Casa delle Missionarie delle Divina Rivelazione
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Natale è davvero vicino! Tra qualche giorno ci ritroveremo davanti alla capanna di Betlemme a contemplare ancora una volta il grande mistero del Figlio di Dio fatto Bambino per noi. Non sembra vero: è trascorso così veloce il tempo da quando abbiamo iniziato l’Avvento! Era il sabato 30 novembre, al canto dei Primi Vespri. E ora siamo già “sotto Natale”.
Dovremmo essere contenti; anzi, esserlo molto. L’Avvento esiste per questo: per condurci al Natale. Eppure c’è un velo di tristezza che oggi avvertiamo avvolgere il cuore. Perché una domanda si fa martellante e non ci dà pace: “Come ho vissuto questo tempo forte dell’anno liturgico?”. In verità, la domanda in sé non dovrebbe accompagnarsi a tristezza. E’ la risposta che, purtroppo, induce a essere non del tutto lieti. Perché questo tempo, forse, non l’abbiamo sfruttato fino in fondo per fare un passo avanti decisivo nella direzione della santità. Eppure proprio questo ci era richiesto e, prima ancora, ci era offerto in dono.
Tuttavia, oggi, una grazia ulteriore attraversa la nostra vita: un momento di sosta, un ritiro nel quale ci è possibile riconoscere la nostra inadempienza passata e guardare avanti a noi con il desiderio di bruciare le tappe. Questo vogliamo con tutto il cuore: bruciare le tappe, accelerare il passo, per fare della nostra preparazione al Natale un capolavoro di santità.
Ricordo quanto era solito dirmi un saggio ed esperto direttore spirituale nei primi anni del mio sacerdozio. Citava il grande San Bernardo che, a chi gli domandava un segreto per incamminarsi speditamente verso la santità, rispondeva con un semplice verbo all’infinito: “Ricominciare”. E poi aggiungeva, quel saggio ed esperto direttore di anime: “Ricominciare sempre, ogni giorno, senza perdere mai la fiducia, nonostante la nostra grande povertà e le rovinose cadute: questo è quanto il Signore vuole da noi; questo è ciò che dobbiamo fare per arrivare alla meta; questo è quanto ci insegnano i santi”.
Anche noi, dunque, vogliamo ricominciare. Con grande fiducia! E’ lo stesso Avvento che ci invita a questo atteggiamento del cuore. Con l’Avvento, infatti, si riapre davanti a noi il grande ciclo dell’anno liturgico. E questo riaccade invariabilmente ogni anno. Come è bello e consolante questo fatto! Ci ricorda che il Signore ritorna, che il Signore non si è stancato di noi, che, nonostante tutto, il Signore ancora ci ama perdutamente. Quando mi fermo a contemplare l’anno liturgico e il suo fedele ritorno annuale, mi torna alla mente l’immagine bellissima che Giovanni ci ha lasciato a conclusione dell’Apocalisse. “Ecco sto alla porta e busso…”. Così si comporta il Signore con noi: rimane alla porta e bussa, senza stancarsi, senza perdersi d’animo, nonostante i nostri ritardi, le nostre sordità, le nostre paure. L’anno liturgico, con il suo continuo tornare, ci fa come riascoltare il tocco instancabile e fedele con cui Dio bussa alla porta del nostro cuore. Ricominciare, dunque, si può: il Signore ce ne dà l’opportunità. Abbiamo ancora tre giorni prima che sia Natale.
1. Una domanda si impone: ricominciare, sì, ma come e da dove?
Suggerisco che il punto da cui partire sia proprio l’Avvento, con i suoi grandi contenuti che nutrono la fede e stimolano la pratica spirituale.
In questo tempo, la Liturgia della Chiesa non ha smesso di ricordarci che la venuta del Signore è triplice: quel Gesù che un giorno è venuto, un giorno ritornerà e ogni giorno continua a venire. Questa è la nostra fede, questo ripetiamo a noi stessi e agli altri quando parliamo di Avvento. Ma che cosa ne consegue per la nostra esistenza cristiana?
