Meditazione – La fede celebrata: preghiera liturgica e personale

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Meditazione – La fede celebrata: preghiera liturgica e personale

(cf CCC “La celebrazione del mistero cristiano”)
Pegli, Suore della Neve

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Nota introduttiva
Riflettiamo quest’oggi su un tema che ho pensato importante in sé, importante per il cammino della Comunità, e nello stesso tempo importante considerando ciò che ci apprestiamo a vivere quest’ anno, ovvero: l’Anno della Fede.

Il tema su cui meditiamo questa mattina, è il tema della preghiera perché, lo sappiamo, non c’è fede senza preghiera, e se l’anno della fede è un anno nel quale siamo invitati a riscoprire la bellezza della fede, ad approfondire la grazia della fede, a crescere nell’esperienza della fede, questo immediatamente significa che deve essere un anno di preghiera più intensa e più vera, perché il rapporto tra preghiera e fede è un rapporto vitale: dove c’è preghiera c’è fede, dove non c’è preghiera non c’è fede, dove c’è esperienza di preghiera c’è crescita di qualità della fede, dove manca la preghiera la fede viene meno, illanguidisce e si raffredda.

Vorrei raccontarvi prima due piccoli episodi. Il primo riguarda la Beata Madre Teresa di Calcutta: un Vescovo che la conosceva abbastanza bene si era recato nella casa di Roma al Celio dove ci sono le sue suore e dove si trovava lei.  In  quella circostanza si era ripromesso di chiederle qualche consiglio in merito alla pastorale vocazionale dal momento che il suo Istituto era fiorente anche da quel punto di vista. Andò a trovarla e chiese di parlare un po’ con lei del grande problema della pastorale vocazionale, che gli stava a cuore anche per la sua Diocesi. Madre Teresa rispose che  è prima bene andare un momento in cappella, dinanzi a Gesù esposto. Passò il primo quarto d’ora, passò mezz’ora,  passarono tre quarti d’ora, un’ora … Ad un certo punto il Vescovo chiese alla Madre se potevano parlare del problema esposto. Madre Teresa rispose: “Ma allora lei non ha ancora capito. La nostra pastorale vocazionale è questa: stare in ginocchio davanti a Gesù Eucarestia, non ne abbiamo altra”. Fu una grande lezione per questo Vescovo che raccontò in prima persona l’esperienza avuta. E’ chiaro che abbiamo anche bisogno di una pastorale vocazionale, ma il punto fondamentale è che non ci dimentichiamo qual è il cuore, il cardine, il motore autentico. Madre Teresa continuò dicendo: “Vede, se stiamo davanti al Signore pregando la nostra vita è una vita piena, realizzata, bella, e attraverso la gioia della nostra vita noi attiriamo verso il Signore e facciamo capire la bellezza di dare la vita al Signore”.

Ecco perché dobbiamo sempre considerare la preghiera come cuore, motore, centro della vita, perché possiamo dire e parlare di tante cose, ma alla fine battiamo l’aria. Quando parliamo di preghiera però parliamo di preghiera semplicemente come di pratiche da svolgere quotidianamente, quel certo numero, a quella determinata ora… Certo, questi sono momenti importanti della vita di  preghiera, ma la preghiera è una vita che ci investe totalmente e dalla quale dobbiamo lasciarci investire, perché tutta la giornata, istante per istante, divenga dialogo di amore ininterrotto col Signore.

Spesso dei santi si sente dire che, parlando con loro, negli occhi  rivelano continuamente uno sguardo che va al di là, oltre. E’ questa la vita di preghiera che si rende visibile in coloro che la vivono davvero. E’ un continuo andare oltre, un continuo andare al di là, è un continuo vivere immersi nel  mistero di Dio.

Certi  momenti ci aiutano da questo punto di vista perché sono tempi forti, ma sono tempi forti che devono dilatarsi e che devono avere questa anima, questo cuore, questa vita a 360 gradi.

Vorrei raccontarvi un’altra cosa, un’ intervista che ha rilasciato recentemente il Cardinal Ruini nel libro “Intervista su  Dio”. C’è un passaggio che mi ha molto interessato perché l’intervistatore a un certo punto, al Cardinale che sta parlando del  grande tema della fede oggi, domanda: Nel nostro tempo in cui vediamo questa crisi di fede, in cui la fede fa fatica a rendersi anche pubblica, evidente in mezzo al mondo, quali sono gli elementi che invece parlano della fede nel mondo di oggi?

E la risposta del Cardinale è molto bella perché dice: “Partiamo dalla realtà: l’elemento più importante, più significativo che parla della fede oggi, nel mondo di oggi, è la testimonianza di coloro che vivono di Dio, perché la testimonianza di chi vive di Dio è rivelazione della fede  in un Altro”.

E chi vive di Dio? Vive di Dio chi è immerso nella preghiera e in questo dialogo col Signore; quando si incontra qualcuno tra questi, immediatamente si viene rimandati a qualcos’altro perché siamo di fronte ad un uomo o a una donna che vive in Dio, vive  la preghiera come una realtà complessiva della sua vita.
Fede e preghiera: un episodio e una risposta che certamente ci possono aiutare ad introdurci in questo grande tema che dobbiamo realmente mettere all’ordine del giorno sempre, particolarmente quest’anno.

Sappiamo che la nostra preghiera si compone di due grandi momenti nell’esperienza quotidiana della nostra vita sia individuale che di Comunità, ovvero il momento della preghiera liturgica e il momento della preghiera personale. Sono due momenti che vivono insieme, che stanno insieme, che si arricchiscono reciprocamente; l’uno senza l’altro non può vivere perché nella preghiera personale noi entriamo con ciò che siamo, ciò che abbiamo  i nostri sentimenti, i nostri desideri, i nostri affetti, le nostre speranze, le nostre domande. Nella preghiera liturgica invece noi siamo come spossessati da noi stessi e siamo introdotti dentro qualcosa che è più grande di noi, perché è la preghiera del Signore e della Chiesa.

