Incontro con il Serra Club – Centro (184).
Conferenza.
Genova
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Per il tramite del vostro caro presidente, il dott. Artiglieri, mi avete invitato al vostro incontro pre-natalizio a parlare del beato Tommaso Reggio. Anche per questo, mentre tutti vi saluto con tanta cordialità, tutti vi ringrazio. E’ per me, infatti, un vero piacere poter presentare a tante persone la figura di mons. Tommaso Reggio: anzitutto perché si tratta di un vero uomo di Dio le cui origini e il cui ministero sono legati alla nostra terra genovese e ligure; e poi perché, per invito del Cardinale Tettamanzi, ho avuto l’opportunità di approfondire la fisionomia spirituale e pastorale di questo grande Arcivescovo di Genova, attraverso uno studio fatto in collaborazione con don Francesco Moraglia, studio che ha portato alla pubblicazione di una biografia del Reggio, proprio in occasione della sua beatificazione. Dunque, grazie e grazie di cuore per l’opportunità datami.
Ho pensato di dividere la mia relazione in due grandi capitoli. In un primo momento presenterò, se pure a grandi linee, la biografia di Mons. Reggio: penso, infatti, che non a tutti questa sia nota e che, comunque, possa essere utile ripercorrere insieme le tappe fondamentali della sua vita. In un secondo momento mi soffermerò a considerare alcuni tratti caratteristici della sua fisionomia spirituale, nella consapevolezza che questi sono ancora validi oggi per realizzare compiutamente la vocazione al sacerdozio ministeriale. Ed è proprio questo sacerdozio, così come lo ha vissuto santamente il beato Reggio, che a noi come Serra Club sta a cuore promuovere, difendere, sostenere in ogni modo.
Cenni biografici
Le profonde radici
Non è possibile parlare di Tommaso Reggio senza inquadrare la sua vita nella realtà storica e familiare che ne ha caratterizzato il periodo della giovinezza. Significherebbe privare la sua figura di due tratti certamente qualificanti la sua ricca personalità: mi riferisco alla genovesità delle sue radici e alla nobiltà delle sue origini.
Nicolò Tommaso – questo il nome completo del beato -, figlio del marchese Giacomo Reggio e della marchesa Angela Pareto, nacque a Genova il 9 gennaio 1818. Già dal nome dei genitori, come anche dai loro titoli nobiliari, è facile dedurre i due tratti di cui poc’anzi si faceva cenno: la genovesità e la nobiltà. In effetti i genitori di Tommaso discendevano da due famiglie della nobiltà genovese che, nel corso dei secoli, si erano fatte notare negli avvenimenti cittadini. Ma la di là di questo, chi erano Giacomo Reggio e Angela Pareto? E che cosa hanno trasmesso al figlio Tommaso? Un noto biografo dei Reggio risponde al nostro duplice interrogativo. A proposito del papà Giacomo così ha scritto. “Uomo di nobile carattere e di profondi sentimenti cristiani, seppe continuare le belle tradizioni familiari, trasmettendo ai figli un prezioso retaggio di meriti e di virtù insieme col nome riverito e onorato […] Giacomo Reggio è rimasto nel ricordo dei familiari come il tipo dell’uomo austero, affabile verso la sposa e verso i figli, ma non troppo espansivo nel conversare; più volentieri assorto nelle sue occupazioni e nella cura degli interessi domestici, di cui era abile amministratore […] Dall’esempio del suo genitore, austero e laborioso, apprese il nostro Tommaso quel senso di dignità e di riservatezza che lo accompagnò in tutta la vita”. E a proposito della mamma Angela, sempre lo stesso biografo ha scritto. “Educata secondo le nobili tradizioni del suo casato, sapeva accoppiare, nei suoi gusti e nelle sue opere, all’alta distinzione del sentire e del tratto una profonda modestia e una meravigliosa facilità di adattamento alle esigenze della vita: ciò che le permise di abituare i suoi figli a provvedere da se stessi, fin dove potessero giungere con le proprie risorse, e a contentarsi di poco. Monsignor Reggio che mantenne sempre fino alla vecchiezza questa lodevole abitudine di saper bastare a sé medesimo, era solito attribuirne il merito alla mamma. E quando, nell’Arcivescovado di Genova, i familiari si meravigliavano con lui perché non ricorreva sempre ai loro servigi, egli rispondeva con la sua fine arguzia: ‘Mia madre mi ha insegnato a fare così, mia madre mi ha insegnato a fare da me’”.
