Meditazione – Il Magnificat

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Meditazione – Il Magnificat

Meditazione – Il Magnificat

Il cantico del Magnificat

Bagnoregio, 6 settembre 2018 – pomeriggio

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Oggi pomeriggio vogliamo intrattenerci su un altro testo che riguarda la Madonna: il cantico del Magnificat.  Prima però, da una parte, vorrei riprendere un pensiero di san Gregorio Magno il quale dice che, quando noi rimaniamo a meditare la parola che il Signore ci rivolge, dobbiamo immaginare di essere come al pascolo nel giardino di Dio; poi attraverso questa immagine del pascolare san Gregorio continua  e dice che dobbiamo essere come animali al pascolo che si nutrono, ruminano. Ecco, noi dovremmo sempre disporci all’ascolto del Signore avendo davanti a noi questa immagine suggestiva: pascolare nel campo di Dio per assimilare i frutti belli e saporosi che questo campo ci dona.San Gregorio aggiunge anche un’altra cosa: il nostro dialogo con il Signore a partire dalla parola che Dio ci rivolge ci permette in qualche modo di riassaporare ciò che l’uomo ha vissuto nel giardino dell’Eden, quando passeggiava con Dio, dialogando faccia a faccia con Lui. Per cui san Gregorio arriva a dire che ogni volta che siamo in ascolto del Signore che ci parla, pascoliamo nel giardino di Dio e pregustiamo qualcosa del Paradiso e di quello che sarà.

Noi vogliamo sulla scia di san Gregorio Magno, nel nostro piccolo, fare questa esperienza anche oggi. Esperienza del passeggiare nel giardino del Signore per ascoltare le sue parole di amore e pregustare la bellezza e la dolcezza del Paradiso.Una seconda cosa, prima di entrare direttamente nel testo: questa mattina abbiamo sottolineato come sia necessario per noi ritornare sempre al cuore della nostra vita; e questo cuore ha un volto e ha un nome perché è Gesù, e dobbiamo sempre ritrovare questo cuore, ritrovare questo volto. La Madonna, in questo cammino quotidiano che ci attende, ci è sempre maestra.
Diceva un santo che quando noi guardiamo negli occhi Maria, ci accorgiamo immediatamente che quei suoi occhi indicano Gesù, come a dirci: Guarda me, ma guardando a me guardi Gesù. Il nostro stare con la Madonna è stare con Colei che, più di ogni altro, ci porta a Gesù e quindi ci riconduce al cuore e al centro della nostra vita, della nostra fede.

C’era un giorno un famoso maestro di tiro con l’arco che aveva degli allievi; durante l’anno li aveva istruiti perché potessero crescere in questa disciplina sportiva. Alla fine del primo anno decise di far provar loro un po’ del clima e della tensione di una gara. Li portò su una grande spianata; sul limitare della spianata, dove poi cominciava il bosco, mise un grande tronco e sopra appose un tassello rosso che doveva essere l’obiettivo da centrare.
Con questi ragazzi andò dall’altra parte di questa spianata, li preparò a cosa dovevano fare. Disse: Vediamo adesso chi tra voi sarà il più bravo.
Si fece avanti un ragazzo: si preparò, tese l’arco con la freccia però, prima che potesse tirare, il maestro lo fermò e disse: “Dimmi un po’, tu vedi quel tronco su cui c’è il tassello rosso?” Il ragazzo gli disse: “Sì certo, lo vedo”. Il maestro rispose: “Allora torna al tuo posto, perché non sei pronto”. E il ragazzo tornò al suo posto.
Si fece avanti un altro ragazzo. Si preparò al tiro, ed anche a lui il maestro disse: “Tu vedi lì in fondo, vedi quegli uccelli che volano?” E il ragazzo disse: “Sì, li ho visti!” E il maestro disse: “Anche tu vai a posto, non sei pronto”.
Si fece avanti un terzo. Anche questi si preparò, ed anche a lui il maestro pose la stessa domanda: “Tu mi vedi?” Il ragazzo un po’ sorpreso disse: “Sì, la vedo”. E il maestro: “Torna al tuo posto, neanche tu sei pronto”.
I parenti che osservavano quanto stava succedendo cominciavano a commentare, non capivano cosa stava succedendo.
Finalmente arriva un altro ragazzo. Anche a lui, pronto al tiro, il maestro dice: “Tu vedi laggiù quel tronco?” E il ragazzo: “No, non lo vedo!” – “E quegli uccelli là sugli alberi in fondo alla spinata?” “No, non li vedo!” – “E a me, mi vedi?” “No, non la vedo!” Il maestro gli chiese: “Tu che cosa vedi?” E il ragazzo: “Io vedo un tassello rosso! E allora il maestro disse: “Tira!” e fece centro.