Allora è chiaro che da una parte la preghiera liturgica è una realtà più grande della nostra preghiera individuale e anche più bella perché entriamo in un mondo che è molto più grande del nostro piccolo cuore, dall’altra parte però l’esperienza della preghiera liturgica non potrebbe essere vitale se non fosse sostenuta e animata da un cuore caldo, cioè da un cuore che è scaldato da un incontro personale, quotidiano e costante  col Signore. Allora quando noi entriamo dentro al grande tema della preghiera non possiamo fare a meno di considerare entrambi questi aspetti:

  • la preghiera personale, che ci riporta a un tu per tu con il Signore, che riempie la vita, riempie il cuore, muove l’ amore, gli  affetti, i sentimenti, ci rende sempre più uniti personalmente al Signore;
  • la preghiera liturgica, che tutto questo ce lo fa vivere in un modo diverso più grande, più ampio, forse ancora più vero perché è la grande preghiera di Cristo e della Chiesa.

Quest’oggi vorrei soffermarmi su alcuni aspetti della preghiera liturgica semplicemente per il fatto che forse la preghiera liturgica è più difficile per noi da vivere, da sperimentare e poi anche perché la preghiera liturgica dal momento in cui noi la viviamo bene e in profondità sicuramente ci educa anche per quanto riguarda l’esperienza della preghiera personale, perché realmente dovremmo non dimenticare che la preghiera della Chiesa è scuola di preghiera personale, e non soltanto educa, ma che purifica poi il nostro  modo di entrare personalmente nel rapporto di relazione con Dio.

Credo che sia importante anche ricordare che siamo nell’anno della fede in cui celebriamo due grandi anniversari: 50 anni dal Concilio Vaticano II e anche l’anniversario del Catechismo della Chiesa Cattolica. Ciò che diremo si trova sul Catechismo della Chiesa Cattolica, che quest’anno deve essere il nostro testo di fede proprio per rinnovare, approfondire, risvegliare tutta la bellezza della fede nella nostra vita personale e comunitaria

Alcune dimensioni tipiche della Liturgia
Dimensione cosmica – consacrazione (CCC 1145-1152)
La liturgia ha una dimensione cosmica. Cosa vuol dire quando usiamo questa parola  “cosmico” in riferimento alla liturgia: significa che quando noi entriamo nella preghiera liturgica, sia la Messa o la Liturgia delle Ore,  noi entriamo portando con noi il cosmo, cioè l’intera creazione, l’intera realtà, l’intero universo. Quando noi con la voce preghiamo la liturgia, in quella nostra voce riecheggia la voce dell’universo che grazie a noi ritrova il suo orientamento verso Dio, riconosce attraverso la nostra consapevolezza di fede il punto di arrivo, il cuore della sua propria realtà che è Dio. Allora come è bello considerare questo!

San Giovanni della Croce era solito mandare i suoi novizi, qualche volta, a recitare la Liturgia delle Ore in mezzo  al bosco, perché si rendessero conto in quel momento che nella loro voce risuonava la voce del creato, che non erano loro soltanto ma erano portavoce del mondo.

Allora capiamo quanto sia bello entrare così dentro alla preghiera liturgica e che ci sentiamo veramente gli araldi, i portatori di un intero universo che è lì nel nostro cuore, sulle nostre labbra, sulle nostre spalle e che in virtù della nostra preghiera ritrova la propria identità autentica.

Sapete come S. Paolo parla dei gemiti della creazione e questi gemiti della creazione, grazie alla nostra preghiera trovano la loro direzione vera. Non sono gemiti senza sbocco, sono i gemiti che ritrovano lo sbocco autentico che è Dio.

Allora è importante, quando noi usiamo questa terminologia di dimensione cosmica, il termine  “consacrazione” cioè con la preghiera liturgica noi consacriamo il mondo a Dio, lo restituiamo a Colui che l’ha fatto e che l’ha salvato, lo togliamo dalla propria mancanza di identità interiore, e lo ridoniamo, lo riportiamo al Signore insieme a noi stessi.

Dicevamo come la preghiera liturgica arricchisce la preghiera personale perché questa realtà che viviamo nella preghiera liturgica, non possiamo dimenticarla quando noi entriamo nella nostra preghiera personale. Il che significa che una preghiera personale è vera e cresce un po’ alla volta nella misura in cui diventa la preghiera mia davanti al mio Signore, ma non è mai dissociata dal gemito del mondo, e dunque una preghiera che porta sempre nel cuore il mondo intero, altrimenti  non è una preghiera del tutto autentica e secondo il cuore di Dio.

Dimensione ecclesiale – sponsalità (CCC 1136-1144)
La preghiera liturgica è una preghiera sempre ecclesiale. Cosa vuol dire? Che nella preghiera liturgica è la Chiesa intera che esprime se stessa, ed esprime se stessa nel segno della sponsalità, cioè è la sposa che si rivolge con meraviglia, con stupore, con gratitudine, con senso di lode, al suo Sposo (v. Apocalisse).

Noi dovremmo entrare dentro la preghiera liturgica immaginando la Chiesa vestita a festa, la Chiesa con l’abito bianco che piena di gioia si rivolge al Signore della sua vita e lo canta, lo benedice, lo ringrazia, lo supplica, è tutta protesa verso di Lui. Allora nella nostra voce di persone che entrano dentro la preghiera della liturgia c’è questa nota di sponsalità, di alleanza, nella quale realizziamo in fondo il grande mistero della storia della salvezza, che è il rapporto di amore tra Dio e l’umanità e lì prende forma, prende visibilità, prende suono, grazie alla nostra parola e alla nostra voce.