Alla luce di quanto ora affermato, è interessante la bella testimonianza lasciata da Emilio Felice Faldi, un sacerdote della nostra Diocesi: “Un venerando sacerdote genovese, molto avanzato negli anni, ma di mente lucidissima, ebbe a dirmi queste precise parole: ‘A Genova l’Arcivescovo non era chiamato Mons. Tommaso dei Marchesi Reggio, ma il Marchese Mons. Tommaso Reggio’”. Tommaso, insomma, assimilò talmente i principi insegnati dai genitori che il suo nome divenne il simbolo delle virtù e della fede di tutta la sua famiglia.
C’è da dire che nel Reggio la nobiltà del casato sarà ancor più nobiltà dell’animo, la signorilità del tratto rivelerà la signorilità del cuore, l’altezza delle origini si trasformerà nell’altezza delle mete a cui tendere ogni giorno della vita. Tommaso sarà anche profondamente genovese: per alcuni aspetti del suo carattere e per l’amore che sempre porterà alla sua terra.
Un bel compendio di quanto si è detto è forse ciò che ha lasciato scritto il Cardinale Giuseppe Siri: “Mentre lui viveva, la bonarietà e la finezza serena di monsignor Reggio non hanno permesso a tutti di intravedere quello che era nell’anima sua e nella realtà elevatissima della sua vita interiore. L’equilibrio del suo volitivo carattere, che non lasciava posto a slanci esteriori drammatizzati o a gesti pubblicitari, coprì sempre il valore del degnissimo Arcivescovo.
Le tappe della sua vita
La formazione culturale di Tommaso Reggio avvenne prima in casa, come era abitudine per i ragazzi appartenenti alle classi nobili di allora, e poi in istituti pubblici con studi classici e giuridici. Infatti, terminato il corso liceale, il 2 novembre 1836 si iscrisse all’Università per la facoltà di Legge. L’impegno nello studio non lo distolse, però, da una profonda vita di fede, che egli coltivò sempre con grande assiduità e grazie alla quale, a poco a poco, scoprì la sua vocazione a diventare sacerdote. Aveva vent’anni quando entrò nel Seminario di Genova. E correva l’anno 1838. Circa le motivazioni che lo indussero a intraprendere la strada verso il sacerdozio, ascoltiamo quanto lui stesso ha annotato: “Unico bene, in tutte le cose, è la divina volontà: questa io la osservo tendendo al mio fine ultimo […]; il principale è la divina gloria, il secondario è la felicità eterna […] Furono sempre con tali fini fatte le mie passate azioni? Dio mio, permettetemi di coprire quelle dei miei primi anni, se pure lo posso – furono almeno tali, dopo la mia conversione? Oh! A questa pietra di paragone, quanto in apparenza ora veggo, che era coperto. Me ne pento, o mio Dio! Provvederò almeno per l’avvenire”.
In Seminario, nonostante le difficoltà e le divisioni che segnavano la vita ecclesiale e politica della parte settentrionale della penisola italiana, Tommaso Reggio si fece stimare per il suo equilibrio interiore non comune. Anche per questo, poco dopo l’ordinazione presbiterale, avvenuta il 18 settembre 1841 per opera del Cardinale Tadini, dallo stesso Arcivescovo venne nominato Vice-Rettore del Seminario. L’impegno particolarmente gravoso di educatore dei futuri sacerdoti destò nel suo animo grandi tensioni apostoliche: fu così che diede la propria adesione ad alcune Associazioni sacerdotali, allora presenti a Genova con lo scopo di far rivivere la fede nel popolo attraverso le missioni e gli esercizi spirituali. C’è una nota della spiritualità del Reggio, che emerge con chiarezza negli anni degli studi in Seminario e dei primi passi nel ministero pastorale: l’aspirazione decisa, decisissima alla santità. Sarà la nota interiore che lo accompagnerà per tutta la vita.