Questo episodio ci permette di mettere a fuoco questa verità che è tanto importante per la nostra vita: noi troppo spesso siamo distratti dai dettagli e manchiamo il bersaglio, che è il bersaglio della nostra vita santa.
Dobbiamo concentrarci sull’obiettivo, che è Gesù, e allora il centro lo raggiungiamo, cioè la santità. La Madonna è esattamente colei che ci aiuta a non distogliere mai lo sguardo del cuore dall’obiettivo, e cioè da Gesù.
Allora in questa giornata, in cui ci stiamo soffermando a considerare i due brani che ci parlano della Madonna, a lei vogliamo chiedere questa grazia: di aiutarci a non distogliere mai il cuore da quel cuore, gli occhi da quel volto che ha un nome: Gesù!

Vogliamo riascoltare il brano evangelico di san Luca nel quale è riportato il cantico del Magnificat con quello stupore di chi per la prima volta sente queste parole: una vera e propria lettera d’amore che il Signore ci fa pervenire. Voi sapete cosa succede quando due persone che si vogliono bene ricevono una lettera: lui riceve una lettera da lei, la legge, la rilegge, poi la rilegge, perché rileggendola scopre cose sempre nuove, poi la mette da parte e dopo un po’ la va a riprendere, perché vuole assaporarla ancora, e poi il giorno dopo ci ritorna sopra… Così dobbiamo fare con la parola che il Signore ci rivolge perché è sempre una lettera d’amore indirizzata a ciascuno di noi. Allora con questo animo, ascoltiamo la pagina di san Luca (1,46-58).

Considerando questo brano proviamo a fare alcune osservazioni di carattere generale e poi ci soffermiamo sul testo procedendo sempre per punti.
Cominciamo con alcune osservazioni di carattere generale. S. Ambrogio, che ha commentato il Vangelo di san Luca, su questo brano, quando giunge al termine, idealmente si rivolge a coloro che stanno leggendo e dice così: “Adesso, dopo esserci soffermati a considerare attentamente il canto della Madonna, sia in noi l’animo di Maria, sia in noi il cuore di Maria perché sia possibile anche a noi magnificare Dio come l’ha magnificato lei”. Così sant’Ambrogio conclude il commento al cantico del Magnificat.
La prima osservazione è questa: noi, quando ascoltiamo il Magnificat o lo preghiamo o lo cantiamo, dovremmo sempre poterlo fare con il desiderio di assimilarne il cuore, l’anima, per poter entrare dentro a quello che Maria ha vissuto cantando il Magnificat, in modo tale che possa divenire anche nostro. E questo, nel rapporto con Maria vale sempre: tanto più è in noi il cuore, l’anima della Madonna, altrettanto noi siamo vicini al Signore perché non c’è nessuno come la Madonna che canti di Dio, nessuno come la Madonna che parli di Dio, nessuno come lei che esprima i propri sentimenti per Dio. Tanto più riusciamo ad immedesimarci dentro il cuore e l’anima della Madonna e altrettanto ci avviciniamo al Signore.

Le parole di sant’Ambrogio su come avvicinarci a questo testo devono diventare un criterio del nostro rapporto con Maria: assimilarne sempre più cuore e anima per vivere quell’intimità che solo lei ha vissuto con il suo Signore.
Quello della Madonna, noi lo chiamiamo cantico, e facciamo bene perché è un canto. Che cosa ci suggerisce questo? Immaginate la scena: Maria parte da Nazareth, compie questo lungo percorso a piedi, in parte anche faticoso perché sale verso i monti della Giudea, arriva finalmente in casa di Elisabetta. Elisabetta le si fa incontro, le rivolge quel saluto molto bello (“beata te che hai creduto…”)… e la Madonna comincia a cantare.
Il canto della Madonna dice che Maria è contenta di Dio, e canta perché ha il cuore in festa. L’ascolto delle parole che Elisabetta le ha rivolto, gli avvenimenti accaduti precedentemente, sono la sorgente di questa gioia grande che la Madonna conserva nel cuore e che non può più trattenere. Tanto che la parola non basta più, e la Madonna canta, canta la propria gioia di Dio.

Questo ci interpella, perché noi siamo chiamati ad essere cantori di Dio. E il mondo ci chiede questo. Oltre ad essere questa la nostra realtà più profonda, il mondo ci chiede di essere cantori di Dio, testimoni che Dio è bello, che per Dio vale la pena vivere, che per Lui noi possiamo lasciare ogni altra cosa, perché realmente è Lui la gioia del nostro cuore.
Quando noi guardiamo la Madonna, sia nelle sue rappresentazioni, sia con lo sguardo interiore della contemplazione di chi si mette in relazione orante con lei, oppure entra in contatto con la parola di Dio che parla della Madonna, ciascuno di noi entra in relazione con una donna che di Dio parla bene, che ne dice meraviglie, che ne è contenta.
Dovremmo chiederci quanto chi entra in relazione con noi può percepire questa esperienza profonda del cuore riguardo a Dio; chiediamoci se la nostra parola e la nostra vita gridano la bellezza di Dio, la nostra gioia a motivo di Lui; se si dice di noi: davvero per questa donna, per quest’uomo, per questo consacrato, Dio è la gioia del cuore.