D’altra parte questo non dovremmo mai dimenticarlo, proprio perché è una dimensione sponsale, ecco che ricade positivamente sulla preghiera personale e che ci ricorda che la preghiera personale è anzitutto questo rapporto di amore che poi viviamo con Dio e che operiamo  in virtù della preghiera. Guai se l’esperienza della preghiera non fosse per noi l’esperienza in cui possiamo far confluire tutte le nostre potenzialità di amore per Dio, e se non fosse il luogo nel quale noi viviamo l’esperienza  di un Signore che ci ama infinitamente, se non fosse per noi la preghiera un  entrare dentro la bellezza delle nozze di Dio con noi.

Credo che le difficoltà che sperimentiamo a volte nella preghiera, a volte anche le pigrizie, possono dipendere dall’aver dimenticato un po’ questo aspetto: ogni volta la preghiera è un appuntamento di amore con nostro Signore.

Dimensione personale – trasformazione (CCC 1127-1129)
Possiamo definirlo come l’elemento trasformante della preghiera liturgica. Ricordate, la bellissima lettura di S. Agostino che noi durante l’anno facciamo con l’ufficio delle letture. Parlando di Salmi, cioè parlando della preghiera della Liturgia, Agostino dice che in virtù dei Salmi e quindi della preghiera liturgica, Cristo prega con noi, Cristo prega in noi, Cristo prega per noi. Cosa vuol dire questo? Che la preghiera liturgica che abbiamo detto prima, è preghiera della Chiesa e del Signore, è una preghiera nella quale abbiamo la grazia di intrecciare la nostra voce con la voce di Gesù, perché è la voce di Gesù che risuona in quella grande preghiera della liturgia. Allora l’assiduità nella preghiera liturgica fa sì che un po’ alla volta ci sia una immedesimazione tra la voce di Gesù e la nostra voce, dunque tra il pensiero di Gesù e il nostro pensiero, e ancora più in profondità tra il cuore di Gesù e il nostro cuore. Senza che neanche ce ne accorgiamo, l’assiduità alla preghiera liturgica rende possibile la grazia di questa trasformazione di noi in  Gesù, che poi è il senso della vita, perché impariamo a parlare come Lui, impariamo a  ragionare come Lui, impariamo a sentire come Lui, impariamo a pregare come Lui. Davvero diventiamo sempre più Gesù in virtù di questo intreccio vitale e bellissimo che la preghiera della liturgia ci fa sperimentare ogni giorno.

Anche in questo caso risulta abbastanza evidente ci sia una ricaduta importantissima, quella che dalla preghiera liturgica viene nella preghiera personale, perché la  preghiera personale è preghiera vera nella misura in cui mi aiuta a realizzare questa trasformazione che è la conversione del cuore.
Se la preghiera, è un grande pericolo, fosse semplicemente un rinchiudersi in se stessi, alla fine un pensare col proprio pensiero, chiudersi in un circolo chiuso, dal quale non esco da me, ma rimango intrappolato dentro di me, sarebbe una montatura della preghiera. La preghiera personale autentica è quando mi permette un’estasi, cioè un uscire da me per accogliere in me il Signore e lasciarmi trasformare in profondità.

Al cuore della fede: il mistero della nostra salvezza
Nella preghiera liturgica si rinnova il mistero della fede: la morte e risurrezione del Signore, in attesa della sua venuta, diventiamo contemporanei degli eventi pasquali (“Il mistero pasquale nel tempo della Chiesa” – CCC 1076). La preghiera liturgica in diversi momenti ci fa dire o cantare una parola piccola, ma fondamentale quanto a importanza, ovvero la parola “AMEN”, che voi sapete essere la parola del “SI’, quindi la parola dell’ “ECCOMI”, la parola dell’accoglienza in noi di quanto il Signore ci ha detto, desidera, vuole. Nella misura in cui noi viviamo con consapevolezza viva l’Amen liturgico, noi impariamo a fare della preghiera un “SI’ a Dio che ci interpella, che ci chiama.

Quell’Amen liturgico è l’Amen della Chiesa, è l’Amen del popolo di Dio che ridice continuamente Sì. Se noi dovessimo mettere uno dopo l’altro questi Amen che recitiamo durante la liturgia, ci accorgeremmo che la Chiesa radunata in assemblea continuamente dice “SI”, ossia “AMEN”, mentre il Signore le si rivolge, perché la preghiera liturgica è realmente un sì, un sì continuo che la Chiesa dice al suo  Signore. Allora nella misura in cui entriamo in questo Amen, entriamo nel SI’ della Chiesa e dunque impariamo che la preghiera deve essere questo SÌ che acclamiamo.
La preghiera personale cos’è?  Un andare davanti al Signore, andare con ciò che siamo, con ciò che abbiamo, a volte con le gioie, a volte con i dolori, e ogni volta uscire dicendo SÌ al progetto di Dio, alla volontà di Dio, a quella parola che forse è venuta e ci ha messo in difficoltà, ci ha costretto a cambiare, oppure ci ha confermato in qualche cosa, ma  è sempre  apertura sul sì che dobbiamo rispondere al Signore.
Consideriamo allora questo altro aspetto della preghiera della liturgia: il grande SI’ che la Chiesa non si stanca di dire al suo Signore.

