Domeniche e Solennità – Anno B

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Domeniche e Solennità – Anno B

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I Domenica di Avvento
“Fate attenzione, vegliate”. E’ questo il richiamo di Gesù, che risuona nella prima Domenica di Avvento, come invito a preparare il Natale.
Scrive sant’Alfonso Maria de’ Liguori: “Il Natale dovrebbe essere chiamato ‘giorno del fuoco’ giorno in cui Dio è venuto nelle vesti di bambino per gettare il fuoco nel cuore dell’uomo. ‘Sono venuto per gettare il fuoco sulla terra’, disse Gesù Cristo, e così fu. E’ abitudine tra i cristiani anticipare l’arrivo del Natale: montano in casa una mangiatoia per rappresentare la nascita di Gesù Cristo; ma solo pochi pensano alla preparazione dei loro cuori, per far sì che il bambino Gesù nasca dentro di loro. Prendiamo in considerazione il modo in cui il Verbo eterno, diventando uomo, non aveva altro fine se non di accenderci con il suo divino amore. Chiediamo che Gesù Cristo e la sua santissima Madre ci diano la luce, e cominciamo”.
Preghiamo con le parole di san Dimitri di Rostov: “Vieni, Luce mia, a illuminare la mia oscurità. Vieni, Vita mia, a risuscitarmi dai morti. Vieni, o mio Guaritore, a guarire le mie ferite. Vieni, Fiamma dell’amore divino, e brucia le spine dei miei peccati, infiamma il mio cuore con il tuo amore. Vieni, mio Re, siedi sul trono del mio cuore e regna su di esso. Perché solo tu sei il mio Re e il mio Signore”.

II Domenica di Avvento
Nel Vangelo di oggi risuona la parola di Giovanni il Battista: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Il Precursore di Gesù si rivolge al popolo di Israele; ma quella sua parola risuona anche per noi, come invito a preparare la vita e il cuore alla venuta del Signore. Anche perché non accada che ci dedichiamo a “preparare il Natale” dimenticando di “prepararci al Natale”. Come, dunque, prepararci al Natale? La via maestra è sempre quella della preghiera.
Ci rivolgiamo, pertanto, alla preghiera dei santi perché possa divenire nostra, aiutandoci a disporre la mente e il cuore ad accogliere la visita di Gesù. “O amabile Bambino Gesù, ancora una volta mi sopporterai. Prego perché io possa preparare nel mio cuore una dimora degna di te. Gesù, onnipotente Salvatore, vieni in mio aiuto! Carissimo Gesù, lavami con le lacrime che scendono dal tuo viso per i peccati da me commessi. Beneditemi, mani del mio Salvatore! Labbra del mio Gesù, apritevi per dirmi: ‘Ti perdono dei tuoi peccati’. Possa il tuo amore restare nel mio cuore, buon Gesù! Rinasci in me. Benedicimi e dammi un cuore semplice, umile e obbediente” (san Giovanni Neumann).

III Domenica di Avvento
“Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo”. Nella parola di san Paolo, rivolta ai Tessalonicesi, ritroviamo il fondamento di ogni nostra speranza: la fedeltà di Dio al suo amore per noi.
In due poesie è lo spunto per la nostra riflessione. La prima è di Eugenio Montale: “E ora che ne sarà / del mio viaggio. / Troppo accuratamente l’ho studiato / senza sapere nulla. / Un imprevisto è la sola speranza. / Ma mi dicono che è una stoltezza dirselo”. Gesù il Salvatore è l’imprevisto di Dio, unica speranza per la nostra vita. Un imprevisto di amore senza limiti. Ed è saggio dirselo e crederlo con tutto il cuore. Annunciamolo con gioia al mondo intero!
La seconda è di Clemente Rebora: “Speravo in me stesso: ma il nulla mi afferra. / Speravo nel tempo: ma passa e trapassa; / in cosa creata: non basta e ci lascia. / Speravo nel ben che verrà, sulla terra: / ma tutto finisce travolto in ambascia. / Ho peccato, ho sofferto, cercato, ascoltato / la Voce d’Amore che chiama e non langue: / ed ecco la certa speranza: la Croce. / Ho trovato chi prima mi ha amato / e mi ama e mi lava, nel Sangue che è fuoco, / Gesù, l’Ognibene, l’Amore infinito, / l’Amore che dona l’Amore, / l’Amore che vive ben dentro nel cuore”.

IV Domenica di Avvento
Con il ritornello del salmo responsoriale, ripetiamo: “Canterò per sempre l’amore del Signore”. E’ il canto di stupore della Chiesa a motivo del mistero dell’Incarnazione. Tutti, probabilmente, abbiamo presente una simpatica figura del presepio. Davanti alla grotta della natività vi è un personaggio in atteggiamento estatico: ha le braccia sollevate al cielo, è inginocchiato per terra e i suoi occhi sono come rapiti da ciò che sta osservando: il Bambino- Dio. Questo personaggio dei nostri presepi ha un nome: si chiama “incantato”. Rappresenta la Chiesa, incantata di fronte al Verbo fatto carne.
In questi giorni chiediamo la grazia di ritrovare lo stupore e l’incanto del Natale; lo stupore e l’incanto per la bellezza del volto di Dio in Gesù. Rimaniamo nella contemplazione di questo mistero di salvezza e di vita, facendo nostra una composizione poetica attribuita a San Patrizio: “Oggi mi alzo e la forza di Dio mi guida: la potenza di Dio mi sostiene la saggezza di Dio mi accompagna l’occhio di Dio mi sorveglia l’orecchio di Dio mi ascolta la parola di Dio parla per me la mano di Dio mi difende la via di Dio è di fronte a me lo scudo di Dio mi protegge l’esercito di Dio mi salvaguarda”.

25 dicembre. Natale del Signore
In questo giorno, veramente luminoso e felice, ascoltiamo la riflessione di un Vescovo del secolo scorso: “Vorrei che ognuno di noi avesse quattro chiavi. Una chiave per la porta che dà sul retro: il Signore viene, dove e come noi non lo sappiamo. Viene in coloro che non hanno il coraggio di accostarsi alla grande porta maestra. Una chiave per la porta che dà verso l’interno: il Signore ci è più intimo del più profondo dell’anima nostra. Da lì entra nella casa della nostra vita. Una chiave per la porta di comunicazione che è stata murata, ricoperta d’intonaco, quella che dà su ciò che ci sta accanto: in coloro che ci sono più prossimi, che sono anche coloro che ci sono più estranei, il Signore bussa alla nostra porta. Una chiave per la porta principale, il portale: su quella porta Gesù, con Maria e Giuseppe furono respinti. Non esitiamo a lasciarlo entrare nella nostra casa, nella nostra vita, nel nostro mondo! Sapremo essere, oggi, la sua Betlemme?”.
E ora preghiamo con le parole ispirate di san Luigi Orione: “O Gesù dolce, Gesù amore! Noi ti vogliamo amare e servire in carità grande e santa letizia… Far del bene sempre e del bene a tutti, o Gesù, benedicendo sempre e non maledicendo mai. Inebriati dalle celesti delizie del tuo santo Natale, null’altro ti domandiamo, o Gesù, che di amarti! Di amarti! E che la pace si diffonda consolatrice su tutta quanta la terra”.

Domenica fra l’Ottava di Natale. Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
“Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui”. In tal modo l’evangelista Luca rappresenta Maria e Giuseppe, mentre si trovano nel tempio e incontrano prima Simeone e poi Anna. La loro è una famiglia normale e allo stesso tempo straordinaria, perché vi abita il Mistero che dona forma a ogni aspetto della loro vita.
In una bella omelia per la festa della Santa Famiglia, così si esprimeva il Card. Giacomo Biffi: “Il Figlio di Dio, facendosi uomo, ci ha rivelato il segreto della vita intima di Dio come vita interpersonale, per far entrare anche noi nel calore e nella felicità ineffabile della vita trinitaria. E appunto in vista di questo scopo, si è abbassato a partecipare alla nostra povertà, immettendosi personalmente nell’umile realtà della famiglia umana. In tal modo l’ha manifestata a se stessa e le ha dato una significazione più trasparente.
Così, nella contemplazione della famiglia di Nazaret, diventa più facile cogliere e capire tutti i valori soprannaturali delle famiglie e diventa più agevole imitare le prerogative di quella famiglia ideale: l’amore vicendevole, la concordia, la serenità, la ricerca affettuosa di Dio e della sua volontà, l’attenzione ai fratelli. Allora lo sguardo orante alla santa famiglia… offrirà alle nostre famiglie un mezzo efficacissimo di pensarsi e di vivere secondo la propria soprannaturale identità”.

II Domenica dopo Natale
“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Il prologo di san Giovanni ci introduce ogni volta nel mistero dell’incarnazione e nella bellezza del volto di Dio. Così, nella nostra preghiera, si alternano meraviglia, gioia e speranza.
Rimaniamo a contemplare il grande mistero dell’amore di Dio fatto carne in Gesù con l’aiuto di sant’Agostino: “La dimora del mio Dio è là, è al di sopra della mia anima. Là egli abita, di là mi vede, di là mi ha creato…, di là mi chiama, mi guida e mi conduce al porto. Colui che abita nel più alto dei cieli una dimora invisibile, possiede anche una teda sulla terra. La sua tenda è la Chiesa ancora itinerante. Qui bisogna cercarlo, perché nella tenda si trova la via che conduce alla sua dimora. Nella casa di Dio è una perpetua festa… Perché dunque ancora ti turbi, anima mia? E l’anima risponde in segreto: ‘Sono forse fin da adesso al sicuro?’… In attesa trova il tuo Dio quaggiù nella speranza… Perché sperare? Perché egli è il mio Dio, la salvezza del mio volto. La salvezza non può venirmi da me stesso. Io lo dirò, lo confesserò: «il mio Dio è la salvezza del mio volto»”.