Nei ricordi di un vescovo, nostro contemporaneo, c’è un episodio simpatico: si era recato in una parrocchia della sua diocesi per celebrare le cresime. Come al solito era arrivato un po’ di tempo prima per intrattenersi un po’ con i cresimandi. Faceva così qualche domanda per capire se erano preparati, se bisognava aggiungere qualche cosa… Arrivò in questa parrocchia e tra le domande pensò di farne alcune relativa alla figura del vescovo. “Chi di voi mi sa dire che cosa fa il vescovo?” Cominciarono ad alzare la mano, a voler parlare. Ciascuno disse una parola sulla figura del vescovo, qualcuno cose più significative, altri più superficiali. Quando tutti ebbero parlato, si accorse che uno non aveva ancora preso la parola, stava nel suo angolino tutto silenzioso. Uno po’ dispiaciuto, disse:” Tu non hai parlato. Dì qualcosa anche tu, non aver paura. Che cosa fa un vescovo?”  Il ragazzo, rosso in volto perché interpellato dal vescovo, pensando di dire una cosa fuori luogo rispose: “Secondo me il vescovo è quello che fa suonare le campane”. Tutti si misero a ridere. E il vescovo disse: “No, non ridete, il vostro amico ha detto una cosa giusta: quando il vescovo viene a trovare una parrocchia, le campane si mettono a suonare. E perché? Perché porta la gioia del Signore. Per dire che il vescovo ci porta la gioia di Gesù.”
Noi dovremmo essere le campane della gioia, che in mezzo a questo mondo suonano a festa perché Gesù è la nostra gioia, la nostra festa; le campane della nostra vita suonano perché Lui la riempie di sé. Proprio come la Madonna.

Un terzo elemento, sempre di osservazione generale. Il racconto del Magnificat inizia con una frase che fa da unione tra il cantico che segue e il dialogo che ha preceduto tra la Madonna e santa Elisabetta. Questa frasetta comincia con: “Allora Maria”. Dettaglio importantissimo. Ci viene a dire che il canto che segue è scaturito da quanto ha immediatamente preceduto: la Madonna ascolta ciò che Elisabetta le dice e vede confermata la promessa di Dio; tocca con mano la fedeltà di Dio alla parola che le aveva donato. ALLORA Maria canta perché, contenta, in quel dialogo vede confermato quanto le aveva detto l’Angelo. Il canto scaturisce da una memoria colma delle opere di Dio. Dalla memoria colma di bellezza, perché colma delle opere di Dio per lei, scaturisce il cantico della gioia.
Non è un caso che nella Scrittura noi sentiamo tante volte dire da parte di Dio a Israele: “Ricordati…” Questo avviene nei momenti più difficili, quando Israele è tentato di tradire, di tornare indietro, di sentire il richiamo della schiavitù. Allora: “Ricordati di quello che ho fatto per te, ricordati delle meraviglie che ho compiuto nella tua storia, ricordati dei prodigi di cui sei stato spettatore e testimone”. Nella nostra vita abbiamo bisogno di coltivare la memoria delle opere che Dio ha compiuto, perché siamo degli smemorati. Ed è importante che di tanto in tanto ci fermiamo per ritornare, con la mente e con il cuore, a vedere come in un film la storia della nostra vita, per contemplare grati e stupiti quello che il Signore ha fatto per noi. È soltanto da una memoria colma della memoria dell’opera di Dio che può sgorgare il cantico della gioia.

A volte la nostra memoria deve essere anche curata e guarita, perché non sempre conserva le grandi opere di Dio; a volte conserva ciò che umanamente ci ha fatto del male, ci ha ferito, oppure anche la memoria del nostro peccato, della nostra caduta, oppure la memoria di relazioni difficili che ancora ci pesano sulla memoria e sul cuore. Eppure tutto questo, noi siamo chiamati a considerarlo nella luce della provvidenza di Dio in modo tale che divenga quello che è in realtà: tutto strumento di grazia, rivelatore della meraviglia di Dio per noi. La nostra fede è fede vera quando sa accorgersi che tutto nella vita è grazia. TUTTO. Qualunque cosa. E di tutto il Signore si è servito per darci la grazia, per amarci di più, perché la nostra vita possa essere come Lui la desidera.
Dobbiamo riuscire un po’ alla volta non solo a coltivare la memoria delle opere di Dio che ci appaiono tali immediatamente, ma anche una memoria capace di scoprire le grandi opere di Dio laddove immediatamente e con un semplice sguardo umano questo non ci pare. Ecco perché dobbiamo di tanto in tanto fermarci e lasciare che il nostro passato si riempia della presenza del Signore, cosicché possiamo anche noi dire: “Allora”, e cantare il nostro Magnificat, consapevoli che tutto è stato grazia, che tutto è stato segnato dall’amore di Dio, che tutto ha contribuito perché il grande disegno di Dio su di noi si potesse realizzare. La Madonna ci insegna anche questo.