La dimensione trinitaria (CCC 1077-1109)
Quando ero in Seminario ricordo che una volta il rettore ci fece una lettura con la riflessione sulla preghiera, sulla liturgia, e ad un certo punto disse: Vedo che spesso alcuni di voi quando finisce il momento delle Lodi o del Vespri, alla preghiera conclusiva, quando chi presiede comincia a dire – Per il nostro Signore Gesù Cristo … – chiudete il libro: questo non va bene perché quella invocazione è il cuore e il centro di tutta la preghiera che fino a quel momento abbiamo fatto. Se mancasse quella invocazione tutta la preghiera che abbiamo fatto sarebbe quasi inutile, perché soltanto nel momento in cui invochiamo il nome di Gesù, e invocando il nome di Gesù ci rivolgiamo al Padre con la forza dello Spirito, la nostra preghiera acquista consistenza autentica.

E’ una lezione che mi è rimasta impressa e per la quale ogni volta che vedo chiudersi il breviario prima del tempo, fremo interiormente. Ma al di là di questo, la Liturgia è una scuola che non ci fa dimenticare come la nostra preghiera è sempre trinitaria, poiché al di là di questa chiusura, se noi passiamo in rassegna i momenti della preghiera liturgica, sempre ci accorgiamo che è preghiera rivolta al Padre, nel Nome di Gesù, dentro l’amore e la potenza dello Spirito.

Questa è la preghiera del cristiano; il cristiano non conosce altra preghiera, la preghiera del cristiano è la preghiera fatta con il Signore Gesù, con la sua parola, con il suo cuore, con Lui, immedesimandosi in Lui, grazie alla forza dello Spirito  per cui è possibile dire: Abbà – Padre nostro che sei nei cieli.
La preghiera liturgica ci fa vivere questo e anche in questo caso comprendete quale ricaduta positiva abbia nella nostra preghiera personale, perché la nostra preghiera personale – che poi ne siamo consapevoli o meno, è importante che portiamo a rinnovata consapevolezza sempre questo – è una preghiera che è così, perché la preghiera di Cristo  è la preghiera che lo Spirito suscita dentro di noi, che ci dona, dandoci un tale amore al Signore in virtù del quale ci rivolgiamo al Padre con i suoi stessi sentimenti, insieme a Lui e per Lui.

Il primo lavoro del cristiano
In un testo molto bello don Divo Barsotti, che è stato un grande mistico dei nostri tempi, parla della Liturgia delle Ore e ha questa espressione che immediatamente ci può sembrare non consueta: dice che la Liturgia delle Ore è il primo lavoro del cristiano.  Ecco un altro aspetto dell’importanza della Liturgia delle Ore.

Tradizionalmente quello che ancora oggi noi chiamiamo breviario veniva definito soprattutto a livello monastico “Officium”, l’Ufficio delle Ore, e nella tradizione benedettina si parla di Opus, l’“Opus Dei”, cioè l’Opera di Dio, intendendola sia  come opera di Dio,  che Dio compie, ma anche come opera per Dio.
Ufficio e Opera: in che senso quello della Liturgia delle Ore è il nostro lavoro? Perché il nostro lavoro? Perché la Liturgia ci è affidata proprio come un compito, un compito che noi svolgiamo a servizio della Chiesa e del mondo. E’ un compito quotidiano, è un lavoro quotidiano che la Chiesa pone nelle nostre mani, perché noi le siamo fedeli, perché il mondo non può sussistere senza quella preghiera continua che è la preghiera della Chiesa. Allora davvero è il nostro lavoro.

Noi sovente operiamo questa distinzione: abbiamo le attività apostoliche, le attività pastorali e poi abbiamo i momenti di preghiera considerati per lo più come momenti di ricarica personale, di ristoro interiore, momenti in cui ritroviamo la pace, la relazione con Dio. Questo è l’aspetto giusto, ma non è completo perché noi abbiamo semplicemente un’unica grande attività che si compone di due momenti: il primo e più importante è il lavoro della preghiera – la glorificazione di Dio – e il secondo complementare è il lavoro delle attività apostoliche – la santificazione degli uomini – ma sono due lavori senza i quali noi non possiamo vivere e all’interno dei quali c’è una priorità: il lavoro e la pastorale della preghiera. Allora non rubiamo nulla all’attività apostolica quando noi preghiamo, non è che tralasciando l’attività apostolica per la preghiera siamo meno apostoli. E’ assolutamente falso, non è vero, forse lo siamo meno se lasciamo la preghiera per l’attività  apostolica. Questo può darsi, ma soltanto se c’è complementarietà di queste due attività noi siamo realmente apostoli e la prima di queste due attività per il bene del mondo e della Chiesa è l’attività della nostra preghiera. Non dobbiamo mai dimenticarlo. Noi siamo debitori verso i fratelli non se lavoriamo apostolicamente un po’ meno, ma se lavoriamo meno pregando meno, lì sì che siamo realmente debitori di qualcosa di cui il mondo ha un bisogno vitale e senza il quale non ha salvezza.

Dovremmo ricordarcelo quando stabiliamo durante le nostre giornate la proporzione dei tempi in cui dedicarci alla preghiera e al lavoro, sia a livello personale che a livello comunitario. E’ una svolta che dobbiamo operare nella nostra vita.

In compagnia del Cielo (CCC 1090)
Un modo di dire tipico della tradizione orientale – che ritroviamo anche nella nostra tradizione soprattutto Patristica e che l’attuale Pontefice spesso riprende quando parla della liturgia – si traduce in un’immagine molto suggestiva ma anche molto reale, ovvero che la preghiera liturgica realizza una comunione invisibile, ma vera tra la terra e il cielo. Gli orientali parlano del cielo che si affaccia sulla terra o di una terra che entra in qualche modo nell’orizzonte del cielo.