6 gennaio. Epifania del Signore
Nel giorno dell’Epifania, l’esperienza dei Magi si presenta a noi come uno splendido atto di speranza. E’ la speranza, infatti, all’origine del loro lungo cammino verso Gesù.
Ascoltiamo una splendida pagina di Sant’Agostino sul tema della speranza. “Sia la nostra una speranza che non inganna, ma che sazia, e con qualcosa di così buono, che più appagati non si potrebbe essere. Che cos’è dunque che speriamo e che quando giungerà cesserà la speranza, lasciando il posto alla realtà? Che cos’è mai? Forse la terra? No. Qualcosa di ciò che nasce sulla terra, come l’oro, l’argento, gli alberi, le messi, l’acqua? Niente di tutto questo. Forse qualcosa che volteggi nell’aria? L’anima lo disdegna. Allora forse il cielo, così bello e ornato di astri luminosi? Che cosa c’è tra tutte le realtà visibili di più dilettevole e bello? Eppure non è neanche questo. E allora cos’è? Sono tutte cose dilettevoli, tutte cose belle, tutte cose buone: cerca colui che le ha fatte, è lui la tua speranza. Egli è ora la tua speranza, un giorno sarà la tua realtà. E’ la speranza di chi crede, sarà la realtà di chi vede. Quella che ora è la tua speranza, un giorno sarà la tua porzione. Sia egli la tua speranza nella terra dei morenti e sarà la tua porzione nella terra dei viventi”.

Battesimo del Signore
La Chiesa, nella festa del Battesimo di Gesù, canta con il salmo responsoriale: “Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza”. E canta nella gioia perché ascolta le parole di Giovanni il Battista: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo”
Una bella riflessione di santa Caterina Drexel sulla Madonna sostiene la nostra preghiera: “La Madonna, mentre aspetta la nascita di suo Figlio, ci appare come un perfetto mistero di raccoglimento e di impegno in Dio. Ella porta nel suo cuore il prodigio di Dio; è consapevole che Egli è dentro di lei, e ha fede assoluta nel messaggio dell’angelo, nei segni che indicano l’avvicinarsi del Salvatore, anche se ancora non riesce a vederlo. Allo stesso modo, il nostro mondo interiore cela un’infinità di misteri sacri. Nella nostra anima c’è Dio, e insieme a Lui ci sono il Regno dei cieli e la vita eterna. Tutto ciò dimora in noi, anche invisibile ai nostri occhi. Tuttavia, non dobbiamo dubitare della sua presenza, solo perché non riusciamo a vederlo. Le sue tracce ci appaiono in modo chiaro in tutto il creato, dando nuova vita a tutto ciò che ci circonda. Viviamo in mezzo a infiniti misteri, che possono rivelarsi solamente grazie alla fede. Queste riflessioni dovrebbero spronarci a compiere continuamente nuove attività, e ad accrescere la nostra gioia in Dio, bandendo ogni malinconia e depressione dalla nostra vita”.

II Domenica del Tempo Ordinario
“Allora il Signore chiamò: «Samuele!»”. La chiamata di Dio rivolta a Samuele trova un’eco splendida nelle parole di Gesù rivolte ai primi discepoli: “Venite e vedrete”. In entrambi i casi è in questione la sequela, ovvero la chiamata alla santità.
Ma che cosa è la santità? Ci aiuta il grande letterato francese Paul Claudel, che così scrive nella sua celebra opera “L’annuncio a Maria”: “Santità non è baciare sulla bocca un lebbroso o morire in terra di Paganìa, ma fare la volontà di Dio, prontamente, si tratti di stare al proprio posto o di salire in alto”.
Quanto abbiamo bisogno di santità, nella Chiesa e nel mondo! Il beato Cardinale Newman, a chi gli chiedeva quale fosse la cosa più urgente per la Chiesa, senza esitazione rispose: “La santità, prima di tutto!”. E santa Teresa di Calcutta affermava: “Non vi lamentate se vedete che nella Chiesa oggi ci sono pochi santi. Piuttosto aiutatela…e diventate santi…voi! Finché gridate: ‘E’ buio! E’ buio!’, non si accende la luce. Se volete vincere il buio, accendete la luce… anzi…fatevi accendere dall’unica luce: da Gesù! Fatevi santi!”.

III Domenica del Tempo Ordinario
“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo”. Le parole di Gesù attestano la presenza salvifica di Dio nel mondo e nella storia umana, e sono un vero annuncio di gioia.
Scrive sant’Agostino nelle Confessioni: “Questo soltanto io so, che il mio male è lo stare senza di Te, o Dio”. Ecco, invece, la triste esperienza interiore di un autore moderno, eco letterario di tante dolorose esperienze umane del nostro tempo. “Vivere, dunque, è preparazione alla morte, e quindi nascere vuol dire stare per morire. La morte ci appare la chiave della vita. Non soltanto la fine, ma anche il fine” (Prezzolini).
Facciamo nostra, pertanto, la bellissima lirica del beato Antomio Rosmini: “O quanto è dolce il conversare con Dio parlare di Dio, solo soddisfare a Dio ricordarsi, volere e intendere Dio conoscere Dio, innamorarsi in Dio lo stare, l’andare e ritornare con Dio il cercare e il trovare con Dio donando tutto se medesimo a Dio il pensare, il parlare, l’operare per Dio solo sperare Dio, solo dilettarsi in Dio stare sempre affisso con la mente in Dio il tutto esercitare con Dio in Dio e il dedicarsi e il consacrarsi a Dio e a Dio solo piacere, patire per Dio solo volere Dio e stare sempre con Dio gioire nei gusti e nelle pene in Dio il vedere Dio, toccare e gustare Dio e vivere e morire e stare in Dio”.

IV Domenica del Tempo Ordinario
“Io so chi tu sei: il santo di Dio!”. Uno spirito impuro si rivolge così al Signore. Le sue parole sono di disprezzo ma anche di paura. E’ la paura della santità di Dio che tormenta il demonio; ed è la paura che una tale santità venga comunicata agli uomini così che risultino vincitori sull’impero delle tenebre, del male e del peccato.
Il beato Cardinale Schuster, pochi giorni prima di morire, il 18 agosto 1954, diceva ai suoi seminaristi: “Voi desiderate un ricordo da me. Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità. La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione; ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un santo autentico, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio. Ricordate le folle intorno alla bara di don Orione? Non dimenticate che il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi: ha paura, invece, della nostra santità”.

V Domenica del Tempo Ordinario
Nel salmo responsoriale della Messa domenicale ascoltiamo: “Il Signore sostiene i poveri, ma abbassa fino a terra i malvagi”. E’ questa la convinzione di fede dell’uomo biblico, coltivata a partire dall’esperienza viva di Dio, che guarda con amore singolare gli umili.
Riportiamo alla memoria qualche celebre insegnamento sul tema dell’umiltà. “Credevo che, per incontrare Dio, bisognasse salire. Finalmente ho capito che bisogna scendere: Dio si può incontrare soltanto nell’umiltà” (beato Charles de Foucauld).
“Vorrei che nel tendere alla sapienza e nel raggiungerla, non ti aprissi altra via che quella apertaci da Colui il quale, essendo Dio, ha veduto la debolezza dei nostri passi. La prima via è l’umiltà, la seconda via è l’umiltà, e la terza via è ancora l’umiltà: e ogni qualvolta tornassi a interrogarmi, ti risponderei sempre così. Non perché non ci siano altri precetti degni d’essere menzionati, ma perché la superbia ci strapperà senz’altro di mano tutto il merito del bene di cui ci rallegriamo, se l’umiltà non precede, accompagna e segue tutte le nostre buone azioni in modo che l’anteponiamo per averla di mira, la poniamo accanto per appoggiarci ad essa, ci sottoponiamo ad essa perché reprima il nostro orgoglio” (sant’Agostino).

VI Domenica del Tempo Ordinario
“Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto”. La pagina del Vangelo domenicale ci parla di un lebbroso che viene purificato da Gesù. La sua gioia è tale che non riesce a osservare l’invito del Signore “a non dire niente a nessuno”. L’esperienza della salvezza non può essere conservata per se stessi. I santi non mancano mai di ricordarcelo.
“Una parola, un racconto, uno sguardo, un gesto, meno ancora un silenzio sono come una scintilla scoccata nell’intimo del tuo fratello; vi hai appiccato un incendio, che non ti sarà più possibile spegnere” (San Claudio de La Colombière).
“Lo Spirito Santo, quando risplende nelle anime purificate da ogni macchia, le rende spirituali con il proprio contatto. E, come i corpi diafani, quando li colpisce un raggio di luce, diventano essi stessi risplendenti e propagatori di luce, così le anime illuminate dallo Spirito Santo, divenute spirituali, rimandano luce ad altre anime” (San Basilio).
“Se la bocca non proclama quanto il cuore crede, anche il suo grido rimane soffocato. Ma perché il suo grido non venga coperto in noi, è necessario che ciascuno, secondo le sue possibilità, dia testimonianza ai fratelli del mistero della sua nuova vita” (San Gregorio Magno).