► Il Signore è venuto. Facile a dirsi; addirittura banale, purtroppo, sulla bocca di molti, forse anche sulla nostra. In verità, credere che il Signore è venuto significa ancorarsi alla verità più sconvolgente e più bella che la storia umana abbia mai potuto ascoltare. E’ forse normale che un Dio si faccia uomo, per di più bambino, e che lo faccia per noi, per la nostra salvezza, perché ci ama…perché mi ama? Guai se non avvertissimo più la novità sorprendente di questa notizia!
Tutti certamente ricordiamo l’immancabile personaggio del presepe che, in prossimità della capanna che ospita il divino Bambino, a mani vuote si inginocchia con sguardo rapito. Era stato invitato dagli Angeli ad accorrere a quel luogo perché vi era nato il Messia. Non sappiamo che cosa quell’uomo potesse aspettarsi; certo non un bambino in braccio alla sua mamma. E per la sorpresa rimase come in estasi, stupefatto dalla scena imprevista offerta al suo sguardo. Per questo la tradizione popolare lo ha chiamato “estatico” o “incantato”.
Potessimo anche noi provare la stessa esperienza di meraviglia di quel personaggio dei nostri presepi! Anche perché non c’è amore senza estasi e incanto. Così ritornare alla verità della venuta del Signore nel mistero dell’Incarnazione significa riscoprire la vita di fede come rapporto di amore personale che prende avvio dalla meraviglia e che dalla meraviglia si lascia animare nelle diverse fasi della vita. Non lo ripeteremo mai abbastanza: Dio ci ama e la nostra fede è adesione a un Persona viva, è una risposta di amore. Non un’ideale, se pure nobilissimo; non una dottrina, se pure altissima; non un insieme di leggi e di norme, pur sagge, da rispettare. Ma anzitutto e soprattutto una storia di amore con il Figlio di Dio fatto uomo e dal quale siamo rimasti conquistati, afferrati.
► Il Signore ritornerà. Agli inizi della storia cristiana l’attesa del ritorno di Cristo era una dimensione spirituale vivissima nella vita della Chiesa. Tanto che lo si pensava imminente. Non si erano ancora comprese con chiarezza le parole di Gesù, dette al riguardo.
Era, comunque, quell’attesa in contraddizione con l’impegno dei cristiani nel mondo? A fugare ogni dubbio, in merito, basterebbe il fatto che proprio quella generazione di cristiani, la prima generazione, ha letteralmente conquistato il mondo a Cristo. Si potrebbe, allora, affermare, che quanto più si rimane orientati al Signore e al suo ritorno glorioso, tanto più si è capaci di imprimere una svolta radicale alla vita e di incidere in profondità sulle vicende del mondo.
Non può che essere così. Perché là dove si avverte che la vita è pellegrinaggio, là dove si crede che la stabile dimora è altrove, là dove si ripone la propria speranza nel ritorno del Signore, giudice glorioso, tutto si trasforma: in noi e fuori di noi. Ci si ritrova impegnati in modo nuovo nel cammino della perfezione evangelica, ci si ritrova più determinati e coraggiosi nell’annuncio della salvezza.
E allora un po’ più di cielo sia nei nostri pensieri, un po’ più di cielo sia nel nostro cuore, un po’ più di cielo sia nelle nostre parole! Non sarà un po’ più di cielo a farci distratti dal tempo presente. Anzi, sarà un po’ più di cielo a renderci discepoli autentici di Gesù e testimoni persuasivi della verità della fede; sarà un po’ più di cielo a farci capaci di opere buone per il vero beneficio del mondo.
“Credo…che il Signore tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti”. E’ ciò che ripetiamo ad ogni professione di fede. Non rimanga parola astratta, ma divenga ogni giorno di più anima della nostra esperienza cristiana.
Rimane sempre tanto istruttivo il celebre episodio, da tutti conosciuto e raccontato nelle biografie di San Luigi Gonzaga. Il giovane stava divertendosi con i suoi compagni, durante la ricreazione scolastica, quando uno di loro volle metterlo alla prova e gli chiese: “Che cosa faresti se dovessero dirti che tra poco il Signore verrà a prenderti?”. Luigi rispose senza scomporsi: “Continuerei a divertirmi con i miei compagni”. Quello era il suo dovere e, per lui, in quel momento, divertirsi con i compagni era il modo migliore per rispondere al Signore e attendere la sua venuta.