Che cosa ci vuol dire con questo? Che la preghiera liturgica è questa comunione bellissima tra noi che viviamo pellegrini nel tempo e coloro che sono già arrivati presso la loro destinazione ultima. Dunque la preghiera liturgica è un incontro reale  tra noi e il paradiso e non solo, perché in questa comunione che è verticale, cioè tra noi e coloro che  sono già arrivati, c’è anche una comunione orizzontale in cui la Chiesa tutta di oggi e di ogni tempo si trova riunita. La preghiera liturgica non è mai la preghiera di questa comunità, non sarebbe preghiera liturgica, è la preghiera di questa comunità in quanto in questa comunità piccola o grande che sia, si rende presente la Chiesa intera di ogni tempo, di ogni luogo, ma soprattutto del cielo. E’ per quello che la preghiera liturgica è sottratta alla nostra soggettività, alla  nostra volontà di cambiamento, alla nostra fantasia di introdurvi cose sempre nuove, perché non è nostra: è una realtà più grande di noi che ci viene posta nelle mani perché la viviamo, la gustiamo, la approfondiamo. Non possiamo modificarla, perché non è la nostra preghiera personale, è la preghiera di una realtà molto più bella, molto più grande.

Questo ci deve  riempire di consolazione. D’altra parte mi pare anche che debba ricordarci l’importanza di tutto ciò che facciamo perché questa preghiera – nelle nostre comunità, nella nostra comunità – sia bella sotto ogni punto di vista, perché è il modo che noi abbiamo a disposizione in qualche modo per richiamare questa realtà di cielo che ci fa compagnia nel nostro pellegrinaggio terreno, perché la bellezza é l’esperienza umana che ci apre alla realtà di Dio, alla realtà del paradiso. E nella liturgia abbiamo bisogno di entrare dentro la realtà che ci porti fuori dal quotidiano, dalla banalità, dalla routine, da ciò che è brutto, da ciò che non dona nulla. Abbiamo bisogno di un ‘altra realtà che ci faccia toccare con mano non qualcosa che non è reale, ma qualcosa che è reale e che il segno esterno ci aiuti a ricordare e a rendere tangibile: la comunione tra terra e cielo.

La santa convocazione
La liturgia fa sempre riferimento ad una prima  grande liturgia straordinaria, misteriosa, grande, che è quella che il popolo di Dio visse alle pendici del Sinai quando il Signore convocò il suo popolo per donargli le tavole della Legge: in tutto l’Antico Testamento quando si parla dell’assemblea che è radunata per la preghiera, si parla della santa convocazione

Ancora oggi nel linguaggio liturgico è corretto parlare delle nostre assemblee liturgiche come di convocazione. Questo termine è importante perché quando noi ci raduniamo per la preghiera, non siamo noi che di nostra iniziativa andiamo e ci incontriamo per stare  davanti a Dio, ma è Dio che ci convoca, perché è sempre Lui che ha il primato nella chiamata, è Lui che desidera e dunque ci invita a venire presso di Lui. Questo vale per tutti, perché quando noi entriamo nella Chiesa per la Celebrazione Eucaristica non è il Sacerdote che ci accoglie sulla porta della Chiesa, quasi fosse Lui colui che invita, ma anche il Sacerdote entrerà in processione all’altare, proprio come processionalmente anche noi siamo arrivati alla Chiesa, perché tutti siamo stati convocati da Dio per incontrare Lui, non per incontrarci tra di noi, e ci siamo radunati non perché siamo bellissimi, perché siamo belli, perché siamo più belli e ci riconosciamo tali tra di noi, ma perché nonostante che siamo diversi, forse brutti,  incapaci, il Signore ci convoca davanti a Lui e ci rende belli perché riempie questa nostra realtà del suo amore e della sua grazia.

Neanche il Sacerdote è il protagonista, guai se perdessimo di vista questa realtà! il Sacerdote è un ministro nel quale il Signore si rende presente in modo peculiare in virtù del  carattere sacramentale, ma lui è con noi alla presenza di Dio che è il vero protagonista, l’attore principale, verso cui volgiamo tutti insieme l’attenzione  degli occhi e del cuore.

È chiaro che anche questi aspetti che la liturgia ci insegna e ai quali la liturgia ci educa  devono poi passare dentro l’esperienza della preghiera personale.

L’esercizio della presenza di Dio
Durante la celebrazione liturgica per quattro volte il Sacerdote si rivolge ai fedeli con un saluto particolare, “Il Signore sia con voi”, a cui tutti rispondono “E con il tuo spirito”. Qui non siamo in presenza di un saluto come fosse “Buon giorno, ben arrivati, ciao”. Questo è un saluto di invocazione, ovvero nei quattro momenti fondamentali – che sono l’inizio, la liturgia della parola, la liturgia eucaristica e prima della conclusione – la Chiesa mette sulle labbra del celebrante e nostre questa parola che vuole ricordare una realtà di fondo, cioè che il Signore in modi diversi è presente e protagonista dell’atto liturgico.
All’inizio il Sacerdote lo dice all’assemblea per ricordare:  Il Signore è con voi, in mezzo a voi, e voi siete popolo di Dio perché il Signore presente in voi vi rende una unità nel suo amore, nella sua grazia, è questa la vostra dignità, il Signore è presente in voi riuniti nel suo nome. E di rimando l’assemblea si rivolge al Sacerdote ricordandogli:  Il Signore è presente in te che stai presiedendo, e non presiedi perché sei bravo, perché hai delle doti, delle caratteristiche particolari, ma perché il Signore ti abita e nel suo amore sei mandato a presiedere questa celebrazione.