I Domenica di Quaresima
Il cammino quaresimale è un cammino nella santità. Per questo l’apostolo Paolo ci ricorda: “Cristo è morto… per ricondurvi a Dio”. Rinnoviamo il desiderio della santità guardando ai santi!
“Il ricordo dei santi, come tocco di carboni ardenti, lo ascese e lo trasformò (san Francesco) in una divina fiamma” (san Bonaventura). “Il giorno più felice delle mie vacanze fu quando mi accadde di leggere la vita del santo dal quale traggo il nome. Noi insegniamo la storia servendoci della vita dei farabutti; quando è che impareremo a insegnarla, valendoci della vita dei nostri grandi santi?” (Bernard Schaw).
Preghiamo, allora, con san Giovanni Paolo II e chiediamo alla Madonna il dono di una Quaresima di santità: “Vergine Maria, Regina dei Santi, e modello di santità! Tu oggi esulti con l’immensa schiera di coloro che hanno lavato le vesti nel sangue dell’Agnello. Tu sei la prima dei salvati, la Tutta Santa, l’Immacolata. Aiutaci a vincere la nostra mediocrità. Mettici nel cuore il desiderio e il proposito della perfezione. Suscita nella Chiesa, a beneficio degli uomini d’oggi, una grande primavera di santità”.

II Domenica di Quaresima
“Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. In questa parola, pronunciata sul monte della Trasfigurazione, risuona la voce del Padre, che si rivolge ai tre apostoli presenti, esortandoli a rimanere in ascolto del Signore Gesù, il Figlio amato.
Questa parola è rivolta anche a noi, oggi. In Gesù è tutto quello di cui abbiamo bisogno: in Lui è la nostra salvezza, la nostra vita, la nostra gioia. Una domanda si impone a noi come invito all’esame di coscienza: Chi ascoltiamo? A chi diamo credito? Quali parole sono davvero importanti per noi? Il tempo quaresimale è il periodo dell’anno liturgico più propizio per dedicarsi in modo prolungato all’ascolto della parola del Signore, per fare di questa parola il criterio di giudizio di ogni altra parola umana. Guardiamo ad Abramo, di cui dice la Scrittura: “Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce”.
Abbiamo bisogno di scendere nella concretezza della nostra vita quotidiana per individuare forme e tempi per la realizzazione di questo santo proposito. Iniziamo subito, senza rimandare a domani quanto il Signore ci chiede oggi di compiere: ascoltarlo e vivere della Sua parola.

III Domenica di Quaresima
“Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio”.
Gesù, crocifisso e risorto, è la sapienza di Dio a noi rivelata. Nella misura in cui siamo uniti a Gesù diventa nostra anche la sapienza di Dio; così il nostro modo di guardare la vita e la morte, di giudicare le realtà del mondo e della storia divengono quelli di Dio e noi abbiamo la grazia di essere partecipi della sua sapienza. Diviene nostro il pensiero di Cristo e, nostri, i suoi sentimenti. Chi è, in effetti, il cristiano? Chi è che vive di fede? Colui che è abitato dalla sapienza di Dio, colui che custodisce in sé l’amore di Gesù, principio di un nuovo modo di vivere e di guardare ogni cosa.
Preghiamo per avere in dono la sapienza e ascoltiamo quanto scrive sant’Agostino nei “Soliloqui”: “Se tu ardessi d’amore per qualche bella donna, giustamente ella non ti si darebbe se si accorgesse che ami, oltre lei, qualche altra cosa. E ti si potrà mostrare, se essa sola non ami, la castissima bellezza della sapienza?”.

IV Domenica di Quaresima
Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia”. Cantando il salmo responsoriale, la Chiesa oggi rinnova la propria gioia, nella Domenica tradizionalmente chiamata “Laetare”.
Quali sono i grandi motivi della gioia cristiana, di una gioia che si rinnova all’avvicinarsi della Pasqua? Li ricorda san Paolo: “Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù”.
Ecco la gioia cristiana! Non accogliere Gesù nella propria vita o anche solo lasciarlo ai margini di essa, vuol dire privarsi della vera gioia che dona pienezza di senso alla propria esistenza. Preghiamo ascoltando il Signore, che così si rivolge a noi: “Io sono la Luce e voi non mi guardate. Io sono la Via e voi non mi seguite. Io sono la Verità e voi non mi credete. Io sono la Vita e voi non mi cercate. Io sono il Maestro e voi non mi ascoltate. Io sono il Capo e voi non mi obbedite. Io sono il vostro Dio e voi non mi pregate. Io sono il grande Amico e voi non mi amate. Non rimproveratemi se siete infelici”.

V Domenica di Quaresima
“È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. L’ascolto di queste parole di Gesù, che adombrano il mistero della sua risurrezione, non può trovarci distratti o superficiali. Sono parole che cambiano la storia umana e la vicenda del mondo. Sono parole che risuonano nel cuore di ogni uomo e di fronte alle quali non si può rimanere neutrali. Accoglierle, infatti, cambia per sempre l’esistenza. Il fatto che Gesù sia risorto da morte è il cuore e il centro della nostra fede.
Così scrive sant’Agostino: “Nella risurrezione di Cristo la nostra fede trova il suo stabile fondamento. Alla passione di Cristo credono anche gli empi, ma alla risurrezione di Cristo credono solo i cristiani”. Noi, pertanto, siamo i figli della risurrezione. La nostra vita, pertanto, conosce la gioia vera. Nella Liturgia ambrosiana c’è una frase stupenda: “Renderò nota la potenza del mio nome attraverso la letizia dei loro volti”. Possa davvero essere così, perché non valga l’obiezione che Nietzche rivolgeva ai cristiani: “Io crederei all’esistenza del Salvatore se voi aveste una faccia da salvati”.

Domenica delle Palme e della Passione del Signore
In questo giorno riviviamo l’ingresso del Signore a Gerusalemme. Commenta Benedetto XVI: “Per questo, con buona ragione la Chiesa nascente poteva vedere in tale scena la rappresentazione anticipata di ciò che essa fa nella liturgia. Già nel testo liturgico post- pasquale più antico che conosciamo – nella Didaché (intorno all’anno 100) – prima della distribuzione dei doni sacri appare l’Osanna insieme col Maranatha: ‘Venga la grazia e passi questo mondo. Osanna al Dio di Davide. Chi è santo acceda; chi non lo è, si converta. Amen’. Molto presto è stato inserito nella liturgia anche il Benedictus: per la Chiesa nascente la Domenica delle Palme non era una cosa del passato. Come allora il Signore era entrato nella città santa cavalcando l’asinello, così la Chiesa lo vedeva arrivare sempre di nuovo sotto le apparenze umili del pane e del vino. La Chiesa saluta il Signore nella santa Eucaristia come Colui che viene ora, che è entrato in mezzo a essa. E al contempo lo saluta come Colui che rimane sempre il Veniente e ci prepara alla Sua venuta. Come pellegrini andiamo verso di Lui; come pellegrino Egli ci viene incontro e ci coinvolge nella sua ascesa verso la croce e la risurrezione, verso la Gerusalemme definitiva che, nella comunione col suo Corpo, già si sta sviluppando in mezzo a questo mondo”.

Pasqua. Risurrezione del Signore
“Alleluia”, canta oggi la Chiesa in una gioia straripante. Dopo aver vissuto i giorni della Settimana Santa e i riti tanto suggestivi del Sacro Triduo, eccoci alla celebrazione della Santa Pasqua. E’ la Pasqua di Risurrezione! Cristo è Risorto! Siamo nella gioia; e questa è la gioia vera della vita, di ogni vita. Così il diacono la annuncia nel corso della Veglia pasquale: “Beatissimo Padre, vi annuncio una grande gioia. Alleluia”. Il canto dell’Alleluia aveva smesso di risuonare, nelle celebrazioni della Chiesa, il Mercoledì delle Ceneri, segnando così l’inizio del percorso penitenziale della Quaresima.
Nel Medio Evo, in proposito, i monaci avevano elaborato una vera e propria cerimonia per dare l’ultimo saluto all’Alleluia. Era infatti previsto un particolare rito, durante il quale un mattone, recante incisa la parola “Alleluia”, veniva riposto in un luogo appartato o addirittura murato nel pavimento del coro. I gesti, poi, erano accompagnati da un vivace dialogo tra il coro e un monaco, che impersonava l’Alleluia stesso, al quale i fratelli auguravano un buon viaggio, auspicando il suo felice ritorno nello splendore del Cristo risorto. Ora, a Pasqua, l’Alleluia è tornato a risuonare nella Chiesa, richiamo, nel canto, della gioia della Risurrezione di Gesù.

II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia
In questa Domenica ascoltiamo il Vangelo nel quale san Giovanni racconta l’episodio dell’incontro tra Gesù risorto a l’apostolo Tommaso. Qualche giorno prima Gesù era già apparso ai Dodici, ma Tommaso non era con loro. A lui, che era rimasto incredulo davanti alla testimonianza degli altri apostoli, il Signore si presenta, invitandolo a mettere le mani nelle sue piaghe. In virtù di quell’esperienza, l’apostolo guarisce dalla sua incredulità e proclama nella gioia la propria fede: “Mio Signore e mio Dio!”.
Torna alla mente la parola dell’antico profeta (Isaia 53, 5), ripresa da san Pietro nella sua prima Lettera (2, 24): “Dalle sue piaghe siete stati guariti”. Oggi siamo invitati a rimanere, con la mente e con il cuore, nelle piaghe di Gesù. Quelle piaghe sono il segno della nostra miseria, perché sono l’esito del nostro peccato e del nostro sconsiderato rifiuto di Dio. Ma quelle piaghe sono anche l’espressione dell’infinita misericordia di Dio, del suo amore fedele che sa trasformare in sorgente di salvezza ciò che sarebbe per noi motivo di condanna. Noi abbiamo consegnato il Signore alla morte, ma quella morte è divenuta la fonte della nostra vera vita.