Il 22 aprile 1845 il Cardinale Tadini comunicava ufficialmente a don Reggio l’avvenuta nomina a rettore del Seminario di Chiavari, allora in diocesi di Genova. Fu un altro impegno molto gravoso, anche perché il Reggio venne chiamato a svolgerlo in anni difficili per la storia italiana. Stavano prendendo forma i moti rivoluzionari che, con diverse, prospettive, miravano all’unità d’Italia. Furono momenti duri, confusi e che, in qualche modo, avevano un contraccolpo anche sulla coscienza dei seminaristi. Il nuovo Rettore, con pazienza e coraggio, non si stancò di mantenere alti gli ideali cristiani e di riaffermare il compito del sacerdote come uomo di tutti e non come uomo di parte. Allo stesso tempo richiamò ai valori della preghiera, del sacrificio, dell’obbedienza per realizzare un’autentica formazione sacerdotale.
Nel settembre del 1850 moriva l’abate della Basilica di Carignano, la parrocchia gentilizia fondata nel XV secolo. E a succedergli fu chiamato, dal nuovo Arcivescovo di Genova mons. Andrea Charvaz, proprio Tommaso Reggio. Il nuovo parroco, a partire da una vita spirituale molto intensa, svolse una vasta opera in ambito pastorale, ma anche in campo culturale e sociale. In quegli anni fu professore di morale in Seminario ed ebbe l’opportunità di dare vita a una ricca biblioteca che, nel tempo, divenne centro di convegni di studio e di confronto ad alto livello. Accanto all’attività culturale trovarono posto nel suo ministero altre interessanti iniziative popolari. Ad esempio, in quel periodo divenne “direttore della dottrina di notte”: alle tre del mattino, presso la chiesa della Madre di Dio, offriva ai lavoratori momenti di preghiera e di istruzione religiosa. Si può dire che nel periodo del ministero in Carignano cominciano a coniugarsi in Reggio quelle due anime, religiosa e sociale, che diventeranno sempre più vive dando frutti molto fecondi in futuro.
Non si può dimenticare, nella vita del beato, la sua fervida attività giornalistica, compito che egli esercitò con l’intento di difendere la verità, di illuminare le menti cristiane a capire il proprio posto nel mondo, di combattere la falsità e l’ignoranza. Dopo esserne stato per diversi anni redattore e sostenitore, nel 1861 diventò direttore dello “Stendardo cattolico”. Vale la pena ricordare come egli fu sostenitore convinto della partecipazione dei cattolici alla vita politica dello Stato. Sua fu la formula “eletti ed elettori”. Tuttavia, all’indomani della conquista di Roma del 1870 e della dichiarazione con cui il Papa intimava ai cattolici di non prendere parte alla lotta politica, il Reggio decise di chiudere il suo giornale, in ossequio alle nuove direttive. Certo, la sua fu una scelta dolorosa, ma più importante della personale opinione egli riteneva la piena sintonia con l’insegnamento della Chiesa: “Al Papa – scriveva – noi dobbiamo obbedienza esatta, pronta e sollecita. Non l’ubbidienza del bruto che morde il freno al quale è legato, ma quella del figlio che stima e ama il padre e fa suo vanto secondarne anche non veduto i voleri”.