Il Signore tornerà. Vivere nell’attesa di lui significa, per lui, dare la vita e darla senza riserve, là dove siamo, là dove ci chiama la volontà di Dio, senza inutili fantasie e distrazioni.
► Il Signore continua a venire. Per ciascuno di noi, nella fede, la vita è l’esperienza di un’ininterrotta visita del Signore.
Come cambia la vita, quando si diventa consapevoli di questo, quando si avverte che il Signore è con noi, con noi in ogni istante delle nostre giornate! Ricordiamoci dello stupendo titolo attribuito al Salvatore nella Sacra Scrittura: egli è l’Emmanuele, il Dio con noi. Se è così, se questa è la verità più intima del mistero di Dio e del suo Volto, tutto ci parla di lui, della sua presenza e della sua opera di provvidenza. Non c’è incontro, non c’è fatto, non c’è imprevisto che non sia segnato dal suo passaggio d’amore. Non c’è gioia o dolore, vittoria o sconfitta che non possano rivelare una visita del Signore e rinnovare, così, un’esperienza di grazia.
Si racconta che un ragazzo, sollecitato in questa direzione dal sacerdote che lo accompagnava nel cammino della fede, avesse preso l’abitudine di ripetere nel segreto del proprio cuore la parola “eccomi”. La ripeteva quasi ad ogni istante della giornata: quando qualcuno lo chiamava, quando suonava il campanello di casa, allo squillo del telefono, di fronte a un fatto imprevisto…Insomma, la ripeteva in ogni occasione, all’accadere dei piccoli e grandi fatti della sua vita. In tal modo manteneva viva dentro di sé la consapevolezza che Gesù gli era sempre vicino e che in tutto egli veniva a visitarlo. Un giorno accadde l’impensabile. Mentre giocava, cadde facendosi male a una gamba. Subito, con prontezza, il ragazzo disse dentro di sé: “Eccomi!”. Questa volta, però, con suo grande stupore, gli capitò di ascoltare un’altra voce, che quasi fece eco alla sua. “Eccomi”, disse quest’altra voce, intima, nuova, eppure familiare. Era Gesù, che in tal modo voleva confermare al ragazzo che tutto, davvero tutto nella vita, anche il doloroso imprevisto, nascondeva la sua visita provvidente e il suo disegno di amore.
Così, il tempo della preparazione al Natale ci aiuta a ricordare – direbbe San Paolo – che “chi si separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?…Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 35-39). Nulla ci può separare da Cristo, perché in tutto egli è presente e sempre in atto di visitarci.
2. Il nostro “ricominciare”, come si diceva, ha preso avvio dalla riconsiderazione dei grandi temi del tempo di Avvento.
Ora, però, suggerisco che l’invito a ricominciare lo avvertiamo insistente e attraente a partire da un esercizio spirituale forse un po’ originale.
Tutti noi, io credo, talvolta, fermi davanti al nostro presepe, abbiamo provato a immedesimarci nelle diverse figure lì contenute, quasi a voler rinnovare in noi i sentimenti, le attese, i pensieri di quei fortunati personaggi, che hanno preso parte all’irripetibile pellegrinaggio verso il luogo della nascita del salvatore.
Proviamo a immaginare qualcosa di analogo a questo, ma anche, in parte, diverso. Entriamo nel nostro presepio, mettiamoci anche noi in cammino verso il luogo della nascita di Gesù e osserviamo attentamente il volto dei personaggi che di volta in volta incontriamo: lungo i sentieri, vicino ai corsi d’acqua, impegnati a badare alle pecorelle del gregge, affaticati ad attraversare deserti e montagne…Non hanno forse i lineamenti di qualcuno che già conosciamo? Oggi il nostro presepio è diverso dal solito. Ci avviciniamo più attentamente a ciascuno e riconosciamo, nei loro lineamenti, quegli uomini e quelle donne di Dio di cui la Chiesa ha fatto memoria durante il tempo di Avvento.
Sono proprio loro. Sono i santi che, come pellegrini verso Gesù nascente, hanno percorso il tempo di Avvento con il compito di indicare la giusta strada anche a noi. Abbiamo fatto attenzione a ciò che dicevano? Siamo stati in ascolto di ciò che gli esempi della loro vita avevano da suggerirci?