Una quarta osservazione di carattere generale. Quando ci fermiamo con attenzione sul Magnificat ci accorgiamo che possiamo dividerlo in due grandi parti: nella prima la Madonna è tutta concentra sul Signore; nella seconda è tutta concentrata sul mondo, sulle vicende della sua vita e della vita del mondo. Due grandi scene. Prima gli occhi di Maria sono rivolti verso l’alto, poi sono rivolti verso il basso.
Quello che ci dovrebbe entusiasmare è questo: che mai occhi così limpidi hanno guardato verso Dio, né mai guarderanno, e mai occhi così limpidi hanno guardato verso il mondo e la storia, né mai guarderanno. Entrare in questi occhi, dentro questo sguardo vuol dire guardare Dio e guardare il mondo con quella limpidezza e quella purezza, e quindi con quella chiarezza tutta divina, che soltanto la Madonna poteva e può avere. Potremmo qui quasi completare Ambrogio e dire: Sia con noi il cuore di Maria, sia con noi l’animo di Maria, sia con noi, e sia nostro lo sguardo di Maria, possa diventare anche nostra, almeno un po’, questa limpidezza che contempla Dio, questa limpidezza che contempla la storia del mondo e la nostra vita.

Un’ultima osservazione di carattere generale. Anche qui, se scorriamo con un minimo di attenzione le parole con cui la Madonna canta al Signore, ci accorgiamo che il suo cantico non ha una particolare originalità: è una composizione di richiami biblici, perché ogni parola e ogni versetto è preso dalla Scrittura, è parola di Dio. Quando la Madonna canta, canta con la parola di Dio, quando parla, parla con la parola di Dio. Talmente il cuore è impregnato dalla parola del Signore che la Madonna non conosce altre parole se non le parole di Dio. Davvero in lei la realtà dell’Incarnazione è stata vissuta in tutta la sua pienezza: in lei il Verbo si è fatto carne in quanto il Figlio di Dio ha preso carne, ma in lei si è fatto carne perché la sua propria vita è diventata un’incarnazione del Verbo, in tutti i sensi.
Uso talvolta questa immagine che prendo dai miei ricordi di bambino. Come sapete vengo da Genova, città sul mare. Quando ero bambino, con i genitori andavo sulla spiaggia; più a lungo andavo con mio papà. Camminavo sulla spiaggia, raccoglievo le conchiglie… Mi ricordo il giorno in cui, con grande soddisfazione, trovai una conchiglia più grossa. Mentre ero lì che facevo le mie considerazioni, il papà mi propose di fare un gesto che in quel momento non capivo: “Prova a metterla all’orecchio!” Rimasi stupito perché cominciai a sentire tutto un rumore. Chiesi: “Papà, che cosa è?” Mi rispose: “Vedi, questa conchiglia, che è stata tanto tempo nel mare, anche adesso che non è più nel mare porta dentro di sé il respiro del mare”. Ed è vero: la conchiglia conserva dentro di sé questo respiro che ha assimilato stando nel mare.

Mi pare che la Madonna sia come una conchiglia talmente immersa nel mistero di Dio che porta in sé il respiro di Dio. Per noi dovrebbe essere lo stesso: talmente immersi nel Signore, impregnati dalla sua parola, toccati dalla sua presenza che noi diciamo: “Dio” così, perché traspira da tutti i nostri pori, perché la nostra vita dice: “Dio”, la nostra parola dice: “Dio”, il nostro sguardo dice: “Dio”; dovremmo essere talmente pieni di Dio che Lui sia presente senza che neanche ce ne accorgiamo. Guardare alla Madonna che canta il Magnificat in questo modo è avere presente questa dimensione che poi è anche la dimensione prima della nostra testimonianza, della nostra forza di evangelizzazione. Il mondo è evangelizzato, e la testimonianza è feconda, da una vita che dice: “Dio”, per il fatto stesso di essere una vita sua e a Lui consegnata.
Una mistica antica ha scritto un testo molto bello sulla Madonna con questo titolo: La mistica città di Dio. La Madonna è la mistica città di Dio, dove tutto dice Dio in mezzo alla realtà di questo mondo.  Noi dobbiamo essere una mistica città di Dio in questo mondo che non conosce Dio, che è distratto, che è lontano. Noi siamo questa luce per il fatto stesso di esserci. Questo dobbiamo aspirare a essere, questo dobbiamo chiedere di poter divenire guardando la Madonna.