Nella Quaresima del 1877 Pio IX lo nominò vescovo di Ventimiglia. E qui, se così si può dire, cominciò la seconda parte della sua vita: per circa venticinque anni sarà generosissimo nel servire la Chiesa e nell’immolarsi per i suoi fedeli. “Sono mandato non ad altro fine se non per additarvi il cielo per il quale siamo creati, per guidarvi al cielo. Una cosa solo cerco e spero da voi: le anime vostre che mi sono affidate da Dio col debito per me gravissimo di guidarle al cielo”. In queste sue parole possiamo trovare, in estrema sintesi, il disegno del suo episcopato: prima a Ventimiglia e poi a Genova.
Del ministero episcopale a Ventimiglia ricordiamo solo due fatti significativi, tra i molti altri. Anzitutto la fondazione delle Suore di Santa Marta. Egli volle questa nuova famiglia religiosa per il desiderio di rendere efficiente e spiritualmente efficace il Seminario. In effetti, le Suore di Santa Marta ebbero il compito di imitare Marta nell’accoglienza che ella diede a Gesù nella casa di Betania. Il secondo fatto significativo che desideriamo rammentare è quello del terremoto, che colpì gravemente la zona attorno a Sanremo, nel febbraio del 1887. Così un giornale dell’epoca scrisse a riguardo dell’opera del vescovo in quella circostanza: “Monsignore quanto egli aveva con sé di denaro distribuì fino all’ultimo centesimo e promise maggiori aiuti […] Fin dai primi giorni venne a confortare i suoi figli e a piangere con essi, recandosi dappertutto anche nei luoghi più pericolosi e più luridi: in quei giorni fece miracoli di carità correndo dall’uno all’altro paese. Malgrado la sua età avanzata, in quella bolgia sapeva far scendere parole di cristiano conforto sulle disgraziate famiglie”.
Nel 1885, all’età di 67 anni, espresse al Papa il suo desiderio di essere sollevato dalla responsabilità episcopale. E qualche tempo più tardi rinnovò la stessa domanda, con una lettera indirizzata al Papa Leone XIII, nella quale denunciava il suo timore “che diventando lento per l’età il vescovo, tutta la diocesi si addormenti”. Le richieste di Reggio non furono accolte dalla Santa Sede. Anzi, sette anni dopo, nel 1892, Leone XIII decise di nominarlo Arcivescovo di Genova.
Molto, moltissimo ci sarebbe da dire intorno all’episcopato genovese del beato Reggio. Ci limitiamo a qualche semplice accenno. Come a Ventimiglia, così anche a Genova il suo primo pensiero fu per il clero: con la riforma del programma di studi per il Seminario maggiore, l’istituzione di un corso di perfezionamento in Scienze giuridiche che poi divenne Pontificia Facoltà Giuridica, la nomina del nuovo Rettore del Seminario. Lui stesso, in Seminario, si recava quasi ogni giorno per seguire da vicino la vita dei seminaristi.
Un problema importante che l’Arcivescovo dovette affrontare fu quello dei nuovi quartieri che andavano formandosi in città e a cui mancavano le chiese, mentre il centro cittadino si andava spopolando. A tal fine riunì una commissione per elaborare un piano: piano che venne approvato nonostante la resistenza di alcuni parroci.
Il Reggio ebbe molto a cuore i lavori di restauro della Cattedrale di San Lorenzo. Di questi lavori si era già parlato nel 1860, ma fu con il beato che i lavori ebbero effettivo e felice svolgimento.
Quando il nuovo Arcivescovo arrivò a Genova, la situazione nei rapporti tra autorità cittadine e diocesi era piuttosto difficile. Tra l’altro, da ormai qualche anno non si svolgeva più la tradizionale solenne processione del Corpus Domini. Con il suo modo di fare saggio ed equilibrato, delicato e deciso, il Reggio riportò un clima di serenità e di rispettosa collaborazione. E, finalmente ottenne di poter ripristinare la processione tanto cara al popolo cattolico genovese.
Bisognerebbe ricordare tanti altri momenti della vita della diocesi in quegli anni: le feste colombiane, l’azione politica e sociale dell’Arcivescovo, l’apertura della Scuola Superiore di religione… Ma dobbiamo fermarci qui. Il tempo non ci consente di andare oltre.
