Per la Rivista “Palabra”
L’elemento rituale del silenzio ha bisogno di essere opportunamente inquadrato nel più ampio tema dell’agire di Cristo nella liturgia.
Ciò che è fondamentale, al riguardo, è stato ricordato con la consueta chiarezza e profondità dal teologo Ratzinger: “Con il termine ‘actio’ riferito alla liturgia, si intende nelle fonti il canone eucaristico. La vera azione liturgica, il vero atto liturgico, è la oratio: la grande preghiera, che costituisce il nucleo della celebrazione liturgica […] In essa accade, infatti, che l’actio umana … passa in secondo piano e lascia spazio all’actio divina, all’agire di Dio” (Introduzione allo spirito della Liturgia, pp. 167-168).
Nella oratio, di conseguenza, si svolge ciò che è essenziale alla liturgia cristiana, “l’agire di Dio”: ovvero l’atto pregato mediante il quale il Signore offre la vita al Padre per la salvezza del mondo.
In quell’agire gli elementi della terra vengono accolti e trasformati nel suo Corpo e nel suo Sangue, così che il nuovo cielo e la nuova terra sono anticipati. In quell’agire si compie il gesto di adorazione supremo che riconduce alla verità del proprio essere l’umanità tutta e la creazione intera: ogni realtà ritrova la sua ragione d’essere in Dio e nella dipendenza da lui.
La liturgia, pertanto, è adorazione: in essa si rende presente in modo sacramentale il sacrificio della croce nel quale Gesù ha reso gloria al Padre con il suo sì, adorazione radicale di Dio e della sua volontà.
Ecco perché la liturgia cristiana è atto che conduce all’adesione, ovvero alla riunificazione dell’uomo e della creazione con Dio, all’uscita dallo stato di separazione, alla comunione di vita con Cristo. Ciò, allora, che risulta essenziale è che alla fine venga superata la differenza tra l’agire di Cristo e il nostro agire, tra il suo sacrificio adorante e il nostro, così che vi sia una sola azione, ad un tempo sua e nostra.
Se la liturgia è preghiera adorante, ciò significa che quando è ben celebrata, con il linguaggio che le è proprio, in diverse sue parti, deve prevedere anche una felice alternanza di silenzio e parola.
Si ricordi, in proposito, quanto afferma l’Ordinamento Generale del Messale Romano: “Si deve osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la Comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica” (n. 45).
Se il momento rituale del silenzio, però, non fosse l’espressione di una complessiva “liturgia del silenzio” e non favorisse il realizzarsi di una tale liturgia potrebbe essere solo uno spazio vuoto all’interno della celebrazione. Il silenzio celebrativo, invece, è “sacro” perché porta in sé la presenza onnipotente e misericordiosa di Dio, rispetto alla quale ci si pone in atteggiamento orante, stupito, grato e commosso. E’ un silenzio carico di adorazione e, come tale, volto all’adesione piena del cuore e della vita.
Da questo punto di vista, ci è dato di capire meglio il motivo per cui durante la preghiera eucaristica e, in specie, il canone, il popolo di Dio orante segue nel silenzio la preghiera del sacerdote celebrante. Quel silenzio, davvero sacro, è lo spazio liturgico nel quale dire sì, con tutta la forza del nostro essere, all’agire di Cristo, così che diventi anche il nostro agire nella quotidianità della vita.
Di questo silenzio liturgico e sacro ci offre una splendida testimonianza il Santo Padre Benedetto XVI, nelle liturgie da lui presiedute in ogni parte del mondo. L’esperienza che ne risulta è per tutti, giovani e meno giovani, toccante e affascinante. Si pensi al silenzio “impressionante” dei milioni di giovani convenuti a Madrid per la Giornata Mondiale della Gioventù, nel mese di agosto dello scorso anno, sia alla Veglia di preghiera che alla Santa Messa. Quel silenzio era davvero adorante e ha parlato a tutti. Ha parlato di Dio più di quanto avrebbe potuto fare qualunque voce umana.