Adesso entriamo direttamente dentro il testo soffermandoci su qualche ulteriore dettaglio, sempre per punti.
Il primo: la parola iniziale con la quale la Madonna introduce il suo canto: Magnificat. Questo termine ha una pregnanza bella perché certamente dice la gioia, l’entusiasmo di chi sta cantando, ma dice anche altro: il desiderio di fare grande colui di cui si sta parlando e cantando. La Madonna vuole fare grande Dio, dire con la sua voce che Dio è grande e che vale la pena di renderlo grande. Lo magnifica, lo fa grande con le sue parole.
Qui bisogna pensare una cosa: noi abbiamo una duplice possibilità, insieme bella e insieme anche brutta, entusiasmante e triste. Perché noi possiamo fare grande Dio, oppure possiamo renderlo piccolo, soprattutto a seconda di come viviamo. Perché la nostra vita può essere grande perché diciamo che Dio ci rende bella la vita oppure io posso vivere di tristezza, di nostalgia, come se avessi perduto qualcosa che adesso mi pesa sul cuore e sulla vita: in questo modo io disprezzo Dio e lo rendo piccolo. Noi abbiamo purtroppo questa duplice possibilità: Lo rendiamo grande perché Lo testimoniamo con la nostra vita, oppure Lo rendiamo piccolo perché purtroppo la nostra vita ne dà questa brutta e triste testimonianza.
Quante volte dovremmo pensare: ma se io sono triste, pieno di nostalgie, malinconico, sempre portato a vedere le cose negative, cosa sto dicendo di Dio? Quando ci accorgiamo che le nostre parole, il nostro modo, il nostro stile non sono più un magnificare Dio, dobbiamo pensare che quello è un campanello d’allarme sulla nostra vita spirituale, perché vuol dire che non siamo più degli innamorati, ci stiamo raffreddando nella relazione di amore con il Signore. Sarebbe interessante anche verificare che cosa le nostre parole dicono del Signore: Ne parliamo? Come ne parliamo? Ne parliamo con gioia? Ne parliamo con entusiasmo? Ne parliamo bene? E poi, certo, anche di più in riferimento alla nostra vita. Il fare grande Dio con la parola e con la vita è una misura dell’amore che stiamo vivendo nei confronti del Signore.

Con quel Magnificat la Madonna sta gridando, insieme con la grandezza di Dio, l’amore straordinario che è nel suo cuore.
Nel momento in cui gli occhi della Madonna fissano il Signore, la Madonna attribuisce a Dio quattro attributi. Scaturiscono da una contemplazione unica, che è quella della Madonna. La Madonna chiama Dio così: Signore, Salvatore, Onnipotente, Santo. Cosa vuol dire con questi quattro attributi? Accennavamo che non sempre tutti gli ambiti della nostra vita e del nostro cuore sono così aperti alla presenza e all’opera di Dio. Quando chiamiamo Dio “Signore”, significa che riconosciamo di essere sua proprietà e che dunque con gioia accettiamo che tutto di noi entri in suo possesso. Maria può dire in verità: “Dio è Signore”, perché nella sua vita non c’è un frammento che sia al di fuori di questa proprietà. Lei è la piena di grazia e in lei non c’è alcun abito al di fuori dell’influsso di Dio. Lo riconosce Signore in tutta la verità di questa parola. Domandiamoci se anche noi possiamo affermarlo o se affermiamo una mezza verità. Non tanto perché tutto ancora non sia di Dio – siamo in cammino… – ma perché non vogliamo che tutto sia di Dio e questo è peggio. A volte è così: non lo vogliamo. Non lo vogliamo perché in fondo abbiamo paura di perdere qualcosa e allora Dio ci sembra antagonista della pienezza del nostro io. Allora diciamo: Questa cosa qua me la gestisco da solo, perché se do le chiavi al Signore, mi porterà via qualcosa a cui sono molto attaccato. Questo vuol dire che non crediamo all’amore di Dio e che Dio è ancora, sottilmente, un concorrente della nostra gioia. Vogliamo dire “Signore” con la Madonna per significare un convincersi che noi non saremo pienamente felici finché non avremo detto: Sì, voglio consegnare tutto. Poi avremo il nostro cammino da fare perché questo diventi realtà, però c’è questo “VOGLIO”.