Ricordiamo soltanto, per terminare questo quadro biografico, la data della morte di Tommaso Reggio. Era il pomeriggio del 22 novembre del 1901. L’Arcivescovo si trovava, in quei giorni, nel paesino di Triora, vicino a Sanremo. Avrebbe dovuto presiedere la celebrazione della Messa e innalzare la statua di Gesù Redentore in cima al monte Saccarello, all’altezza di 2200 metri. Non poté farlo: il Signore aveva stabilito diversamente.
Alcuni tratti della sua fisionomia spirituale
Fedele a quanto mi ero prefisso all’inizio, vengo ora a considerare alcuni tratti caratteristici della spiritualità di Mons. Reggio.
Ci resta un’interessante testimonianza sulla prima volta in cui amministrò il sacramento della penitenza. Ascoltiamola: “In verità vi dico che, tra le molteplici funzioni del mio sacerdotale stato quella che fece sull’animo mio la più viva e possente impressione fu quando mi assisi, per la prima volta, nell’umile tribunale della penitenza e, in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ho perdonato. Sapete perché? In quel punto, io mi sentii più che uomo, la qualità di ministro di Gesù Cristo la vidi quasi sensibile in me e, mentre ebbi grandemente a umiliarmi di me stesso, delle mie colpe, non ho potuto che altamente benedire Dio che umiliat et sullevat, che si vale delle cose più vili e più contenibili al mondo, per compiere le sue grandi opere, che premia con tanta larghezza di doni quella che io chiamo opera per eccellenza della cristiana umiltà. Quest’opera mi stava dinnanzi nella fronte canuta di un vecchio che si abbassava sotto la mano di un giovane sacerdote, chiedendo perdono delle passate sue colpe”.
Già queste riflessioni, confidenza di un’interiorità singolarmente ricca di fede, suggeriscono quale alto senso avesse il Reggio della sua vocazione sacerdotale. Egli era il ministro di Cristo, chiamato a renderlo presente attraverso i suoi gesti e le sue parole, attraverso l’intera sua vita. L’amore per il Signore lo spinse, ancora giovane, a scolpirsi sul lato sinistro del petto, con un ferro infuocato, il nome di Gesù, come poterono constatare i familiari che lo curarono nell’ultima malattia. Chiara, in lui, era la percezione di un legame privilegiato tra il sacerdozio e la santità: “Sono ecclesiastico – scriveva -, è necessario ch’io sia santo[…]; dunque si mettano in pratica tutti i mezzi per diventarlo. Costi quanto vuole, bisogna arrivare […] Metodo di vita ed esattezza nell’osservarlo”. In un suo quadernetto risalente ai primi anni del ministero, sono riportate le sue meditazioni quotidiane. Al termine di ognuna di esse egli concludeva così: “Mi voglio proprio far santo”. E quasi non ancora soddisfatto sotto vi apponeva la sua firma.
Vediamo qualche altra luce che viene a noi dall’osservare la vita interiore di mons. Reggio. La volontà di Dio. “Anche il bene – amava dire – non è veramente bene, ove non sia tutto secondo la volontà di Dio”. “La più grande cosa di tutte è compiere in tutto e sempre la volontà di Dio, e questa si compie attendendo con impegno e fervore a quello cui egli stesso ci pose adesso tra le mani”. L’impegno assoluto a evitare il peccato. “Purtroppo la malizia del peccato in se stesso è poco considerata, Iddio me ne ha fatto comprendere qualche cosa questa mattina. Pensai che anche il veniale è pure peccato, e però abominevolissimo. Dio me ne guardi in avvenire”. “Bisognerà che mi guardi bene dalla dissipazione, per cui eviterò con bel garbo le lunghe inutili chiacchierate. Terrò sommo conto del fervore concepito, per cui se mai venisse ad intiepidirsi, con meditazioni, ritiro o checché altro, farò di ravvivarlo subito. Niente è più importante che salvar l’anima e quelle cose che a ciò riguardano: dunque a queste, più che a ogni altra, porrò diligenza e attenzione”. La carità. “Gesù Cristo è carità e l’ecclesiastico deve esserne il tipo…La carità poi consiste nell’avere sempre Dio in mente e tutto fare per lui”. “Userò sempre qualche gentilezza a ognuno cui senta avversione: non usando invece più degli ordinari uffici di carità a quello cui sentissi particolare affezione. Amar qualcuno significa volergli bene e tutto quel bene che possiamo”.