Al momento della liturgia della Parola il Sacerdote o il diacono prima del Vangelo introduce così: Il Signore sia con voi. Questo diventa un grande richiamo a tutti perché l’Assemblea è chiamata a ricordare che quella Parola che viene proclamata è la voce del Signore stesso, che il Signore è presente, e nella Parola che stiamo per ascoltare il Signore ci parla. E di contro l’Assemblea ricorda a colui che proclama il Vangelo che non parla a suo nome personale ma parla a nome di Dio e dunque è vincolato da questa presenza che non può essere manipolata o distorta da colui che  proclama e che si fa ambasciatore della Parola di Dio.

Prima della liturgia eucaristica nel Prefazio il Sacerdote ricorda all’Assemblea che lì, in quel momento, il Signore si trova veramente presente nel sacrificio della Croce, nel suo corpo e nel suo sangue. E d’altra parte l’Assemblea ricorda al Sacerdote che ciò che realizza in quel momento lo realizza perché il Signore è con Lui e in Lui; e poi deve significare quello che è un lasciarsi abitare dal Sacrificio di Gesù: deve diventare lui stesso quel Corpo dato, quel Sangue versato. Deve diventare un’unica cosa con ciò che sta celebrando e vivendo.

E alla fine, prima della conclusione, di nuovo questo saluto perché il Sacerdote ricorda all’Assemblea che quella presenza di Dio, che ha più volte e in diverse modalità sperimentato durante la celebrazione, è una presenza che dovrà portare con sé fuori della celebrazione e di cui dovrà riempire il mondo nel quale è mandato. A sua volta l’assemblea ricorda al Sacerdote che il suo compito di essere in persona di Gesù non finisce lì, deve continuare per essere presenza di Dio in modo unico e particolare in mezzo ai suoi, al di fuori del momento celebrativo.
Questo per dire l’importanza della preghiera liturgica che ci educa alla presenza di Dio, continuamente, e ce la ricorda nelle sue diverse modalità e anche gradazioni, perché questo ci accompagni lungo il corso della giornata e della vita, perché la presenza di Dio sia una costante della nostra preghiera e della nostra vita.

La lettura ecclesiale della Parola di Dio
Un pensiero sulla Parola di Dio che ascoltiamo e come l’ascoltiamo nella preghiera liturgica. Questo a volte è il punto un pochino più faticoso che noi sperimentiamo, perché quando noi entriamo nella preghiera personale vi entriamo con uno stato d’animo peculiare che può essere uno stato d’animo gioioso, può essere uno stato d’animo triste, può essere l’atteggiamento di chi desidera domandare, oppure lo stato d’animo di chi è nel ringraziamento e nella lode. Secondo i momenti della vita è chiaro che noi entriamo nella preghiera personale con ciò che in quel momento viviamo e sentiamo  e quindi  viviamo la preghiera personale in relazione a quello che sentiamo e viviamo in quel momento. Quando entriamo nella preghiera liturgica noi dobbiamo spogliarci in qualche modo di tutto questo, perché magari siamo nella sofferenza e la parola di Dio ci parla di lode, di gioia, di rendimento di grazie; oppure siamo nella gioia e la parola del Signore mi parla di disgrazie, di lamentazioni, di lutti. Insomma, se nella preghiera personale noi viviamo strettamente in relazione con  la nostra esperienza di vita del momento, nella preghiera liturgica veniamo spogliati di noi stessi. In questo modo impariamo ad entrare in comunione con il Signore al di là di quello che noi stiamo sperimentando e vivendo in prima persona e dunque ci spogliamo del nostro egoismo, della centralità del nostro io, del nostro riferire sempre tutto a noi stessi; alla fine siamo educati a spogliarci noi,  per lasciarci rivestire  di Cristo. La Parola ci viene consegnata dal Signore e dalla Chiesa e rispetto ad essa  siamo servitori, cioè in ascolto. Quello che ci vuol dire il Signore in quel momento magari non ha nulla a che fare con quello che io provo e vivo, ma è la grazia per me in quel momento della vita. Ecco il seguire che la liturgia ci insegna: non andiamo noi davanti per dettare le modalità del cammino, ma andiamo dietro per farci  servitori della Parola del Signore e dunque per seguirlo dove Lui ci vuole portare. Come è importante questa lettura liturgica ecclesiale della Parola del Signore che davvero ci educa alla sequela autentica!

I tre cantici e la relazione con la Messa
Concludo con un accenno all’importante relazione che dobbiamo cercare di vivere tra i diversi momenti della preghiera liturgica, soprattutto tra quei grandi momenti quotidiani che per noi sono la Messa e le Ore della liturgia, perché può capitare che ci sia difficile ritrovare il nesso che collega tra di loro questi momenti e dunque che viviamo disunita questa realtà per noi  quotidiana, che invece deve diventare fattore di unità nella nostra vita di preghiera.
Credo che ci possano aiutare i tre grandi Cantici: Il Benedictus, il Magnificat, il Nunc dimittis della Compieta, perché sono i tre Cantici che danno un po’ di intonazione generale a queste tre ore della nostra giornata.