Una volta san Tommaso parlava con una sua sorella, quella a cui si sentiva più unito per una sensibilità religiosa molto profonda, e la sorella gli chiese: “Ma tu che sei così dotto, che hai passato la tua vita a scrutare i misteri di Dio, che mi sei d’esempio nella sequela di Gesù, mi diresti una parola, un segreto per diventare santi?” San Tommaso, come tutti i grandi, non si sprecò in parole, e rispose con una parola evangelica: “Se vuoi”. Aveva detto tutto. Perché è vero che la santità è una grazia, ma nulla potrebbe questa grazia se non ci fosse un atto di volontà preciso e fermo che dice: “Accetto, ci sono, mi dono”. Anche qui, nel riconoscere Dio Signore, ci deve essere un “Sì, voglio”. Allora siamo in cammino perché Dio prenda possesso interamente della nostra vita, però c’è questo atto di volontà che solo noi possiamo pronunciare pienamente. Tante volte diciamo: “Signore, Tu sei il mio tutto” … è poi così vero nella concretezza? Diciamolo, ma mentre lo diciamo pensiamo: è proprio vero che vogliamo che sia davvero il nostro tutto?…oppure…

Secondo attributo: “Salvatore”. La Madonna ovviamente nella sua contemplazione parla anche per esperienza, per cui in questi attributi c’è tutto un vissuto spirituale di Maria; nessuno come la Madonna ha sperimentato Dio come salvatore perché addirittura la salvezza per lei è stata qualcosa che ha prevenuto. Nessuno come lei può dire: Dio mi ha salvato, perché addirittura l’ha preservata in anticipo. Questo di avvertire Dio come Salvatore potrebbe sembrare una normalità, ma non lo è, perché tutti noi viviamo la tentazione di volerci salvare da soli, tutti. Vogliamo essere salvatori di noi stessi e non accettiamo fino in fondo di essere salvati, perché essere salvati significa riconoscere di essere deboli e di non farcela da soli. Non è semplice avere questa autentica umiltà di chi accetta che Dio sia Salvatore. Lo ritroviamo in tanti aspetti del nostro percorso spirituale, quando pensiamo con un atto di volontà nostra di poter raggiungere gli obbiettivi. Dò un esempio, che non riguarderà nessuno qui presente: chi fa un percorso di direzione spirituale e magari cade in mancanze di una certa rilevanza; dice: ne parlerò quando avrò superato il problema. È un esempio di chi non accetta di essere salvato, vuole salvarsi da solo, senza raggiungere mai la salvezza perché da solo non si salva nessuno. La pretesa di essere salvatori di noi stessi è la cosa più triste che possiamo vivere, perché significa ogni volta accorgersi che da soli non andiamo da nessuna parte, ogni volta andiamo a sbattere contro la nostra povertà, ci ritroviamo da dove eravamo partiti. Dio è Salvatore, noi non possiamo nulla senza l’opera di Dio.

D’altronde affermare che Dio è Salvatore significa riconoscere un aspetto molto bello di Dio: che è condiscendenza infinita, un Dio che si china su di noi prostrati a terra, caduti, moribondi, in mezzo alla strada per tirarci su, per riportarci sulla via, riguadagnarci a Sé. Però qui dobbiamo fare attenzione: noi non possiamo capire che cosa è il volto di Dio Salvatore, questa condiscendenza umile, se prima non ci siamo incontrati con la maestà trascendente di Dio. Solo allora capiamo che cosa vuol dire che siamo commossi. Non possiamo capire il Bambino di Betlemme, se prima non ci siamo scontrati con il Dio del Sinai, perché soltanto allora rimaniamo stupefatti e ci commoviamo sino alle lacrime. Solo quando siamo andati con Mosè sul Sinai e abbiamo tremato di terrore di fronte alla potenza di Dio, allora ci sgorgano lacrime dagli occhi quando ci troviamo di fronte a quel Bambino che non è un altro Dio, è lo stesso Dio che ha voluto rendersi così per me, per noi.

La Madonna vive questa esperienza: è andata con Mosè sul Sinai, sa chi è il Dio del Sinai, sa quel terrore e tremore che deriva dalla trascendenza di Dio e poi se Lo ritrova nel grembo, bambino. Soltanto se c’è questa doppia esperienza di Dio possiamo entrare davvero nel mistero stupendo di Dio, e così capiamo che cosa vuol dire Salvatore come lo ha capito e vissuto la Madonna. Questo vale per le nostre liturgie, dove ciò che trasmette trascendenza è necessario che lo viviamo, altrimenti non capiamo quanto la liturgia sia bella perché ci porta più vicino al Signore; non capiamo quegli elementi semplici attraverso cui Dio si rende presente e si manifesta a noi, opera per noi. Prima dobbiamo vivere, dentro quella stessa realtà, una trascendenza che ci schiaccia. Solo così facciamo davvero esperienza della potenza di Dio.