Osservando con attenzione la vita del Reggio, come anche leggendo con cura i suoi scritti e prestando ascolto alle testimonianze di chi gli fu vicino, viene alla luce quello che possiamo chiamare il segreto di mons. Reggio. Ne fa una bella sintesi padre Giovanni Semeria che ebbe a dire del beato Arcivescovo: “Qualcuno poté crederlo più uomo buono che sacerdote pio, più abile amministratore che asceta fervente. Ebbene nulla sarebbe, storicamente parlando, meno esatto. Posso assicurarvi ch’egli fu, come ogni vero sacerdote deve essere, uomo di preghiera e di penitenza, di tal preghiera e di tal penitenza che, neppure coloro i quali lo conoscevano da vicino, ed erano convinti della sacerdotalità profonda del suo animo e della sua vita, avrebbero sospettate. In fatto di penitenza, quest’uomo così moderno nel miglior senso della parola, non rifuggì, neppure nella tarda età, da metodi che parecchi amano chiamare medioevali”.
Ecco bene descritto il segreto di Mons. Reggio: il binomio preghiera e penitenza. In questo binomio fu il segreto del suo fascino spirituale e pastorale, il segreto della signorilità del suo tratto, il segreto di tanta eroica operosità a servizio del popolo di Dio a lui affidato, il segreto della fecondità del suo apostolato, il segreto della pace che egli portò ovunque si mosse. Preghiera e penitenza, in una vita immersa nel soprannaturale rapporto di amore con il Signore. Ecco il grande segreto di Tommaso Reggio, il segreto della sua santità sacerdotale.
Giovane sacerdote formulò alcuni importanti propositi riguardo alla preghiera. Nei suoi appunti si riscontra una grande esattezza nella cura con cui sottolinea le pratiche di pietà che devono ritmare la giornata: recita dell’ufficio divino, del Veni Creator, dell’Angelus, la lettura spirituale, la recita dl Rosario, la visita al Santissimo Sacramento. Particolare attenzione è poi riservata alla Messa: “Nella Messa – egli scriveva – userò tutta la devozione e raccoglimento possibile, osservando bene le rubriche. Oggetto di particolare riflessione era per lui “la Passione di Cristo: basta dire che è scuola di tutti i santi”. Ed aggiunge: “Le darò tutti i giorni qualche pensiero: potrei farlo prima o dopo la Messa, giovandomi di qualche libro adatto”. Per tutta la vita ebbe una fervida pietà che si manifestava soprattutto nella devozione alla SS. Eucaristia, alla Madonna, alla Chiesa e al Papa. Il suo amore per Gesù eucaristico appariva dalla celebrazione della Messa, dalla predicazione e dalla visita frequente al SS. sacramento. Ogni volta che parlava dell’Eucaristia, soprattutto nei discorsi ai chierici e alle suore, si infiammava. E così accadeva quando parlava della Madonna, sempre con accenti di intensa tenerezza.