III Domenica di Pasqua
Nel vangelo di Luca si racconta l’incontro tra Gesù e due discepoli che sono in cammino verso Emmaus. E’ molto toccante la loro invocazione: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Quanto è bella questa preghiera! I due giovani discepoli, facendo la strada insieme a Gesù, ne avevano ascoltato la parola, che era stata per loro luce, calore, amore; ne avevano gustato la presenza, che era stata per loro riposo, rifugio, coraggio. E ora lo pregano, perché hanno bisogno di lui! Noi tutti abbiamo bisogno di Gesù! Preghiamo con il beato Card. Newman: “Hai detto che io sono più beato nel credere in te che nel vedere te. Concedimi di partecipare pienamente a questa beatitudine. Rendimi capace di credere come se vedessi; fa’ che io ti tenga sempre vicino come se tu fossi presente con il tuo corpo, con la tua natura umana. Fa’ che io sia sempre in comunione con te, mio Dio nascosto, ma vivente. Tu sei nel più profondo del mio cuore, sei la vita della mia vita. Ogni mio respiro, ogni pensiero, ogni desiderio buono deriva dalla presenza dentro di me del mio Dio nascosto. In questo mondo materiale ti vedo oscuramente, ma riconosco la tua voce nell’intimo della mia coscienza. Mi volto ed esclamo: ‘Maestro!’. Resta sempre con me; se io sono tentato di lasciare te, tu non lasciare me, mio Dio”.

IV Domenica di Pasqua
Nel Vangelo Gesù presenta se stesso come il pastore buono delle pecore. Il termine buono può essere anche tradotto con “bello”. Gesù, pertanto, si presenta come il “pastore buono e bello”.
Rimaniamo in contemplazione di questa bellezza con l’aiuto di san Bernardo: “Come sei bello, Signore Gesù, al cospetto dei tuoi Angeli, nella forma di Dio, nella tua eternità! Come sei bello per me, Signore mio, nello stesso spogliarti della tua bellezza! Infatti, per il fatto che ti sei annichilito, che ti sei spogliato tu, lume perenne, dei naturali raggi, maggiormente rifulse la tua pietà, esaltò maggiormente la tua carità, più splendida irradiò la grazia. Come sei bella per me al tuo nascere, o Stella di Giacobbe, come esci splendido fiore dalla radice di Jesse, e hai visitato come luce di gioia me, che giacevo nelle tenebre, nascendo dall’alto! Come fosti ammirabile e stupendo anche per le superne Virtù, quando venivi concepito per opera dello Spirito, quando nascevi dalla Vergine, nell’innocenza della vita, nella ricchezza del tuo insegnamento, nello splendore dei miracoli, nella rivelazione dei misteri! Come, dopo il tramonto, splendido risorgesti, sole di giustizia, dal cuore della terra! Come bello infine nel tuo vestito, o Re della gloria, te ne sei tornato nell’alto dei Cieli! Come non diranno le mie ossa per tutte queste cose: Chi è come te, Signore?”.

V Domenica di Pasqua
Oggi la Chiesa prega il Padre perché a tutti i credenti in Cristo sia data “l’eredità eterna”. Ancora una volta nella liturgia riecheggia il richiamo del Paradiso, a ricordarci che la vita è un pellegrinaggio verso la vera Patria, che è Dio.
I Santi hanno sempre fissato lo sguardo sull’eternità beata e hanno vissuto attendendola nella gioia e nella speranza. Ecco un bell’episodio nella vita di santa Teresa di Calcutta, nel ricordo di chi ha avuto la grazia di conoscerla da vicino. “La Madre era diretta a una parrocchia romana e io la stavo accompagnando insieme a due suore. Eravamo in piedi alla fermata lungo la passeggiata archeologica, dopo aver lasciato la casa delle Missionarie della Carità presso san Gregorio al Celio. Mentre aspettavamo, una macchina improvvisamente si ferma. Il conducente evidentemente aveva riconosciuto la Madre e, volendo compiere un gesto di cortesia, chiese: ‘Madre, che aspetta?’. La Madre, senza un attimo di esitazione, rispose: ‘Aspetto il Paradiso, mio caro!’. Tutti sorridemmo, ma, in verità, Madre Teresa ci aveva ricordato una fondamentale verità cristiana”. Ed ecco l’eternità in Dio, nelle parole di san Bernardo: “…perché quella lunga durata non ha termine, quello splendore non ha tramonto, quella sazietà non genera fastidio”.

VI Domenica di Pasqua
In questa Domenica la Chiesa prega così: “Dio onnipotente, fa’ che viviamo con rinnovato impegno questi giorni di letizia in onore del Cristo risorto, per testimoniare nelle opere il memoriale della Pasqua che celebriamo nella fede”.
Dice al riguardo san Gregorio Magno: “Se la bocca non proclama quanto il cuore crede, anche il suo grido resta soffocato. Ma perché il suo grido non venga coperto in noi, è necessario che ciascuno, secondo le sue possibilità, dia testimonianza ai fratelli del mistero della sua nuova vita”.
Rimane per noi di esempio quanto raccontato da sant’Agostino, nelle Confessioni, a proposito del grande filosofo e senatore romano Vittorino. “Vittorino da pagano si era fatto cristiano, ma non osava farsi battezzare. Ma un bel giorno improvvisamente venne a dirgli (a Simpliciano): «Andiamo in chiesa, mi faccio battezzare…». Sul momento di emettere la pubblica professione di fede, che ad alcuni, se ne fossero stati a disagio, si permetteva di farlo in luogo un po’ appartato, Vittorino, invece, chiese di poterlo fare alla presenza del popolo con tutto lo splendore del rito tra la meraviglia di Roma e l’esultanza della Chiesa. Egli preferì professare la sua fede che lo faceva salvo davanti alla folla, dal momento che mai aveva avuto timore di pronunciare la sua parola davanti alla turba dei folli”.

Ascensione del Signore
Oggi ripetiamo con il ritornello del Salmo responsoriale: “Ascende il Signore tra canti di gioia”. In questa Domenica la Chiesa celebra l’Ascensione di Gesù al Cielo. E’ una solennità molto bella, nella quale il nostro sguardo è invitato a orientarsi, con decisione e con gioia, al paradiso.
Ascoltiamo un brano di san Leone Magno: “Lasciamo dunque esplodere la nostra gioia come si deve e rallegriamoci in una fervorosa azione di grazie: oggi, infatti, non solo siamo confermati nel possesso del paradiso, ma siamo anche penetrati con Cristo nelle altezze dei cieli; abbiamo ricevuto più dalla grazia ineffabile di Cristo di quanto non avevamo perduto per la gelosia del Maligno. Infatti, coloro che quel virulento nemico aveva scacciato dal primo soggiorno di felicità, il Figlio di Dio li ha incorporati a sé per collocarli in seguito alla destra del Padre”.
E ora preghiamo con la Liturgia Bizantina: “O Cristo, scendendo dal cielo in terra, come Dio facesti risorgere con te il genere umano dalla schiavitù dell’inferno cui soggiaceva, e per la sua Ascensione lo riconducesti al cielo facendolo sedere con te sul trono del Padre tuo, perché sei misericordioso e amante degli uomini”.

VII Domenica di Pasqua
Gli apostoli si trovano a dover operare una scelta; Giuda ha tradito e il suo posto deve essere occupato da qualcun altro, tra i discepoli della prima ora. Il numero degli apostoli, al momento, non può discostarsi da quello inziale, voluto Gesù quando li ha chiamati a essere colonne della Chiesa nascente.
Ecco che cosa leggiamo nella pagina degli Atti degli Apostoli: “Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione”. Vengono qui  presentate le caratteristiche che dovrà avere colui che è destinato a sostituire Giuda nel collegio apostolico. Come allora per gli apostoli, così ancora oggi può davvero essere testimone della risurrezione chi ha quelle caratteristiche: la profonda familiarità con il Signore, Risorto e vivo nella Sua Chiesa, cresciuta nell’assiduità dell’ascolto della Sua parola, della preghiera, dell’Eucaristia e dei sacramenti. Solo chi vive ogni giorno di Cristo può divenire anche Suo testimone nel mondo.

Pentecoste
“Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra”. Con queste parole, nel giorno di Pentecoste, la Chiesa invoca il dono dello Spirito Santo.
Uniamoci tutti alla supplica della Chiesa e preghiamo insieme a san Francesco di Sales: “Piaccia, dunque, alla divina Maestà di darci il dono del timore, perché lo serviamo fedelmente; il dono della pietà, per rispettarlo come nostro padre amabilissimo; il dono della scienza, per conoscere il bene che dobbiamo operare e il male che dobbiamo fuggire; il dono della fortezza, per superare coraggiosamente tutte le difficoltà che incontreremo nella pratica delle virtù; il dono del consiglio, per distinguere e scegliere i mezzi appropriati a perfezionarci; il dono dell’intelletto, per penetrare la bellezza e l’utilità dei misteri della fede e della massime evangeliche; e, infine, il dono della sapienza, per gustare quanto sia amabile Dio e per assaporare e sperimentare le dolcezze della sua incomprensibile bontà”.
E non vanga a mancare la presenza della Madonna, secondo la bella affermazione di San Luigi Maria Grignon da Montfort: “Quanto più lo Spirito Santo trova Maria, sua cara e indissolubile sposa, in un’anima, tanto più diviene operoso e potente per formare Gesù Cristo in quest’anima; e quest’anima in Gesù Cristo”.