Abbiamo ancora tre giorni prima che sia Natale. Il tempo c’è per rimetterci all’ascolto dell’insegnamento dei santi, nostri amici e fratelli, per lasciarsi condurre da loro alla decisione più importante per la vita: la santità. Non dimentichiamolo: l’Avvento che stiamo vivendo avrà portato frutto soltanto se, davanti al Divino Bambino, potremo dire con verità che un passo in avanti verso la santità lo abbiamo compiuto.
Decidiamoci, allora, a entrare in dialogo con i nostri cari compagni di viaggio.
► Il primo che ci è dato incontrare è San Francesco Saverio. Al vederlo è impossibile non ricordare le parole che un amico gli aveva spesso sentito ripetere e quasi gridare nel sonno. Le ha come stampate sul suo volto di audace araldo di Cristo: “Ancora di più, ancora di più!”. A quell’amico, una volta svegliatosi, Francesco aveva confidato: “Io vedevo nel sogno grandissime fatiche e pericoli per il regno di Dio nostro Signore; eppure la sua grazia mi sosteneva e mi animava a tal punto che non potevo trattenermi da domandarne ancora di più”.
“Di più, di più!”. Diventerà questo il grido, il programma di Francesco Saverio; un grido che non gli consentirà più di fermarsi. In dieci anni – questo fu il tempo della sua missione nelle terre del lontano oriente – percorse più di centomila chilometri, viaggiando continuamente per terra e per mare, spesso con mezzi di fortuna e tra mille pericoli. Al tempo della sua conversione a Cristo, aveva preso una decisione radicale: considerarsi missionario in azione, in ogni istante della sua vita. Quella decisione non lo avrebbe più abbandonato. Così di lui si è potuto dire: non era mai in viaggio verso la sua missione, perché era sempre in missione.
Francesco non lo si può avvicinare e rimanere gli stessi di prima. Dall’incontro con lui si rimane cambiati. C’è come un fuoco che gli abita il cuore e che trova negli occhi espressione vivacissima. Incrociamo per un istante quegli occhi. Pare che stia ancora pensando a quel sogno che ebbe quando, missionario in terre lontane, tornava ai luoghi della sua giovinezza e dei suoi studi a Parigi. Avrebbe voluto percorrere i grandi corridoi delle Università dell’Europa e chiamare alla missione studenti e professori che – come egli diceva – avevano più scienza che carità.
Come, allora, incontrare Francesco Saverio e non avvertire l’esigenza di un rinnovato slancio nell’annuncio del Vangelo? Ricordando ciò che diceva un famoso predicatore: “Noi abbiamo la fede che annunciamo”. O, in altre parole, la fede cresce con la testimonianza che ne diamo. San Francesco Saverio ci aiuta ad avvicinare il divino Bambino facendo ardere nel cuore il desiderio della missione.
►Andiamo un po’ oltre e si presenta davanti a noi Sant’Ambrogio, il grande Vescovo di Milano. Di lui è stato detto che, quando parlava di Cristo, faceva innamorare. Eccone un esempio, mentre si rivolge alle vergini consacrate: “ Noi abbiamo tutto in Cristo Signore. Se vuoi curare una ferita, Egli è il medico; se la febbre ti brucia, Egli è una sorgente d’acqua viva; se il peccato e il male ti opprimono, Egli è la giustizia, la santità; se hai bisogno di aiuto, Egli è la forza; se hai paura della morte, Egli è la vita; se desideri il cielo, Egli è la strada che vi conduce; se vuoi fuggire le tenebre, Egli è la luce; se hai fame, Egli è nutrimento e cibo”.
A lui noi chiediamo: “Chi è Cristo per te?”. Ed egli immediatamente risponde: “Cristo è tutto per me!”. Tante volte lo ha ripetuto anche alla sua gente, che lo ascoltava quasi rapita per l’amore ardente e delicato con cui parlava di Gesù. Chissà che non si rimanga coinvolti anche noi, una buona volta, in questo stupendo slancio del cuore!
Commentando un salmo, un giorno ebbe a dire: “Una giovane sposa, dalla duna, sulla riva del mare, aspetta con attesa instancabile l’arrivo dello sposo e, a ogni nave che scorge, spera che a bordo ci sia il consorte, e teme che sia qualcun altro ad avere prima di lei il piacere di scorgere l’amato e di non essere la prima a dire: Ti ho visto marito mio!”. Così deve essere per ogni cuore credente, confida anche a noi il vescovo Ambrogio: innamorato e sempre proteso nell’attesa del suo unico grande amore, il Signore Gesù.