  • Il Benedictusè il cantico di Zaccaria che riconosce la prossimità del grande dono della salvezza e dunque della visita di Dio, che dall’alto, dall’Oriente, viene in mezzo ai suoi per salvarli. E le Lodi sono questo, perché all’inizio di un nuovo giorno, entriamo in questa preghiera della Chiesa che canta la lode al Signore, perché di nuovo viene in mezzo al suo popolo per visitarlo, per benedirlo, per salvarlo.
    E allora la relazione delle Lodi con la Messa è la grande e la più bella preparazione alla Celebrazione Eucaristica, perché è il canto che riconosce nell’Eucarestia la visita del Signore, la salvezza del Signore che tra poco andremo a vivere e a celebrare.
    Allora comprendete il nesso Lodi – Eucarestia. Quel Sole dall’alto che viene, che sorge, che ci rinnova la vita, che porta la salvezza e che suscita il cantico della Chiesa è esattamente  l’Eucarestia, il mistero della fede e la salvezza per noi  che celebriamo.
  • Il Cantico del Magnificat. Cos’è questo cantico del Magnificat? E’ il Cantico della Madonna che ritrova mirabilmente in sé la presenza del Figlio di Dio  nel suo corpo e prima ancora nel suo cuore, direbbe S. Agostino, e che esce in questo canto stupendo di ringraziamento e di meraviglia. I Vespri sono questo: verso la fine della giornata noi innalziamo il canto al Signore che ci ha visitato durante la giornata, che ci ha riempito di grazie, che ci ha stupito con i doni della sua bontà. E in relazione alI’Eucarestia diventa il cantico più grande, il più vero Cantico di ringraziamento perché il Signore è venuto in noi, il Signore ci ha fatto visita e nell’Eucarestia di nuovo ha rinnovato la meraviglia della sua presenza tra noi e dentro di noi, nel nostro cuore, nella nostra vita.
  • Il Nunc dimittis. Voi sapete che è il cantico di Simeone che incontrata la salvezza ormai  non attende altro che un faccia a faccia con il suo Dio. E la Compieta è questo: a fine giornata, dopo aver sperimentato la bellezza dell’ Amore di Dio è come un consegnarsi a Lui per dire: Sono pronto e in fondo desidero anche venire da te, per vedere il tuo volto.

E il nesso con la Messa? Quando noi rispondiamo al Mistero della Fede, dopo la Consacrazione, diciamo: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta”, E continuamente, se facciamo attenzione, la liturgia è sempre anche preghiera di attesa della  venuta: “Venga il tuo Regno in attesa che si compia la beata speranza”.

La liturgia è tutta un protendere verso i cieli nuovi e la terra nuova. Allora il nesso Compieta – Messa è soltanto un riprendere ciò che la Messa ci ha fatto sperimentare e vivere e quasi portarlo a compimento, essere protesi verso i cieli nuovi e la  terra nuova, verso il mondo di Dio. E  le ore minori non fanno altro che riprendere, durante la giornata, tutte queste realtà. Allora comprendiamo come intorno al Mistero Eucaristico, che è il cuore della giornata, la Liturgia delle Ore che celebriamo insieme non è altro che l’orizzonte più bello che ci aiuta a prepararci a ringraziare e a continuare quello che abbiamo vissuto  e celebrato in quel contesto.

Alla scuola di Maria
Termino con un accenno alla presenza di Maria, perché la presenza di Maria che è una presenza continua e fedelissima nella nostra vita, è la presenza anche fedelissima nella liturgia, perché non dovrebbe mai mancare un riferimento alla Madonna nelle nostre liturgie, perché la Madonna c’è.  Ci sono pure  tutti gli angeli e i santi del Paradiso, ma la Madonna in modo particolare c’è ed è lì soprattutto quando c’è la liturgia della Parola, perché lei è lì in ascolto di nuovo del Signore che parla e ci aiuta ad entrare in sintonia con quella Parola con il suo stesso “Eccomi” e con il suo stesso cuore. Noi dovremmo essere lì seduti, sentendo la Madonna accanto a noi che ci fa sentire nelle orecchie, soprattutto nel cuore, riecheggiare il suo “Eccomi” e dunque ci conduce per mano nell’ascolto e nell’accoglienza della voce del Figlio.

Poi la ritroviamo quando noi saliamo sull’altare, al Calvario, perché nel momento del grande sacrificio Maria è lì. Come stava sul Golgota, così sta accanto alla Croce del Figlio e ci insegna  che cos’ è l’accoglienza del mistero della Croce nella nostra vita, e in qualche modo, questo lo dico soprattutto per voi, ci fa risuonare nel cuore quella Parola che ha sentito da Gesù: “Donna, ecco tuo figlio” e dunque tutta questa straordinaria forza di maternità, che dalla Croce scaturisce per la vita consacrata, alla quale ha affidato in qualche modo il destino dei  figli.

La Madonna poi la ritroviamo nel momento della Comunione quando riceviamo in noi Gesù, e lì dovremmo sentirla accanto a noi e chiederle e sentirci dire da Lei come ha accolto Gesù nel suo grembo, nel suo cuore; con quali sentimenti, con quale attenzione, con quale profondità. Ci aiuta a vivere quel mistero dell’Incarnazione che da un certo punto di vista anche noi sperimentiamo quando riceviamo il Corpo e il Sangue del Signore e ancora lo riviviamo quando, uscendo dalla Chiesa, insieme alla Madonna ripercorriamo il cammino che l’ha portata verso la cugina Elisabetta quando, portando in sé il Signore Gesù, andava a far visita alla cugina per consegnarle il grande dono che aveva  in Lei e la gioia di quell’annuncio. Così, noi usciamo dalla Chiesa, e dalla preghiera liturgica con la Madonna, chiedendo che ci suggerisca come portare al mondo Gesù, ci dica quelle parole giuste e ci stia vicina proprio perché anche noi diveniamo “teofori”, cioè portatori di Dio in mezzo a questo mondo.

La liturgia deve essere portata nella vita
Anche in questi ulteriori particolari della preghiera liturgica è chiaro come da tutto questo, come per il vaso comunicante, ci sia una caduta benefica sulla nostra preghiera  personale.