Santissima Trinità
Il Volto splendente di Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo. Questa è la nostra fede, come afferma la preghiera della Chiesa nella festa della SS. Trinità: “Con il tuo unico Figlio e con lo Spirito Santo sei un solo Dio, un solo Signore, non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza”.
Afferrati dalla luce abbagliante e dolcissima di questa mistero, preghiamo con sant’Agostino: “L’anima mia vi adora, il mio cuore vi benedice e la mia bocca vi loda, o santa ed indivisibile Trinità. O Padre Eterno, io vi prego per il vostro amato Figlio; o Gesù, io vi supplico per il Padre vostro; o Spirito Santo, io vi scongiuro in nome dell’Amore del Padre e del Figlio: accrescete in me la fede, la speranza e la carità. Fate che mi renda degno della vita eterna con l’innocenza della mia vita e con la santità dei miei costumi, affinché un giorno possa unire la mia voce a quella degli spiriti beati, per cantare con essi, per tutta l’eternità: Gloria al Padre Eterno, che ci ha creati; Gloria al Figlio, che ci ha rigenerati con il sacrificio cruento della Croce; Gloria allo Spirito Santo, che ci santifica con l’effusione delle sue grazie. Onore e gloria e benedizione alla santa e adorabile Trinità per tutti i secoli. Così sia”.

Corpo e Sangue di Cristo
Come la Chiesa ci ricorda con stupore in questa solennità del Corpo e Sangue di Cristo, l’Eucaristia è il più grande tesoro che il Signore Gesù ci ha lasciato in dono. Con l’Eucaristia, infatti, ci ha lasciato se stesso! E allora: perché non donare un tempo quotidiano e prolungato per rimanere in adorazione di Gesù eucaristico? E, ancora di più, perché non provare a rendere quotidiana la nostra partecipazione alla Messa? O la nostra vita è intensamente eucaristica, oppure non può dirsi davvero cristiana.
Oggi, in una sosta di preghiera davanti alla Santissima Eucaristia, preghiamo insieme al beato J.H. Newman: “O Signore, mi rivolgo a te dalla mia silenziosa oscurità. Mostrami la tua misericordia e il tuo amore. Fammi vedere il tuo volto, udire la tua voce, toccare il lembo del tuo mantello. Voglio amarti, parlarti e stare semplicemente alla tua presenza. Signore, aiutami a capire che solo tu puoi insegnarmi a pregare, solo tu puoi dare riposo al mio cuore, solo tu puoi farmi stare alla tua presenza. O Signore, fammi gustare l’amore eterno e infinito col quale tu m’inviti ad abbandonare le mie ansie, paure e preoccupazioni. Insegnami a tenere semplicemente lo sguardo fisso su di te. Abbi pietà di me peccatore”.

VII Domenica del Tempo Ordinario
Il profeta Isaia si rivolge a Israele che sta vivendo un momento molto difficile della sua storia: il regno si è diviso in due, Samaria e Giuda, ovviamente indebolendosi e rimanendo maggiormente esposto agli attacchi dei popoli invasori. Il futuro è oscuro e il presente è caratterizzato dalla precarietà, dalla divisione e dalla paura. Similmente il vangelo di Marco presenta la situazione di un uomo gravemente malato perché paralitico e, dunque, senza speranza: la malattia lo costringe sulla sua barella, con la necessità di essere trasportato da altri.
In queste due gravi situazioni di disagio, umano e spirituale, entra il Signore con la forza della sua parola. Il profeta si fa portavoce della parola divina che è parola di speranza e indica un qualcosa di nuovo che si sta facendo spazio all’orizzonte. Di conseguenza è ancora possibile sperare e guardare al domani con fiducia. Dio non abbandona il suo popolo ma lo rinnova nel suo amore di predilezione e di misericordia. Allo stesso modo anche paralitico può sperare: la parola che Gesù gli rivolge è parola che guarisce il corpo e l’anima. Quella barella, che prima era il motivo della sua schiavitù, ora è saldamente nella mani del malato che la trascina via con sé.
La stessa parola di Dio oggi viene a noi e ridona speranza alla nostra vita.

VIII Domenica del Tempo Ordinario
La liturgia di questa Domenica propone un’immagine molto caro all’uomo della Bibbia, al fine di individuare il centro del rapporto tra Dio e l’umanità, Dio e il suo popolo, Dio e ciascuno di noi. Tale immagine è quella delle nozze, dell’amore dello sposo per la sposa. A questa immagine l’autore ispirato arriva servendosi soprattutto di una fondamentale esperienza spirituale: quella del deserto.
Sappiamo, infatti, che i profeti hanno riletto l’esperienza fatta dal popolo nel deserto come quella che più ha segnato la sua vita, soprattutto in ordine all’incontro con l’amore forte e straordinario di Dio. I lunghi anni di cammino nella fatica e nella solitudine hanno fatto capire al popolo d’Israele l’amore di predilezione con cui Dio guardava al suo popolo. Molto bella, al riguardo, è la pagina del profeta Osea (2, 16-17. 21-22), nella quale si parla di un rapporto nuziale in cui prevale l’intimità affettuosa tra i due amanti. “La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”: in questa affermazione, già di per sé splendida, è possibile intravedere un’intimità ancora più grande, nel momento in cui si risale al significato letterale delle parole. Infatti quel “parlerò al suo cuore” lo si potrebbe anche tradurre “parlerò sul suo cuore”, con riferimento a un dialogo di amore che avviene tra due amanti che sono abbracciati. Lasciamoci interpellare, per la nostra vita di fede, da questa bellissima immagine.

IX Domenica del Tempo Ordinario
Risuona, oggi, nel nostro cuore la parola liberante di Gesù: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato”. In questa parola ascoltiamo il primato della grazia sulla legge, il primato dell’amore sul dovere.
Siamo aiutati a meditare la parola evangelica da quanto sant’Agostino scrive nelle Confessioni: “Ma dov’era stata la mia libertà per tanto tempo? Da quali profondità segrete fu tratta fuori in un solo istante, affinché me ne servissi per sottoporre il capo al tuo giogo che è soave e le spalle al tuo peso che è leggero, o Cristo Gesù, mio aiuto e redentore? Come improvvisamente mi fu dolce il perdere le false dolcezze di prima! Quelle che avevo tanto temuto di perdere, ora era una gioia buttarle. Tu infatti le allontanavi da me, vera e suprema dolcezza; le allontanavi e subentravi al loro posto, più dolce di ogni piacere, più luminoso di ogni luce, ma più intimo di ogni segreto, più esaltante di ogni onore, ma non per chi esalta se stesso. Il mio animo era libero, mi intrattenevo ormai con te, mia grandezza, mia ricchezza e mia salvezza, Signore, mio Dio”.

X Domenica del Tempo Ordinario
“Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli”. Le parole dell’apostolo Paolo sono per noi un richiamo perché non dimentichiamo che la vita è un pellegrinaggio e che siamo destinati all’eternità felice in Dio.
Ascoltiamo, in proposito, un brano di san Leone Magno: “Esultiamo, dunque, carissimi, di una gioia spirituale e, rallegrandoci davanti al Signore in degna azione di grazie, eleviamo liberamente gli sguardi dei nostri cuori verso quelle altezze dove si trova Cristo. Le anime nostre sono chiamate in alto: non le appesantiscano i desideri terrestri; esse sono predestinate all’eternità. Non le accaparrino le cose destinate a perire: esse sono entrate nella via della verità. Non le trattenga un ingannevole fascino; in tal guisa, i fedeli trascorrano il tempo della vita presente sapendo di essere stranieri in viaggio in questa valle del mondo in cui, anche se li lusinga qualche vantaggio, non devono attaccarsi colpevolmente, bensì trascenderli con vigore”.

XI Domenica del Tempo Ordinario
“O Dio, fortezza di che spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni”. L’inizio della preghiera della Colletta di questa Domenica esprime la fiducia filiale della Chiesa nella presenza provvidente del suo Signore. Partecipiamo tutti di questa fiducia rinnovando la contemplazione del volto paterno di Dio.
“Penso che tutti avrebbero molto da dire su quanto la Provvidenza ha fatto per ciascuno. Ciascuno, certamente, è oggetto di una tale attenzione, di una tale sollecitudine da parte di Dio, che nell’ultimo giorno, sia egli salvo o no, confesserà che per lui non si sarebbe potuto fare niente di più di ciò che è stato realmente fatto. E ciascuno sentirà che la sua storia è qualcosa di speciale e di unico” (Beato J. H. Newman).
In questa fiducia, che nulla può e deve turbare, preghiamo con sant’Agostino: “O Dio, dal quale provengono a noi tutti i beni e sono allontanati tutti i mali. O Dio, sopra del quale non c’è nulla, fuori del quale nulla e senza del quale nulla. O Dio, sotto il quale è il tutto, nel quale il tutto, col quale il tutto… Ascolta, ascolta, ascolta me, Dio mio, mio signore, mio re, mi padre, mio fattore, mia speranza, mia realtà, mio onore, mia casa, mia patria, mia salvezza, mia luce, mia vita”.

XII Domenica del Tempo Ordinario
“Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena”. La tempesta di cui racconta il vangelo di Marco è anche il segno di ogni turbamento che si insinua nella storia della Chiesa e nella vita di ciascuno di noi. Quante tempeste attraversano le nostre esistenze! Ma in queste tempeste il Signore è sempre con noi.
Così commenta sant’Ambrogio: “Noi siamo dunque soggetti alle tempeste scatenate dallo spirito del male; ma, come dei bravi marinai vigilanti, chiamiamo il pilota addormentato. Anche i piloti però sono di solito in pericolo. E a quale pilota dovremo allora rivolgerci? A quello che non è soverchiato dai venti ma li comanda, a colui del quale sta scritto: «Svegliatosi, sgridò il vento e i flutti». Che vuol dire «svegliatosi»?… Hai letto precedentemente come egli passasse la notte in preghiera: in qual modo poteva ora dormire durante la tempesta? Questo sonno rivela la coscienza del suo potere: tutti avevano paura, mentre egli solo riposava senza timore… Anche se il suo corpo dorme, la sua divinità vigila, e la fede agisce. È per questo che dice: «Uomini di poca fede, perché avete dubitato?». Essi meritano il rimprovero, perché hanno avuto paura pur essendo vicini a Cristo, mentre nessuno può perire se è unito a lui. In questo modo egli corrobora la fede, e ridona la calma.