Onnipotente e Santo: La Madonna sperimenta l’onnipotenza attraverso le parole dell’angelo e attraverso quello che vive. Nulla è impossibile a Dio, è onnipotente, può tutto; e questa della onnipotenza è una dimensione della realtà di Dio a motivo della quale noi viviamo di speranza, perché Dio può tutto. Questa è la speranza, non è speranza nelle nostre capacità umane. La speranza è radicata lì: nulla è impossibile a Dio, perché Dio è onnipotente. La Madonna ci è anche qui di esempio, perché ha sperimentato l’onnipotenza di Dio e quindi è donna di speranza. Quanto è importante questo anche nelle nostre vicende, nella nostra vita personale, nelle nostre comunità, nella vita della Chiesa. Dio è onnipotente, nulla gli è impossibile, non c’è mai motivo di disperare! Se nella nostra vita personale viviamo la disperazione, in vari modi che può essere anche quell’idea: “Ma no, ormai non ce la faccio… la santità non fa per me… continuo a ricadere…” questo vuol dire che non cogliamo l’onnipotenza di Dio. Se nella nostra Comunità anche ci sono momenti in cui ragioniamo così: “Ha tanti problemi, tanto non ce la facciamo, siamo sempre le solite…” allora non crediamo nell’onnipotenza di Dio. Lo stesso vale per la Chiesa: non crediamo all’onnipotenza di Dio.

Ricordo quello che diceva un famoso predicatore che, in occasione di un corso di esercizi a un gruppo di giovani, voleva chiedere a ciascuno che cosa si aspettava da quelle giornate. Uno rispose così: “Ne ho già fatti alcuni. A mio parere gli esercizi spirituali sono il ricorrente, vano tentativo di cambiare vita”. Spesse volte noi viviamo così gli esercizi spirituali, i ritiri, i momenti forti, con disillusione. Soprattutto quando siamo più avanti nella vita spirituale, negli anni… anche perché uno ha tentato tante volte, e poi tutto torna come prima “Va bé, facciamo anche questa…” Perché non crediamo all’onnipotenza di Dio.

E poi Dio è santo. Nella Scrittura questo termine santo ha una valenza più grande rispetto a quello che noi vediamo, perché, al di là di una connotazione giustamente morale, spirituale, nella Bibbia la santità è ciò che radicalmente si oppone al male e al peccato; infatti, Dio è santo perché Dio è contraddizione assoluta con il peccato e con il male. Per cui dire “Dio è santo” significa affermare questo di Dio e conseguentemente per noi: come a dire, nella mia vita non ci può essere nulla che abbia a che fare con il peccato e con il male, perché anche io desidero essere contraddizione assoluta col peccato e con il male. Quindi affermare “Dio è santo” significa opporsi con tutte le nostre forze ad ogni forma di mediocrità nel cammino della nostra esistenza.

La Madonna, quando afferma questi quattro attributi e dice: “Dio è Signore, Dio è Salvatore, Dio è Onnipotente, Dio è Santo”, dice qualcosa di Dio, ma dice qualcosa anche di sé. “Dio è Signore” per cui Lei è tutta di Dio.
“Dio è Salvatore” e Lei è nulla senza la grazia di Dio.
Dice: “È Onnipotente” e Lei è piena di speranza perché tutto è possibile a Dio.
Dice “È Santo” e in Lei non c’è peccato perché la santità è radicale opposizione al male. Noi, facendo nostro il cuore della Madonna, vogliamo ripetere questi attributi non soltanto per vedere con Lei il Volto di Dio, ma anche per rivedere con Lei il percorso della nostra vita, alla luce di questi attributi.

Ci fermiamo per un attimo sulla seconda parte del Magnificat, in sintesi, pensando a come procede la Madonna quando guarda il mondo. Se noi facciamo attenzione in sequenza la Madonna ribalta tutti i criteri mondani. Tutti. Perché quello che secondo la logica del mondo è grande diventa piccolo, ciò che è ricco diventa povero, ciò che è forte diventa debole, e viceversa. C’è un rovesciamento della realtà. Cioè, quello che vediamo – sembra affermare la Madonna – non è la Verità, la verità è un’altra; ed è quella che non si vede, ma che è tale agli occhi di Dio. E questa è la fede. Cioè la Madonna guarda con fede la propria vita, il mondo e gli altri. E allora rovescia tutto, perché davanti a Dio il mondo è rovesciato. Così la Madonna ci ricorda una cosa, tra le altre: che la fede non è – o non è solo – un’emozione, un sentimento.. La fede è un modo di ragionare nuovo. E’ un modo di giudicare nuovo. E’ un modo di pensare nuovo. Perché, direbbe Paolo, “noi abbiamo il pensiero di Cristo” e questo è un pensiero diverso rispetto a quello del mondo.

