sola è la speranza … quella della vostra vocazione”). La chiamata tende verso Dio. Ci riguarda personalmente ma riguarda anche il mondo in cui viviamo che siamo chiamati a rinnovare in Cristo. Questo cammino non avviene nella solitudine ma all’interno di un “noi”, che è la Chiesa.
Proprio perché è sempre ecclesiale, Paolo enumera alcune virtù tipiche con le quali è necessario vivere la chiamata.
v. 2:“… con ogni umiltà… “
E’ una virtù che non appare nell’elenco delle virtù precristiane: è una virtù nuova, tipica della sequela di Cristo.
Si pensa alla lettera ai Filippesi: “… umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte …” (2, 8).
Seguire Gesù significa entrare in questo cammino dell’umiltà, superando la tentazione delle origini, la superbia. L’uomo è sempre tentato di porsi al centro del mondo, di vivere tutto in funzione di sé, facendosi Dio senza Dio. La mancanza di umiltà è mancanza di verità. Solo nella verità è la grandezza dell’uomo.
Quando si accetta la verità di se stessi si è pronti ad accettare anche l’altro.
Le piccole e grandi umiliazioni quotidiano sono una grazia per la comprensione della verità di noi stessi e l’accoglienza degli altri.
L’umiltà è accoglienza della propria posizione nella vita. Da qui una felicità personale che rende felici coloro che vivono con me.
L’umiltà è anche libertà dalle opinioni prevalenti, dalla soggezione al più forte, dalla violenza del pensiero altrui
“… dolcezza …”
Anche questa virtù riconduce al volto del Signore che è mite e umile di cuore (cf Mt 11, 29).
La mitezza non è debolezza, ma è forza nella bontà e larghezza di cuore. E’ la mitezza che vince la violenza.
“… magnanimità … “
Secondo la Scrittura è Dio a essere magnanimo. Nonostante le nostre debolezze e i nostri peccati continua a donarci il suo perdono. Dio mi perdona anche se sa che ricadrò di nuovo.
La magnanimità dono al fratello la possibilità di ricominciare sempre di nuovo.
“… sopportandovi …”
E’ il peso dell’alterità che va portato con pazienza. In questa diversità è la bellezza della sinfonia del “noi”, della molteplicità dei doni di Dio
v. 4: “… un solo corpo, un solo spirito …”
Tutto questo tende all’unità, è virtù ecclesiale per la costruzione del Corpo di Cristo
v. 5: “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo”
E’ come un piccolo trattato sulla fede e sulla vita cristiana.
All’inizio c’è una relazione con il Signore che tocca la mia vita. E’ quel solo Signore che mediante la fede diventa l’amore della vita. Poi c’è il solo battesimo, in cui la fede diventa contenuto.
Siamo chiamati a rinnovare la fede come appartenenza e anche come appropriazione sempre più autentica del suo contenuto.
v. 6: “Un solo Dio e Padre di tutti …”
Dio, Padre di tutti, si rende presente e visibile in virtù dell’unità. Se l’unità viene meno, viene anche meno il volto di Dio.
L’unità di Dio, il solo Padre si identifica con la nostra speranza. Non c’è altro potere accanto a Lui o contro di Lui. Ogni male è destinato alla sconfitta, ogni dolore a essere superato, ogni nemico a essere annientato.
v. 7: “Asceso in alto ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini”
Paolo richiama il salmo 68 in cui si descrive in modo poetico la salita di Dio con l’Arca dell’Alleanza verso le altezze, verso la cima del mote Sion, dove c’è il tempio. Dio come vincitore ha avuto la meglio sugli altri che sono ora suoi prigionieri e distribuisce i suoi doni.
Il Giudaismo ha visto in questo salmo un’immagine di Mosè che sale verso il Sinai per ricevere la volontà di Dio, la Legge, che non è un peso ma il grande dono di Dio agli uomini.
Paolo vi vede l’ascesa di Cristo che attira verso il cielo tutti noi e distribuisce il dono della grazia e della libertà della salvezza. I doni sono identificati, in dettaglio, con i diversi carismi. La molteplicità dei doni rendono ricca e bella la Chiesa e la comunità.
v. 13:“… finché arriviamo tutti all’unità … fino all’uomo perfetto … la misura della pienezza di Cristo”
E’ una sintesi bellissima della vita cristiana.
Si parla si una crescita continua che caratterizza la vita della fede, si parla della santità a cui siamo chiamati, si parla di una comunione nella quale si deve crescere sempre di più.
La fanciullezza della fede deve lasciare lo spazio a una maturità che è stabilità: nell’adesione al Signore, nella lotta alla tentazione, nella fermezza dell’amore dato una volta per tutte.
v. 15: “… agendo secondo verità nella carità …”
Dobbiamo essere veri per essere davvero buoni. E dobbiamo essere buoni nell’esercizio dell’essere veri.