XIII Domenica del Tempo Ordinario
Nella pagina evangelica di questa Domenica, il nostro sguardo si fissa su Gesù nel suo chinarsi sui tanti drammi dell’umanità. Prima, egli guarisce una donna, che da anni aveva perdite di sangue. Poi, egli riporta alla vita la bambina di uno dei capi della sinagoga. Con la sua parola e il suo gesto, Gesù ridona la salute e strappa dalla morte.
Preghiamo insieme a San Claudio della Colombière: “Gesù, tu sei il solo e vero amico. Tu prendi parte alle mie pene, te le addossi, possiedi il segreto di volgermele in bene. Tu mi ascolti con bontà, quando ti racconto le mie afflizioni e non manchi mai di addolcirle. Tu non ti annoi mai di ascoltarmi; non ti stanchi mai di farmi del bene. Io sono sicuro di essere amato, se ti amo. Per quanto miserabile io sia, nessuno spirito più nobile, più grande, anche più santo mi toglierà mai la tua amicizia; la morte, che ci strappa a tutti gli altri amici, mi riunirà a te. Tutte le disgrazie dell’età o della fortuna non possono staccarti da me. Tu sopporti i miei difetti con una pazienza ammirevole; le mie stesse infedeltà, le mie ingratitudini non ti feriscono al punto che tu non sia sempre pronto a ricominciare, se io voglio. O Gesù, concedimi di volerlo, affinché io sia tuo, adesso e sempre”.

XIV Domenica del Tempo Ordinario
Dio si rivolge al profeta Ezechiele e lo invia: “Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito”. Forse anche noi siamo parte di coloro che sono chiusi all’ascolto della parola del Signore. Per questo lasciamoci esortare da Madeleine Delbrel: “Vivere nella Chiesa, al giorno di oggi, le parole, i gesti, gli insegnamenti di Gesù. Farlo semplicemente, un po’ alla lettera, come farebbe la gente che ascoltasse il Vangelo per la prima volta. Come dei fanciulli che hanno fiducia e non domandano spiegazioni; come ignoranti che non hanno obiezioni da fare; come innamorati che vogliono esaudire anche il più piccolo desiderio di colui che amano”.
Nel ritornello del Salmo responsoriale della Domenica ripetiamo: “I nostri occhi sono rivolti al Signore”. In tal modo la voce della Chiesa vuole renderci partecipi del proprio desiderio di Dio. Questo vivo desiderio era condiviso da Flannery O’Connor, scrittrice cattolica americana del secolo scorso. Scriveva: “Caro Signore, per favore fa’ che io ti voglia. Sarebbe la più grande beatitudine. Non solo desiderarti quando ti penso, ma volerti sempre, pensarti sempre, avere il desiderio di te che mi guida, averlo come un cancro. Mi ucciderebbe come un cancro e questo sarebbe il Compimento”.

XV Domenica del Tempo Ordinario
Dice il Signore al profeta: “Va’, profetizza al mio popolo Israele”. In queste parole si riempie di significato la missione affidata ad Amos. Egli è incaricato di parlare in nome di Dio. La sua stessa vita dovrà essere profezia, annuncio di Dio in mezzo al suo popolo.
Si racconta che un famoso attore di teatro era presente a una cena di beneficenza. Prima di iniziare la cena, i presenti chiesero a un anziano sacerdote di dire la preghiera. Il sacerdote guardò l’attore e gli chiese se, a sua volta, se la sentiva di recitare il salmo 23: ‘Il Signore è il mio pastore non manco di nulla’. Il famoso attore accettò, ma a una condizione: che anche l’anziano sacerdote recitasse quel salmo, dopo di lui. L’anziano uomo di Dio accondiscese e l’attore iniziò a declamare il salmo. Le sue parole erano come una musica bellissima, e ognuno fu estasiato dalla meravigliosa prova dell’attore. Quando finì, tutti scoppiarono in un caloroso applauso. Toccava all’anziano sacerdote ripetere quel breve salmo. L’uomo non era dotato di una bella voce, e la sua dizione era alquanto povera. Ma mentre pronunciava le parole del salmo un brivido percorse i presenti. Quando finì non ci fu alcun applauso. Solo silenzio. L’attore si alzò in piedi e disse: “Io ho toccato i vostri orecchi, ma quest’uomo ha toccato il vostro cuore”. Quando qualcuno chiese all’attore che cosa aveva fatto la differenza, egli rispose: “Io conosco il salmo, lui il pastore”.
Ecco la profezia!

XVI Domenica del Tempo Ordinario
Quasi a fare da eco alla parola evangelica, questa Domenica ripetiamo con il ritornello del Salmo responsoriale: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”. Nel vangelo, infatti, san Marco annota, a proposito di Gesù: “…ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore”.
Come è consolante questa compassione di Gesù! Noi tutti abbiamo bisogno di Lui! E Lui lo sa. Abbiamo bisogno della Sua parola di Vita, abbiamo bisogno della Sua presenza d’Amore, abbiamo bisogno di Lui, che è la nostra Salvezza. Preghiamo con il beato Card. Newman: “Hai detto che io sono più beato nel credere in te che nel vedere te. Concedimi di partecipare pienamente a questa beatitudine. Rendimi capace di credere come se vedessi; fa’ che io ti tenga sempre vicino come se tu fossi presente con il tuo corpo, con la tua natura umana. Fa’ che io sia sempre in comunione con te, mio Dio nascosto, ma vivente. Tu sei nel più profondo del mio cuore, sei la vita della mia vita. Ogni mio respiro, ogni pensiero, ogni desiderio buono deriva dalla presenza dentro di me del mio Dio nascosto. In questo mondo materiale ti vedo scuramente, ma riconosco la tua voce nell’intimo della mia coscienza. Mi volto ed esclamo: ‘Maestro!’. Resta sempre con me; se io sono tentato di lasciare te, tu non lasciare me, mio Dio”.

XVII Domenica del Tempo Ordinario
La preghiera della Colletta, che ci accompagna in questa Domenica e per tutta la settimana, mette sulle nostre labbra la bella invocazione: “O Dio, nostra forza e nostra speranza…effondi su di noi la tua misericordia”. Abbiamo tanto bisogno della misericordia del Signore! Per questo non ci stanchiamo mai di chiederla in dono.
In realtà Dio, che in se stesso è mistero di amore infinito, ha voluto che l’intera creazione, e in essa anzitutto l’uomo, fosse segnata dalla misericordia, così che guardando a Lui e alle Sue opere, si potesse affermare con gioiosa esultanza: “Dio è amore di misericordia!”. Un’antica storia dei monaci del deserto narra di un vecchio brigante che si sentì male e, percependo la morte ormai vicina, bussò alla porta di un monastero per chiedere di rimanervi fino all’ultimo giorno: “Dio avrà misericordia di me”, disse il brigante al monaco che era venuto a soccorrerlo. “Come fai a esserne così sicuro?”, reagì tra l’ironico e il diffidente il monaco, certo di saperla più lunga al riguardo rispetto all’ignorante brigante. “Perché è il suo mestiere”, ribatté con sicurezza quest’ultimo.

XVIII Domenica del Tempo Ordinario
Custodiamo nel cuore le parole di Gesù: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!”. Se fame e sete non si placano, forse questo accade per la nostra poca generosità nel donarci al Signore. Diceva santa Teresa d’Avila: “Dio non si dà tutto all’anima, perché l’anima non si dà tutta a lui”.
Al riguardo, un poeta indiano, che era venuto a contatto con il Vangelo e ne aveva subito profondamente il fascino, scrisse un giorno una luminosa parabola. “Il regno dei cieli – egli scrisse – è simile a un mendicante che dal margine della strada vede avanzarsi il cocchio dorato del re. Un’immensa speranza gli irrompe nel cuore e lo fa esclamare: Questa è la volta che cesserò di essere povero! Quando la carrozza s’arresta davanti a lui, il re si sporge e gli tende le mani: non per dare, ma per chiedere. Smarrito, confuso, il mendicante fruga nella bisaccia e si decide a staccare dal fondo un granello di riso, uno appena, che depone sulla mano del re questuante. A sera, solo nella capanna, rovesciando sul pavimento la bisaccia, tra le croste di pane e i chicchi di riso della sua miserevole raccolta vede brillare un granello d’oro, uno appena. Comprende: è quello che aveva saputo donare. Un pentimento troppo tardivo gli strappa un gemito di amaro rimpianto: Così gli avessi dato tutto!”.

XIX Domenica del Tempo Ordinario
Rivolgendosi ai cristiani di Efeso, san Paolo raccomanda e rimprovera: “Non vogliate rattristare lo Spirito Santo…Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze, con ogni sorta di malignità”.
E’ un invito all’esame di coscienza, al fine di valutare davanti a Dio ciò che in noi corrisponde alla Sua volontà e ciò che, invece, non vi corrisponde, in vista di un generoso cammino di conversione. Ci aiuta sant’Agostino: “Chi, però, dopo aver esaminato la propria coscienza, si troverà tra quelli che sono zizzania, non deve esitare a cambiare vita. Ancora non c’è il comando che il grano è falciato, ancora non c’è il raccolto. Non essere oggi quello che sei stato ieri, ma neppure devi essere domani come sei oggi. Che ti giova dire che una buona volta cambierai? Dio ti ha promesso il perdono dopo che sarai mutato, non ti ha promesso il domani. Quale sarà lo stato in cui uscirai dal corpo, tale arriverai al giorno del raccolto. E’ quaggiù, nel campo, che si diventa o da zizzania buon grano e da buon grano zizzania; quaggiù questo è possibile, altrove invece – vale a dire dopo questa vita – è tempo di ricevere ciò che si è fatto, non già di fare ciò che uno non ha fatto”.