Camminando con Ambrogio, il nostro avvicinarsi a Betlemme potrà rivelarsi un itinerario di grazia: il suo amore per Cristo sarà contagioso e al momento del nostro arrivare davanti alla culla del Santo Bambino forse saremo capaci dire come mai prima d’ora: “Ti amo, ti amo davvero!”.
Osservandolo, non si può fare a meno di rimanere molto colpiti dalla sua straordinaria capacità di rimanere raccolto in silenzio e in preghiera. E diventa più chiara l’esperienza che ne ebbe Agostino. Il futuro vescovo di Ippona era ancora in ricerca della verità ed ebbe la grazia di fare uno di quegli incontri che cambiano la vita: l’incontro con Ambrogio. Ne aveva sentito molto parlare, ma mai aveva avuto modo di vederlo da vicino. Il desiderio di dialogare con lui era grande. Per questo si diresse deciso verso l’episcopio, dove Ambrogio risiedeva ed era solito accogliere i fedeli che desideravano incontrarlo. Si presentò davanti alla porta che dava sullo studio del grande pastore, ma non gli fu possibile né entrare e neppure bussare. Ambrogio era assorto nella lettura della Scrittura e nella preghiera. A tal punto che il giovane Agostino non osò disturbarlo. Rimase a guardarlo e ne fu impressionato. Tanto che da quel momento cominciò a frequentare con assiduità la cattedrale, per ascoltarlo e imparare. Iniziava così quel percorso di grazia che lo avrebbe portato ad abbracciare la fede.
Ritorniamo a osservare Ambrogio, assorto oggi come allora nel silenzio e nella preghiera. Anche noi, come Agostino, rimaniamo conquistati dall’esempio di quest’uomo che è tutto di Dio. Camminargli vicino possa aiutarci a ridare al silenzio e al colloquio continuo con il Signore quel primato che a volta abbiamo perso di vista.
► Ci guardiamo attorno e poco più in là vediamo un giovane monaco, dal fisico asciutto e dallo sguardo ascetico. Ci avviciniamo e riconosciamo che si tratta di San Giovanni della Croce. E’ sempre una forte emozione poter avvicinare quei campioni della fede che – lo si può ben affermare – Dio l’hanno conosciuto non per sentito dire. Tra questi, certamente, è da annoverare Giovanni.
A tutti noi egli è noto come il dottore del tutto e del nulla. Forse è per questo che tra sé e sé sta ripetendo: “Niente per me, tutto per te. Amare Dio è spogliarsi per Dio di tutto ciò che non è Dio”. Il suo solitario conversare conosce una pausa. Poi riprende: “Per giungere a sapere tutto, non voler sapere nulla. Per giungere a gustare tutto, non cercare gusto in nulla. Per giungere a possedere tutto non voler possedere alcuna cosa in nulla. Per giungere ad essere tutto non voler essere alcunché in nulla”.
La sua è come una grande melodia, che racconta in versi il tutto che è Dio e il nulla che è il mondo. Con le conseguenze che ne derivano per chi voglia prendere sul serio Dio nella propria vita. Giovanni continua: “Quando ti fermi a qualche cosa, lasci di tendere al tutto. Poiché per giungere al tutto devi rinnegarti tutto in tutto. E quando giungessi ad avere tutto, lo devi tenere senza volere nulla. Poiché se volesse qualche cosa nel tutto, non avresti in Dio solo il tuo tesoro”.
Ascoltando le parole del grande carmelitano, ritorna alla mente un singolare episodio della sua vita. Una monaca gli si stava avvicinando per parlargli, quando gli capitò di assistere a una scena imprevista. Giovanni era in piedi, mentre in ginocchio, davanti a lui, c’era una donna che stava piangendo. Era donna Penalosa, una donna di grande fede che frequentava il santo frate per la direzione del suo spirito. Il padre, con gli occhi rivolti al cielo, andava ripetendo. “Niente, niente! Fino a lasciar la pelle e il resto per Cristo”.