Noi possiamo proprio dire che avendo la fede, abbiamo un pensiero così diverso da quello del mondo? Possiamo dire che avendo la fede, abbiamo dei criteri di pensiero, giudizio, ragionamento, progettazione, così diversi dal mondo? Può darsi di sì, grazie al Signore, ma può darsi anche di no. Dobbiamo verificarlo, soprattutto pensando che la fede non può non provocare un rovesciamento. Quando noi cantiamo il Magnificat, purtroppo spesso superficialmente, dovremmo invece avvertire come uno schiaffo che ci viene dato. Come quando si butta un secchio di acqua gelata a chi sta dormendo al mattino che di soprassalto si sveglia, noi dovremmo ricevere come questa sveglia dal nostro torpore, perché il Magnificat, nella seconda parte, è questa sveglia dal nostro torpore, cioè a chi ormai si è assimilato al mondo, a chi ormai sta sentendo il cosmo come lo sentono tutti, a chi ormai si è adeguato alla mentalità che non è la mentalità del Vangelo, della radicalità del Vangelo. Per cui se, con lo sguardo su Dio, la Madonna rimette a fuoco il volto del Signore per noi e ci aiuta a capire per quale strada dobbiamo andare, stando davanti a Dio, con questo sguardo sul mondo, la Madonna ci aiuta a recuperare quella fede che è il pensiero di Cristo presente nella nostra vita.

Proviamo ogni tanto a tornare sul Magnificat, soffermarci in questa seconda parte, su quello che la Madonna dice e pensare: “Io la penso davvero così? io giudico la mia vita così? giudico la vita degli altri così? giudico le vicende del mondo così?” Proviamo a pensare se ci ritroviamo in sintonia, oppure se dobbiamo ammettere che siamo ancora molto, molto distanti. Davvero il Magnificat ci fa fare ogni volta un vero e proprio cammino di conversione, perché la Madonna, portandoci a Dio, ci fa fare un vero cammino di conversione autentica.

Concludiamo con l’ultimo piccolo dettaglio. Quello iniziale era “allora”, quello finale sta nella frasetta che Luca mette a conclusione del Magnificat – siamo già però fuori dal Cantico mariano. Quando dice, così come se fosse un’annotazione temporale, “la Madonna rimase tre mesi con la cugina Elisabetta e poi tornò a casa sua”. Questo “tre mesi” è un’indicazione bellissima, perché le nostre conoscenze ci riportano indietro al tempo di Davide, quando Davide doveva riportare l’Arca dell’Alleanza a Gerusalemme. Però prima di riportarla a Gerusalemme, la fece sostare tre mesi nella casa di Obed. Allora qui san Luca ci vuole dire che la Madonna è la nuova Arca dell’Alleanza. Sosta tre mesi da Elisabetta perché in Lei si realizza quello che anticamente era soltanto in figura: Lei è il tabernacolo vivente di Dio, Lei è l’Arca dell’Alleanza di Dio, è il Tempio del Signore, Colui che aspettavamo. Da questo punto di vista non è mai troppo pensare che in fondo anche noi siamo chiamati dal Signore ad essere un po’ arca dell’Alleanza, tabernacolo del Dio vivente, poiché siamo tempio di Dio. E questo, quanto dovremmo pensarlo, ricordarlo, gioirne… Poiché questa è la ricchezza più grande che abbiamo: siamo tabernacolo del Dio vivente. Che pagine bellissime ha scritto Elisabetta della Trinità su questa dimensione: la vita dell’anima umana come sede del mistero trinitario. Noi portiamo Dio con noi. Noi andiamo fuori e portiamo Dio dentro di noi. Noi camminiamo qui e siamo dei tabernacoli viventi in cammino. Ciascuno di noi è una piccola processione del Corpus Domini, da un certo punto di vista. Questa è la nostra vita. Se diventiamo consapevoli di questo, come cambia il nostro modo di essere, di stare. Noi siamo in qualche modo Dio in cammino perché arca dell’Alleanza, tabernacolo del Dio vivente.

Ora finiamo. La Madonna ha composto il Magnificat dando inizio ad un modo nuovo e bello di trattare la Scrittura, perché Lei ha pregato non con un salmo già fatto, ma con un salmo che ha composto Lei a partire dagli altri salmi. Io credo che il Magnificat possa diventare per noi anche l’indicazione di un modo di pregare con la Parola del Signore, perché è bello che ciascuno di noi, in virtù della Parola che ha assimilato, possa poi parlare con il Signore con la sua stessa Parola, rivolgersi a Lui con quella Parola che è entrata dentro e che è diventata una seconda natura, vita della vita. E dunque far sgorgare da questa biblioteca del cuore le parole stesse di Dio e parlare a Lui con le sue stesse parole. Ecco, la Madonna ci insegna anche questo. Sarebbe bello che ciascuno componesse il proprio Magnificat a partire da quella biblioteca del cuore in cui sono scritte le parole più belle che sono state dette nel corso di un periodo, della vita… e così anche noi avremo il nostro Magnificat con il quale cantare la bellezza del Signore.

(Nostra trascrizione dal parlato non rivista dall’autore)