XX Domenica del Tempo Ordinario
Al fine di richiamare i cristiani di Efeso a una vita più coerente con la fede professata, san Paolo esorta alla preghiera: “Siate invece ricolmi dello Spiriti, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore”. E’ decisivo, per la nostra vita, ritornare sempre alla forza e alla grandezza della preghiera.
Il futuro beato Federico Ozanam, allora giovane e in crisi di fede, improvvisamente entrò, in cerca di conforto, in una chiesetta gotica di Parigi e vide in ginocchio, nella penombra del luogo sacro, la veneranda figura di un vegliardo. La esaminò attentamente e la riconobbe: era Ampère, il famoso scienziato. Lo contemplò a lungo, in muto raccoglimento, e quando uscì si mise sui suoi passi e lo seguì fin nel suo studio. “In quale questione di fisica posso esservi utile, giovanotto?” – domandò l’illustre uomo. “Io sono studente di lettere e mi duole di essere un vero ignorante nelle scienze. Vengo da lei, professore, per una questione di fede”. “Non è il mio forte” – risponde umilmente lo scienziato -; “comunque, sarei felice d’esservi utile”. “Mi dica professore, è possibile essere così grande e pregare ancora?”. Lo scienziato, un po’ stupito e con labbra tremanti di commozione, rispose: “Figliolo, io sono grande solo quando prego!”.

XXI Domenica del Tempo Ordinario
“Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio”. Con queste parole, l’antico popolo di Israele ratificava l’alleanza con Dio alla presenza di Giosuè. Il pericolo, presente allora come anche oggi per noi, è quello di servire il Signore più a parole che con la vita.
In una chiesetta di un villaggio in terra africana, durante la raccolta dei doni all’Offertorio, gli incaricati passavano con un largo vassoio di vimini. Nell’ultima fila di sedie della chiesa era seduto un ragazzino, che guardava con aria pensosa il paniere che passava di fila in fila. Quando vide che quasi tutti i fedeli mettevano nella cesta monete e persino banconote il ragazzino si allarmò. Si infilò le mani in tasca e le ritirò deluso: contenevano solo qualche granello di sabbia. “Io non ho proprio niente da offrire al Signore”, sospirò. Sempre più preoccupato, osservava con apprensione crescente la ragazza con il cesto sempre più vicina all’ultima fila. Il paniere arrivò davanti a lui. La gentile signorina gli sorrise. Allora, in mezzo allo stupore di tutti, il ragazzino si alzò e si sedette sul paniere, con aria soddisfatta come volesse dire: “E’ tutto quello che ho e lo dono al Signore”.
Questo bambino africano, con il suo semplice gesto, ci insegna che cosa significa servire il Signore.

XXII Domenica del Tempo Ordinario
La Chiesa pone sulle nostra labbra una bella invocazione: “Chi teme il Signore abiterà nella sua tenda”. E’ il ritornello del Salmo responsoriale. Il “santo timore” non si identifica con la paura; è piuttosto un profondo senso di Dio, ricco di misericordia, che pervade la vita.
Ascoltiamo questo episodio sapienziale: «Un giorno stavo parlando con uno studente nel mio studio e, sul cavalletto, avevo appena finito di dipingere un volto di Cristo di grandi dimensioni. Ho chiesto allo studente: ‘Secondo te, chi guarda Gesù?’ ‘Guarda me’. Poi gli ho detto di alzarsi, di continuare a guardare Gesù e, passo passo, lentamente, venire dalla mia parte. Gli ho chiesto di nuovo: ‘Adesso sei da solo, hai la testa piena di pensieri cattivi, violenti. E Gesù?’. ‘Mi guarda’, risponde. Al passo successivo gli dico: ‘Sei con i tuoi amici, ubriaco, di sabato sera. E Gesù?’. ‘Mi guarda’, risponde ancora. Ancora un altro passo e gli chiedo: ‘Ora sei con la tua fidanzata, e vivi la sessualità nel modo in cui hai parlato, che ti turba la memoria. E Gesù?’. ‘Mi guarda con una grande compassione’. ‘Ecco – gli dico – quando sentirai addosso in tutte le circostanze della tua vita questo sguardo compassionevole e misericordioso di Gesù, sarai una persona veramente spirituale, sarai di nuovo completamente integro’».

XXIII Domenica del Tempo Ordinario
La Colletta domenicale ci orienta al Padre, come a colui che ci ha donato il Salvatore e lo Spirito Santo. La preghiera ci accompagna mentre rimaniamo in ascolto del profeta Isaia, portavoce di speranza da parte di Dio presso gli smarriti di cuore: “Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua”.
Solo lo Spirito Santo inviato dal Salvatore può realizzare una tale novità in noi e nel nostro mondo. Invochiamolo, pertanto, con fiducia: “Chi sei tu, dolce luce, che mi riempie e rischiara l’oscurità del mio cuore? Tu mi guidi come mano materna e se mi abbandonassi non saprei fare più nessun passo. Tu sei lo spazio che circonda il mio essere e lo racchiude in sé. Da te lasciato, cadrebbe nell’abisso del nulla, dal quale tu l’hai elevato alla Luce. Tu, più vicino a me di me stessa, e più intimo del mio intimo, e tuttavia inafferrabile e incomprensibile che oltrepassi ogni nome: Spirito Santo, Amore eterno”.

XXIV Domenica del Tempo Ordinario
“Tu sei il Cristo”. In questa confessione dell’apostolo Pietro sta tutta la fede cristiana. Gesù è il centro e il cuore di questa fede. Tutto deriva e consegue dal rimanere conquistati da Cristo, iniziando a vivere di Lui, con Lui e per Lui. Sarebbe fuorviante se altri valori, pur importanti e belli, venissero a prendere il posto di Cristo o si ponessero sullo stesso piano. La fede è, anzitutto, adesione a Gesù Cristo.
Mettiamoci in ascolto della saggezza dei padri del deserto: “Un monaco ne incontra un altro e gli chiede: Perché dunque ce ne sono tanti che abbandonano la vita monastica? Perché dunque? E l’altro monaco risponde: La vita monastica è come un cane che insegue una lepre. Corre dietro alla lepre abbaiando; molti altri cani, sentendo il suo abbaiare, si uniscono a lui e corrono dietro alla lepre tutti insieme. Ma dopo un po’ tutti i cani che corrono senza vedere la lepre si chiedono: Ma dov’è che stiamo andando? Perché corriamo? Si stancano, si perdono e smettono di correre uno dopo l’altro. Solo i cani che vedono la lepre continuano a rincorrerla fino alla fine, fino a quando l’acchiappano”. Così è per la vita della fede: se i nostri occhi e il nostro cuore non sono fissi su Gesù, se Lui non è il nostro centro amato, desiderato, abbracciato, seguito con ardore.

XXV Domenica del Tempo Ordinario
Ascoltiamo dalla lettera di san Giacomo, apostolo: “La sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera”. Questa parola possa accompagnare la nostra Domenica e l’intera settimana e sia invito a vivere ogni relazione nella logica evangelica del perdono.
Racconta una storia ebraica: “Quando Dio decise di creare il mondo non riusciva a farlo stare in piedi. Non stava ritto, cadeva e ricadeva; una volta, due volte. Allora Dio, accanto al mondo, creò il perdono e il mondo stette ritto”. Il mondo, pertanto, si regge sulla realtà divina del perdono. Ecco perché sant’Agostino rivolgeva ai suoi cristiani questo invito: “Perdonati, perdoniamo!”.
Rimaniamo in ascolto del santo Vescovo di Ippona: “Ma dimmi un po’, quando perdoni di cuore, cosa perdi? Di cuore perdoni, ma niente perdi. Anzi, scaturiva dal tuo cuore una polla di carità. Non solo non ci perdi niente a perdonare, ma sei di più irrorato. La carità non restringe la vena. Ci metti sopra la pietra dell’offesa e così ti procuri angustie. E perdonando, invece, saresti tranquillo! Sai cosa devi fare? Mettiti a pregare. Debbo dirti: quando? Subito!”.

XXVI Domenica del Tempo Ordinario
“Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!”. Quella di an Giacomo è un’invettiva molto dura nei riguardi di coloro che, ricchi, perdono di vista il vero essenziale della vita, che è il Signore.
La descrizione dell’apostolo potrebbe riguardare da vicino tante realtà umane del nostro tempo, nelle quali si vive come se Dio non esistesse. In un tale contesto, forse solo la santità ha ancora la forza di parlare e muovere i cuori alla verità. Un celebre agiografo ha scritto: “I santi sono come un concerto di campane. Ogni campana ha il suo suono, ma solo tutte insieme danno vera ricchezza d’armonie. A codesta musica dell’eternità bisogna prestar orecchio, specie in tempi, in cui gli uomini sempre più palesemente si allontanano dal Vangelo. Vi sono epoche in cui discorsi e scritti non bastano più a rendere generalmente comprensibile la verità necessaria. In tempi simili le azioni e le sofferenze dei santi devono creare un nuovo alfabeto per svelare nuovamente il segreto della verità. Il presente è un tale tempo”.