Credo che siano piccoli spunti sui quali possiamo riflettere e pensare a livello personale sicuramente perché la preghiera ci interpella sempre a livello personale, anzitutto, però, nella seconda battuta o in prima battuta, anche a livello comunitario. Non possiamo esimerci dal domandarci continuamente lungo il nostro cammino della preghiera, come la viviamo; quale posto, quale ruolo ha la preghiera nella nostra vita. Come la stiamo gestendo personalmente, ma anche come la stiamo vivendo comunitariamente e come la vita concreta delle nostre comunità ci aiuta perché la preghiera comunitaria sia il cuore, perché la preghiera personale sia il cuore, perché la preghiera sia il primo lavoro della nostra esistenza e il primo nostro apostolato.

Dobbiamo sicuramente parlare insieme di molte cose che ci stanno a cuore, ma sempre dobbiamo parlare di questo, che è il primo dei grande elementi della nostra vita e  a volte purtroppo il primo dei grandi problemi della nostra vita. Dobbiamo aiutarci insieme condividendo, parlando, trovando anche delle strade, delle vie concrete che ci possano aiutare, perché con la preghiera viviamo, e la nostra fede vive, ma senza la preghiera moriamo e la nostra fede muore.

La dimensione missionaria
La preghiera non è un elemento tra gli altri, è questione di vita o di morte. E non semplicemente la preghiera come momenti stabiliti, ma la preghiera come clima della vita, il che significa che Dio è tutto di noi, della vita personale e della vita di comunità, che Dio  o è tutto per noi e tutto di noi – e allora abbiamo da dire qualche cosa a questo mondo –  altrimenti non abbiamo da dire proprio nulla e allora possiamo anche congedarci da questo mondo, senza rimpianti per nessuno.

Come rendiamo presente Dio? Nella misura in cui è tutto di noi il nostro modo di vivere e di parlare lo rivela, ma se non rivela questo, siamo assolutamente inutili ed è giusto  che prendiamo congedo.

Leggevo quest’estate, mentre predicavo un corso di esercizi, una bella espressione di alcuni antichi eremiti che dicevano così: “I Santi sono dei pezzetti di cielo che “imparadisano” ogni uomo che incontrano”. Bello! E’ vero, i Santi sono pezzi di cielo, ovvero dei richiami di Dio e proprio perché sono dei richiami di Dio rendono in qualche modo paradiso ciò che incontrano. Questo dobbiamo desiderare per noi, niente di meno di questo, perché o desideriamo questo, viviamo per questo e progettiamo questo nella nostra vita, oppure moriamo e siamo del tutto inutili al Signore e agli altri.

Quello su cui dobbiamo pensare e riflettere, morirci dentro, gioire, soffrire insieme – amandoci, volendoci bene, portando il nostro contributo – è soprattutto questo e solo questo: come, oggi rendere noi stessi, le nostre comunità, la nostra comunità, una realtà che è un pezzo di cielo, cioè che trova Dio al primo posto, che parla di Dio, che proclama Dio, che canta Dio, che grida Dio in ogni suo modo. Tutto il resto passa e va.

Ancora una parola:
Oggi è l’occasione per guardare all’anno che viene, quindi ricevere una programmazione e anche su questa programmazione avere motivo di confronto, di dialogo, di approfondimento, magari anche di arricchimento. Quello che vi ho detto, soprattutto concludendo, credo che possa  aiutare in questo senso.
Aggiungo soltanto una cosa. Mi pare che sia importante che questa vostra programmazione abbia come riferimento questo, che  a  mio parere deve essere l’orizzonte di tutto, perché altrimenti battiamo l’aria.
Dobbiamo poi mettere insieme due componenti:

  • il cammino della Chiesa per quest’anno, perché noi siamo Chiesa e sarebbe strano che pensassimo un cammino per noi, andando in direzione diversa rispetto al cammino che la Chiesa intende percorrere. L’anno della fede è un richiamo che ci viene anche continuamente riproposto con questi due anniversari: Concilio e Catechismo,proprio per ritrovare i grandi  contenuti  della fede. Allora credo che un cammino per quest’anno che è anche in prospettiva del Capitolo, non possa fare a meno di inserirsi dentro questa grande corrente di grazia che è il cammino della Chiesa. Questo mi pare  un primo punto importante.
  • è evidente che questo grande cammino di Chiesa, dentro al quale siamo, avrà delle specificità e particolarità che sono legate alla vita della Congregazione, quindi al vostro carisma e quindi anche  alla vostra modalità specifica di vivere questo grande cammino dentro la Chiesa.

Quindi credo che l’orizzonte iniziale del primato di Dio e della preghiera debba tenere presenti queste due grandi realtà.  Voi state vivendo ora il cammino verso il momento forte del Capitolo, un momento importante, un momento di grazia, un momento forte al quale sicuramente affidare tanti  desideri, tante speranze. Ma il Capitolo non è tutto e questo non è un anno nel quale stare ad aspettare, ma dobbiamo vivere questo anno che il Signore ci dona lavorando con generosità e piena partecipazione. Il Capitolo sarà ancora un momento  di impegno del cammino di amore e generosità dell’anno che avremo vissuto.

E poi nello stesso tempo credo che sia anche importante in questa prospettiva non rimandare  al Capitolo o dopo il Capitolo anche eventuali problemi o elementi che è necessario già adesso affrontare, di cui parlare con serenità. Il Capitolo sarà un momento forte per riprendere in mano certe  questioni, per rilanciarle, per sottolineare come state “camminando verso”, ma dovete vivere in pienezza questo tempo lasciandovi interpellare dai segni che nelle vicende della vostra quotidianità il Signore lascia perché pensiate, preghiate, progettiate ora, adesso. Infatti come nella santità non dobbiamo rimandare a domani quello che possiamo fare oggi, così anche nella vita di una Congregazione non bisogna rimandare a domani quello che possiamo fare adesso, perché adesso il Signore ci interpella e ci invita.

(trascrizione da audio non rivista dall’autore)