Domeniche – Solennità – Proprio dei Santi
Introduzioni alle celebrazioni di Francesco, Benedetto XVI, Giovanni Paolo II e Paolo VI
Libreria Editrice Vaticana
Introduzione al Natale
Si dice, in parte giustamente, che è difficile pensare al Natale senza la composizione musicale natalizia “Tu scendi dalle stelle”, di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, tanto essa è entrata nel comune sentire della gente. Lo stesso Giuseppe Verdi, dopo la veglia natalizia del 1890, nel palazzo Doria a Genova, riconobbe che senza questa pastorale del Natale non sarebbe sembrato Natale (cf Théodule Rey-Mermet, Il santo del secolo dei lumi, Città Nuova, p. 789).
Una tale affermazione potrebbe essere presa in considerazione solo in ragione della poesia natalizia che quel canto popolare è capace di trasmettere. In verità vi è qualche cosa di più. E questo qualcosa di più è presente nello stesso titolo “Tu scendi dalle stelle”. Sappiamo, infatti, che la storia umana è tutta segnata da una ricerca appassionata di Dio. Non vi è un tempo nel quale i popoli non abbiamo tentato di accedere alla dimensione del divino per trovarvi salvezza e dare senso pieno alla loro esistenza. Di conseguenza, molteplici sono le vie che l’umanità ha percorso per innalzarsi dalla terra al cielo.
Proprio qui si inserisce la bellezza del canto di sant’Alfonso che, in forma semplice e immediata, comunica una verità decisiva della fede. E’ vero: “Tu scendi dalle stelle”. Dio è sceso dal Suo cielo per venire ad abitare la terra degli uomini. Dio ha rivelato se stesso in Cristo, definendo una volta per tutte la via della salvezza e della pienezza di senso della vita. Ecco perché nel Bambino di Betlemme noi contempliamo il volto del vero e unico Salvatore del mondo. In Lui, Verbo fatto carne, non è più l’uomo che si pone a tentoni alle ricerca di Dio, ma è Dio stesso che viene alla ricerca dell’uomo, si fa trovare e gli rivela la strada della vera Vita.
Afferma san Giovanni della Croce: “Dio dandoci tutto, cioè suo Figlio, ha detto ormai in Lui tutto. Fissa gli occhi su Lui solo… e vi troverai anche più di quanto chiedi e desideri” (Salita del monte Carmelo, Libro I, Ep. 22, 4-5).
Natale, pertanto, è il tempo liturgico nel quale rimanere a fissare il Bambino Gesù, nella gioia della salvezza che in Lui ci è stata donata. Si pensi alla tradizione del presepe e al noto personaggio che ritroviamo davanti alla grotta, in atteggiamento orante, inginocchiato e con lo sguardo rivolto al cielo ricolmo di meraviglia. La tradizione cristiana ha chiamato questo personaggio “incantato”. Incantato proprio a motivo del fatto che nella sua ricerca di Dio si è trovato cercato da Dio, nel suo andare verso la grotta di Betlemme ha capito che quella grotta, con tutto il suo mistero di amore, è venuta a lui ed è entrata nella sua vita quale rifugio sicuro e accogliente.
A Natale, dunque, ci è dato di capire che cosa significa affermare che “tutto è grazia” e che la buona notizia del Vangelo non consiste anzitutto nella trasmissione di nuove leggi di comportamento, di uno stile ideale di vita cui conformarsi, di un insieme di nobilissimi doveri cui ottemperare. No. La buona notizia del Vangelo significa anzitutto “grazia”, ovvero la comunicazione gioiosa fatta all’uomo che una vita nuova gli è stata donata, che il peccato e la morte sono stati sconfitti, che d’ora in avanti a motivo di Cristo gli è possibile vivere la vita nuova del figlio di Dio, che senza suo merito e solo per amore gli è stata aperta la porta dell’eternità. Quel Bambino a Betlemme non è venuto a dire: “Voi dovete”, caricando di un nuovo e insopportabile peso l’esistenza. E’ venuto ad annunciare anzitutto: “Voi potete”, liberando l’esistenza dalla schiavitù del male. Ecco la grazia del Natale!
Scrive san John Henry Newman: “Egli ci ha salvato non per le nostre opere di giustizia, ma per la sua misericordia. Ci viene ricordato che noi non possiamo fare nulla, e che Dio fa tutto. Questo è il tempo privilegiato della grazia. Possiamo vedere e sperimentare le misericordie di Dio. Siamo davanti al Signore come quei poveri esseri impotenti che, durante il suo ministero, gli venivano portati su letti e barelle perché li guarisse. Andiamo a Lui per essere sanati” (Gesù. Pagine scelte, Edizioni Paoline, p. 95).
Grazia e gioia sono, pertanto, le note spirituali più tipiche del tempo liturgico del Natale. La grazia della salvezza è il fondamento della gioia. E la gioia scaturisce dall’esperienza della salvezza ricevuta in dono. Grazia e gioia risplendono sul volto del bambino di Betlemme, perché il Dio di Gesù Cristo si rivela Signore della grazia e della gioia, vero amico dell’uomo, di ogni uomo.
Scrive R. H. Benson: “Mi avevano parlato molto di lui, ma io non ci avevo badato. Mi mandava i suoi doni ogni giorno, ma io non lo ringraziavo. Pareva, spesso, che egli cercasse la mia amicizia, ma io rimanevo freddo. Ero senza casa: miserabile, affamato e in pericolo a tutte le ore. Egli mi offerse un rifugio, il conforto, il cibo e la salvezza… Lasciate che vi dica come mi tratta ora. Soddisfa ogni mio bisogno. Mi dà più di quel che oso chiedere. Previene ogni mia necessità. Mi prega perché gli chieda di più. Non mi rammenta mai la mia passata ingratitudine. Non mi rinfaccia mai le follie di un tempo. Lasciate che vi dica ancora che cosa penso io di lui. E’ buono quanto è grande. Il suo amore è ardente e sincero. E’ così liberale nelle sue promesse quanto è fedele nell’adempierle. E’ geloso del mio amore quanto ne è degno. In tutto gli sono debitore, ma egli mi comanda di chiamarlo Amico” (L’amicizia di Cristo, Jaca Book).