XXVII Domenica del Tempo Ordinario
Ascoltiamo dalla Lettera agli Ebrei: “Fratelli, quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti”. Alla luce di questa parola, ci disponiamo davanti al Crocifisso glorioso per attingere la grazia scaturita dalle sue piaghe d’amore.
Quelle piaghe sono il segno della nostra miseria, perché sono l’esito del nostro peccato e del nostro sconsiderato rifiuto di Dio. Ma quelle piaghe sono anche l’espressione dell’infinita misericordia di Dio, del Suo amore fedele che sa trasformare in sorgente di salvezza ciò che sarebbe per noi motivo di condanna. Noi abbiamo consegnato alla morte il Signore, ma quella morte è divenuta la fonte della nostra vera vita. Le piaghe di Gesù rivelano il Suo volto e il Suo cuore. Impariamo a conoscere il Volto di Dio dalle piaghe del Signore! Impariamo a scoprire la bellezza del Cuore Dio dalle piaghe di Gesù! Proviamo a rimanere davanti al Crocifisso, guardiamo le Sue piaghe, poniamo le nostre mani su quelle piaghe, baciamole con le nostre labbra. E sarà come dire, con stupore e con gioia: Quanto sei bello, mio Signore e mio Dio!

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario
La parola che Gesù rivolge a un tale che gli corse incontro domandando che cosa fare per avere la vita eterna, ci accompagna: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”. Che cosa mancava a quel tale? Mancava il desiderio di mettere davvero in gioco la vita, di donarla senza alcun tornaconto, di frasi tramite del cuore di Gesù presso i propri fratelli.
Anche a noi, a volte, può venire a mancare quel desiderio. Ecco perché è importante pregare, come pregava santa Madre Teresa di Calcutta: “Signore, vuoi le mie mani per passare questa giornata aiutando i poveri e i malati che ne hanno bisogno? Signore, oggi ti offro le mie mani. Signore, vuoi i miei piedi per passare questa giornata visitando coloro che hanno bisogno di un amico? Signore, oggi ti offro i miei piedi. Signore, vuoi la mia voce per passare questa giornata parlando con quelli che hanno bisogno di parole d’amore? Signore, ti offro la mia voce. Signore, vuoi il mio cuore per passare questa giornata amando ogni uomo, solo perché è uomo? Signore, oggi ti offro il mio cuore”.

XXIX Domenica del Tempo Ordinario
Ascoltiamo la parola che il Signore rivolge ai suoi apostoli: “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”. La categoria evangelica del servizio rimane, in ogni tempo della Chiesa la carta d’identità del vero discepolo di Gesù, di colui che intende seguire il Maestro, che è venuto non per essere servito ma per servire. Quel divino servizio deve rivivere in me.
“Inizia un altro giorno. Gesù vuol viverlo in me. Ha camminato in mezzo agli uomini. Con me cammina tra gli uomini d’oggi. Incontrerà ciascuno di quelli che entreranno nella mia casa, ciascuno di quelli che incrocerò per la strada. Tutti saranno quelli che Egli è venuto a cercare. Ciascuno, colui che è venuto a salvare. Noi non possiamo esimerci d’essere, in ogni istante, gli inviati di Dio nel mondo. Gesù in noi, non cessa di essere inviato, durante questo giorno che inizia, a tutta l’umanità, del nostro tempo, di ogni tempo, della mia città e del mondo. Attraverso i fratelli più vicini ch’Egli ci farà servire, amare, salvare, le onde della sua carità giungeranno sino in capo al mondo, andranno sino alla fine dei tempi” (Madeleine Delbrel).

XXX Domenica del Tempo Ordinario
“Che cosa vuoi che io faccia per te?”. In questa domanda rivolta da Gesù al cieco di Gerico, troviamo la bellezza divina del cuore di Gesù, il buon Pastore, che non si stanca di cercare coloro che si sono perduti. Una partecipazione di tale bellezza deve risplendere nel cuore di goni pastore, come anche nel cuore di ogni cristiano.
Sant’Agostino, con la sua consueta chiarezza e vivacità, scrive: “Così vuoi smarrirti, così vuoi perderti? Ma io con tanta maggior forza non voglio questo. Te lo dico chiaramente: Voglio essere importuno. Sono proprio importuno e oso dirtelo: Tu vuoi smarrirti, tu vuoi perderti, io invece non voglio. Alla fin fine non vuole colui che mi incute timore. Devo forse avere più timore di te che di lui? ‘Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo’. Riporterò quindi la pecora dispersa, andrò in cerca di quella smarrita; che tu voglia o no, lo farò. Anche se nella mia ricerca sarò lacerato dai rovi della selva, mi caccerò nei luoghi più stretti, cercherò per tutte le siepi, percorrerò ogni luogo, finché mi sosterranno quelle forze che il timore di Dio mi infonde. Riporterò la pecora dispersa, andrò in cerca di quella smarrita. Se non vuoi il fastidio di dovermi sopportare, non sperderti, non smarrirti. E’ troppo poco se io mi contento di affliggermi nel vederti smarrita o sperduta”.

XXXI Domenica del Tempo Ordinario
La Colletta domenicale ci esorta a pregare così: “Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno”. E’ una preghiera che rivolgiamo al Signore anche dopo aver ascoltato la pagina del vangelo di san Marco, nella quale siamo ricondotti al cuore della Legge: l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Per vivere in modo lodevole e degno il grande comandamento dell’amore abbiamo bisogno dell’aiuto del Signore.
Alla grazia che il Signore ci accorda si accompagna la nostra generosa collaborazione. Un santo sacerdote romano, Gaspare del Bufalo, a chi voleva costringerlo ad aderire ad affermazioni contrarie alla fede e, quindi a vivere in contraddizione con il Vangelo del Signore, un giorno rispose: “Non devo, non posso, non voglio!”. Possa essere sempre questa la nostra risposta a tutti coloro che vorrebbero imporci modi di pensare, di giudicare, di comportarci in contraddizione con la volontà di Dio. Possa essere sempre questa la nostra risposta, quando il nostro cuore ribelle vorrebbe farci percorrere altre strade, rispetto all’unica via della Vita che trova splendida sintesi nel comandamento dell’amore.

XXXII Domenica del Tempo Ordinario
Ascoltiamo dal primo libro dei Re: “Elia le disse: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: ‘La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra’»”. La povera vedova di Sarepta accoglie con grande fede la parola che Dio le rivolge per mezzo del profeta. E’ di esempio per noi, che ci lasciamo interpellare dalla parola dei santi.
Ascoltiamo san Bonaventura: “Il discepolo di Cristo deve studiare le sacre Scritture come i bambini che apprendono a, b, c,… e dopo cominciano a sillabare, e poi a leggere, e più avanti a connettere il senso delle frasi”.
Dice santa Gertrude, in preghiera: “Ponimi innanzi adesso il tuo mirabile alfabeto… Insegnami ora per esperienza che cosa sia il glorioso Alfa del tuo bell’Amore. Non mi nascondere il fruttuoso Beta della tua regale sapienza. Mostrami accuratamente… le singole lettere della tua carità, onde io, con l’occhio purificato dalla verità, penetri fino nelle tue delizie più nascoste, e scruti, studi, impari, sappia e conosca, in quanto è possibile in questa vita, i caratteri del celeste alfabeto”.

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario
“Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”.
Le parole di Gesù sono un invito alla vigilanza e all’attesa.
Ma perché è necessario vigilare? E chi o che cosa attendiamo? Il desiderio di una meta al di là di questo mondo è nascosto nel cuore di ogni uomo, che lo riconosca oppure no. Si pensi, ad esempio, allo scrittore Cesare Pavese: “Qual mare giaccia al di là di questo mondo non so, ma ogni mare ha un’altra riva, e arriverò”.
La risposta della fede è chiara: noi attendiamo il ritorno del Signore e, con Lui, l’eternità beata. Per questo siamo vigilanti e ci prepariamo. Una bella pagina di sant’Efrem ci aiuta a meditare sia sulla modalità della vigilanza, sia sulla realtà della vita eterna. “Secondo quanto ciascuno quaggiù avrà purificato l’occhio, sarà in grado di vedere la gloria di Colui che è più grande di tutti. Secondo quanto ciascuno quaggiù avrà aperto l’orecchio, sarà all’altezza della sua sapienza. Secondo quanto ciascuno quaggiù si sarà fatto un grembo, sarà in grado di prendere dai suoi tesori. La visione del tuo Beneamato è la fonte della soavità, e colui che sarà degno di esservi rapito di gioia disprezzerà il cibo, poiché chiunque ti contemplerà, si impinguerà della tua bellezza. Lodi alla tua bellezza!”.

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
“Dio onnipotente ed eterno che hai voluto rinnovare tutte le cose in Cristo, tuo figlio, Re dell’universo”. Anzitutto, contempliamo. Gesù risorto da morte è il Re dell’universo. Tutto trova consistenza e significato in Lui. Questa è già una realtà del tempo presente, anche se riconosciuta nel chiaroscuro della fede. Un giorno questa realtà si rivelerà in tutto il suo splendore.
Ora, preghiamo. Nel Padre nostro ogni giorno ripetiamo: “Venga il tuo Regno”. Chiediamo che il Regno di Dio si espanda sempre di più nel nostro mondo; quel Regno che, a dire della preghiera della Chiesa, è: “regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”. Chiediamo anche che presto quel Regno divenga tutto in tutti, quando il Signore tornerà nella gloria.
Infine, rinnoviamo l’impegno. Ascoltiamo san Bernardo: “Ricordiamo che il regno di Dio non può accordarsi con il regno del peccato. Se vogliamo quindi che Dio regni in noi, in nessun modo regni il peccato nel nostro corpo mortale. Mortifichiamo le nostre membra che appartengono alla terra. Facciamo frutti nello Spirito, perché Dio possa dimorare in noi come in un paradiso spirituale. Regni in noi solo Dio Padre col suo Cristo”.