La sua vita, intessuta di preghiera, rivelò nel corso degli anni un crescendo di intimità con il Signore nelle lunghe ore dedicate al rapporto personale con lui. Quando il lavoro episcopale riempì tutto il tempo della sua giornata, il Reggio usò la notte per pregare. “Il sacerdote don Trucco che talvolta accompagnava l’Arcivescovo durante le visite pastorali in qualità di segretario, ricorda che una notte sentì nella camera di lui prolungati rumori, come di persona che si trattenesse in veglia. Attribuì ciò a qualche indisposizione e al mattino gli domandò se si era sentito male; ma monsignore se ne sbrigò con una risposta evasiva […] Il secondo segretario […] una notte trovandosi nella villeggiatura di S.Erasmo, in una camera attigua a quella dell’Arcivescovo, lo sentì ad un certo punto sospirare con tanta passione, che fu indotto ad alzarsi, persuaso doversi trattare di qualche malore. Andò presso l’uscio della stanza di lui e sentì che recitava con gran fervore il ‘Miserere’. Allora capì la cosa e, ammirando la pietà del suo Superiore, se ne tornò al riposo”.
Vale la pena ricordare anche come la preghiera fosse da lui intesa con un globale atto di omaggio a Dio, e quindi comportasse anche uno stile, un ordine, un’armonia di cose, di voci, di misure. E’ per questo che si interessò anche delle suppellettili delle chiese e dei restauri, là dove gli anni e l’incuria oscuravano il rispetto dovuto a Dio.
Si è detto delle ore notturne passate in preghiera. Quelle erano anche ore di penitenza, operata con battiture, flagellazioni per mezzo di verghe, cilizi e catenelle. Il primo segretario di mons. Reggio a Genova, don Giacomo Demartini, affermava di aver trovato una mattina il pavimento e i muri spruzzati di sangue. E ricordava anche che spesse volte l’arcivescovo nella sua camera percorreva il pavimento in ginocchio recitando preghiere. Un giorno poi la domestica gli fece osservare come sul letto dell’Arcivescovo stava, al posto del lenzuolo, il ruvido tappeto di cocco tolto di sotto alla scrivania, dove Monsignore aveva dimenticato di rimetterlo prima di uscire di camera. “Il vero profeta – diceva Filone – quando parla tace”. E’ proprio vero, perché tace e intanto ascolta un altro che parla. Così è stato per monsignor Reggio. Ha parlato e ha parlato tanto, in molteplici modi. E tanto ha taciuto: nella preghiera, nella penitenza, nella quotidiana e spesso nascosta vita di fede. Ma mentre taceva ascoltava la voce del Maestro e da quella voce apprendeva ciò che, subito, avrebbe dovuto dire a sé e alle anime che gli erano affidate.
Si potrebbe, si dovrebbe andare avanti. Ma noi ci fermiamo qui. Portando nel cuore la figura spirituale del beato Reggio, quella figura spirituale che noi desideriamo per ogni sacerdote e ogni vescovo anche ai nostri tempi, anche per la nostra Chiesa. Perché questo si realizzi ogni giorno di più preghiamo e operiamo.
Non è questa la bella vocazione del Serra Club?
E concludiamo rivolgendo la preghiera al Signore per l’intercessione del beato Reggio, con le parole che il Cardinale Tettamanzi ha voluto scrivere di suo pugno:
A Te, Eterno Padre, sorgente di ogni bene,
salgano la nostra gioia e il nostro grazie
per il dono del beato Tommaso Reggio.
Sia gloria a Te, per l’eroicità delle sue virtù,
per la santità del suo ministero sacerdotale ed episcopale,
per il suo esempio di preghiera e di penitenza,
per la ricerca della pace che sempre l’ha animato.
A Te, Signore Gesù unico salvatore del mondo,
salgano il nostro desiderio e il nostro proposito
di imitare da vicino il beato Tommaso Reggio.
Ti promettiamo un nuovo impegno di conversione,
uno stile di vita animato dal dono senza riserve,
un più grande amore alla Chiesa,
il primato della spiritualità.
A Te, Spirito Santo, Consolatore dei cuori,
salga incessante la nostra domanda.
Suggerisci ancora oggi a tutti noi
ciò che hai ispirato al beato Tommaso Reggio.
Sia sempre nel nostro animo il suo programma di vita:
“mi voglio proprio far santo”;
sia sempre sulle nostre labbra il suo ultimo anelito:
“Dio, Dio, Dio mi basta”.
Amen.