Domeniche – Solennità – Proprio dei Santi
Introduzioni alle celebrazioni di Francesco, Benedetto XVI, Giovanni Paolo II e Paolo VI
Libreria Editrice Vaticana
Introduzione al Triduo Pasquale
Scrive sant’Agostino: “Noi di nostro non avevamo di che vivere, lui di suo non aveva di che morire; fece allora con noi un mirabile commercio di scambio: quello con cui morì era nostro, quello per cui vivremo sarà suo” (Discorso 218/C). Le parole del grande Vescovo di Ippona introducono in modo molto efficace alla celebrazione del Triduo Pasquale, culmine della Settimana Santa e di tutto l’anno liturgico. In quei tre giorni, infatti, richiamando ancora una celebre espressione di Agostino: “Dio fece sua la nostra morte e nostra la sua vita” (Discorso Guelf. 3).
Quel “mirabile commercio”, opera dell’amore di Dio che conduce alla salvezza un’umanità perduta, si rinnova in tutta la sua forza di attrazione nelle celebrazioni liturgiche che hanno inizio con il Giovedì Santo.
E’ il giorno dell’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio. Si fa infatti memoria del momento in cui il Signore Gesù consegnò alla Chiesa il dono del Suo sacrificio, l’offerta di Sé al Padre e la consegna di Sé a noi nel segno sacramentale del pane e del vino. Giustamente san Tommaso d’Aquino afferma che l’Eucaristia è “la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini” (Opuscolo 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4).
Di un tale amore partecipa il sacerdozio, istituito da Gesù perché il dono inestimabile di quel momento potesse perpetuarsi in ogni tempo della storia e accompagnare fino all’ultimo giorno il cammino della Chiesa nel mondo. In tal senso, il rito suggestivo della lavanda dei piedi è anzitutto il segno di questo mirabile amore, un gesto eloquentemente eucaristico: Dio per noi si fa uomo, e poi si fa servo, e ancora si fa crocifisso entrando nell’oscurità della morte per donare, risorto, la vera vita. E si fa pane e vino perché il Suo corpo dato e il Suo sangue sparso possano essere nutrimento per il cammino da questo mondo che passa a ciò che non passa nell’eternità del regno dei cieli.
Il Venerdì Santo è il giorno della Croce dalla quale pende Gesù, sfigurato nel volto e nel corpo, trafitto al cuore dalla lancia. La contemplazione del Crocifisso, insieme alla memoria della Passione, introduce all’esperienza del dramma che è il peccato dell’uomo e alla consolazione che deriva dall’incontro con la misericordia infinita che sgorga dal Cuore del Salvatore. Egli è crocifisso a motivo del nostro peccato. Egli, però, è anche crocifisso a motivo della Sua misericordia. Gesù è appeso ai chiodi della croce, perché tanto può il peccato del mondo. Gesù, però, è anche appeso ai chiodi della croce perché tanto grande è la forza del perdono di Dio.
Davanti al Crocifisso si ascolta con una nuova capacità di comprensione l’antica parola del salmista: “Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate” (Salmo 42, 8). Sangue e acqua che fuoriescono dal costato trafitto del Signore sono quelle cascate al cui fragore l’abisso del peccato degli uomini chiama e invoca l’abisso dell’amore di Dio. E dall’incontro di quei due abissi risulta per sempre vittorioso l’abisso dell’amore di Dio.
Il Sabato Santo è il giorno del grande silenzio che prelude al canto solenne della Pasqua di Risurrezione. Ed è il giorno che introduce alla grande Veglia pasquale. Scrive al riguardo san Cromazio di Aquileia: “A buon diritto questa notte è chiamata ‘veglia del Signore’; egli infatti vegliò in vita, affinché noi non ci addormentassimo nella morte. Nel mistero della passione, egli si sottopose per noi al sonno della morte, ma quel sonno del Signore è divenuto la veglia di tutto il mondo, poiché la morte di Cristo ha scacciato da noi il sonno della morte eterna… Certo, quel sonno di Cristo è diventato dolce perché ci ha richiamati dall’amara morte alla dolce vita. Questa notte, infine, è detta ‘veglia del Signore’, perché egli vegliò anche nel suo stesso dormire della morte… Nel sonno della sua morte, infatti, egli dormì secondo la carne, ma con la sua divinità perlustrava gli inferi, per strappare l’uomo che vi era tenuto prigioniero. Il nostro Signore e Salvatore volle visitare ogni luogo per avere pietà di tutti… E’ giusto dunque che sia chiamata ‘veglia del Signore’ questa notte in cui egli ha illuminato non solo questo mondo, ma anche coloro che erano tra i morti” (Sermone XVI per la grande notte).
La Domenica di Pasqua è il giorno della Risurrezione annunciata nella gioia esultante dell’alleluia, anticipazione dell’alleluia senza fine che è il canto eterno di tutti i santi al cospetto della gloria di Dio.
Pasqua è la celebrazione della gioia senza tramonto, è la memoria liturgica della vittoria definitiva su male, sul peccato e sulla morte, è l’annuncio dell’amore di Dio quale ultima e definitiva parola sulle vicende del mondo e della storia, è la proclamazione della speranza che illumina davvero la vita. “Il Signore è veramente risorto”, canta la Chiesa in questo giorno, che è il primo dell’esistenza nuova nella grazia a noi donata in Cristo Risorto. E’ il canto meravigliato che attraversa i tempi e dona significato ai giorni degli uomini. “Quanta gioia, fratelli! Gioia nel trovarvi riuniti insieme; gioia nel cantare i salmi e gli inni; gioia nel ricordo della passione e della risurrezione di Cristo; gioia nella speranza della vita futura. Se tanta letizia dà la semplice speranza, che sarà il possesso?” (Sant’Agostino, Discorso 219).