Mentre riportiamo alla mente quell’episodio, ci accorgiamo che il santo carmelitano sta ripetendo anche a noi le stesse parole rivolte a quella nobile donna spagnola. E ci accorgiamo che è vero: non abbiamo ancora preso sul serio Dio nella nostra vita. Se così fosse, quanto diversa sarebbe la valutazione che diamo di ciò che siamo, abbiamo e viviamo. Quello che riteniamo come primario e importante deve ancora diventare nulla, perché finalmente il Signore risplenda come il tutto e il solo della nostra vita. L’esempio di San Giovanni della Croce ci aiuti, e ci sia possibile dire con verità al Santo Bambino che presto incontreremo: “Per te sono disposto a dare tutto, perché tutto è nulla davanti a Te!”.
Saremmo propensi ad allontanarci dal grande riformatore del Carmelo, ma egli ci richiama a sé. Un giorno – così a noi si rivolge – una suora mi scrisse riguardo ad alcune difficoltà e incomprensioni che aveva con le sorelle della sua comunità. Così le risposi nella mia lettera: “Non pensi ad altro se non che tutto è disposto da Dio. E dove non c’è amore, metta amore e troverà amore”.
Giovanni conclude e si allontana per riprendere il suo cammino. E noi rimaniamo in silenzio, assorti e pensosi. Ci è stato lasciato ancora un messaggio. Forse non l’ultimo, prima che all’orizzonte appaia la capanna dove giace il Bambino Gesù; ma certo tanto importante. A Natale si è fatto carne e, dunque, visibile il Verbo di Dio. Questa parola, usata dall’evangelista Giovanni, la possiamo tradurre anche con “senso”, “significato”. Ovvero, a Natale si è reso comprensibile e accessibile all’uomo il significato vero della vita e della storia, per ciascuno e per tutti. Ma non basta. Perché quel senso ha il volto dell’amore. L’amore, allora è il senso profondo di tutto ciò che è al mondo e della vita dell’uomo. Ecco perché Giovanni della Croce ci lascia, lungo il sentiero che porta a Betlemme, con quell’ultimo grande messaggio: “Dove non c’è amore, metti amore e troverai amore”. Dove non c’è amore manca il senso della vita e il dono più grande che possiamo farci reciprocamente è proprio quello di ricordarci il senso della vita, attraverso il reciproco amore.
Per questo, se anche ci capitasse di arrivare davanti a Gesù Bambino poveri d’amore, amareggiati da qualche lite e discordia, non dovremo, non potremo distaccarci da Lui se non rinati all’amore che si dona senza riserve e sempre.
Mentre ancora pensiamo a ciò che Giovanni della Croce ci ha confidato, ci accorgiamo che una presenza femminile è rimasta sullo sfondo del nostro presepio. E’ stata discreta, silenziosa, come è nel suo stile; eppure è stata vigile, attenta, indispensabile. Anzi, senza di lei il presepio non sarebbe presepio e vano sarebbe il nostro cammino. In questi giorni, anche lei ha percorso la strada: quella che la conduce a Betlemme. In un modo diverso da tutti noi. Perché ella, Maria, Gesù non deve andarlo a cercare, lo porta con sé, nel calore del proprio grembo materno.
Che cosa possiamo apprendere da lei? Non è forse, la sua, una condizione troppo diversa dalla nostra? Sant’Agostino non la penserebbe così. Maria è beata – egli dice – non solo perché ha generato Cristo nel suo grembo, ma anche e ancora di più perché lo ha generato nel suo cuore. Ecco ciò che Maria ricorda a noi tutti, ormai nella prossimità del Natale: a nulla varrebbe la nascita di Gesù a Betlemme, se poi egli non nascesse anche nel nostro cuore. Ognuno di noi diventi una culla vivente nella quale il Divino Bambino possa rinascere. Allora sarà Natale davvero!
Ora riprendiamo la strada, dopo la sosta di questo ritiro. Ricominciamo ancora una volta. Quanto l’Avvento ci ha donato e ci dona ora è forse più chiaro. Con noi, amici fedeli, camminano i santi, cammina Maria, la Madre di Gesù. Abbiamo ancora tre giorni prima che sia Natale. Un capolavoro di santità è ancora possibile. Auguri a noi tutti!