Certamente, tutti noi che siamo qui ricordiamo bene la celebre espressione usata da sant’Agostino in uno dei suoi discorsi, quei grandi discorsi che rivolgeva al suo popolo e alla sua gente. La celebre espressione è la seguente: “Canta e cammina”. Aldilà della bellezza immediata che noi ritroviamo in questa espressione, che significato ha, che cosa vuol dire “canta e cammina”? Il camminare è, semplicemente, un camminare esteriore? Il camminare di cui parla Agostino è, semplicemente, un camminare fisico? No! Agostino indica qualcosa di molto più grande, di molto più bello, di molto più profondo, perché il camminare per Agostino, quando è legato al canto, significa un camminare interiore, un camminare del cuore.
“Canta e cammina” col cuore. Chi canta non può che camminare con il cuore. E, oggi, rimanendo in ascolto attento della parola del Signore, proviamo a pensare che cosa significa concretamente per noi unire il canto al cammino, fare in modo che il nostro cantare liturgico sia anche un vero camminare del cuore.
Abbiamo ascoltato nella prima lettura, dal Libro delle Cronache, un popolo, quello di Israele, che a un certo punto tradisce il Signore e comincia a venerare pali sacri e idoli. Il Signore non è più al primo posto, diventa uno fra i molti, uno fra i tanti. È in atto un gravissimo tradimento, un tradimento dell’amore, un tradimento del primato di Dio che è trattato come altri idoli, come altre divinità, come i pali sacri.
Il canto liturgico è per noi, sempre, un cammino del cuore perché ci consente di non cadere in questa trappola: la trappola dell’idolatria. Trappola che per noi non sarà caratterizzata da pali sacri, ma da un cuore che è diviso, da un cuore che non avverte più la centralità di Dio nella vita, da un cuore che mette il Signore sullo stesso piano di tante altre cose, che finiscono per soffocare la presenza di Dio, l’amore di Dio, la bellezza di una vita che si ispira, sempre, alla sua parola e al suo amore.
“Canta e cammina”, dunque. E, mentre canti, cammina col cuore; mentre canti, rinnova il primato di Dio; mentre canti, metti a tacere gli idoli, che tu solo conosci, perché non prendano il posto del Signore, perché non si mettano sullo stesso piano, perché non ti facciano smarrire il cuore, il centro, il senso della vita che è Lui, il tuo Signore.
“Canta e cammina”: se il canto non fosse questo cammino del cuore, che ci fa recuperare, sempre, la bellezza della centralità del Signore e il suo primato nella nostra vita, il nostro non sarebbe un canto vero, sarebbe solo un canto superficiale, che appare – sì – sulle nostre labbra, ma che non scende in profondità e che non lascia il segno nella vita. E il canto liturgico o lascia il segno nella vita o non è! È importante che ce lo ricordiamo!
Abbiamo ripetuto, cantando: «La bontà del Signore dura per sempre».
“Canta e cammina”. Che cosa significa? Che nella misura in cui cantiamo, noi rinnoviamo l’esperienza della bontà di Dio. Sì! Rinnoviamo l’esperienza della bontà di Dio, perché musica e parole, nel nostro canto liturgico, ci portano dentro alla bellezza della bontà di Dio, la bellezza del suo amore per noi, la bellezza del suo volto, la bellezza di una misericordia che non si stanca mai della nostra povertà, delle nostre cadute, del nostro peccato. La bontà del Signore – è vero – dura in eterno, dura per sempre e ogni volta che cantiamo, mettiamo a tacere un’altra voce, che ci vuole distrarre dalla bontà di Dio, che vuole metterla in discussione questa bontà. Che ci fa dubitare dell’amore del Signore per noi e della sua misericordia senza limiti.
“Canta e cammina”, canta e cammina col cuore, per ritornare sempre, ogni volta, nell’esperienza esaltante dell’amore del Signore per te.
Se il nostro canto liturgico non fosse l’incontro con la bontà del Signore che dura per sempre, non fosse rivolto all’esperienza rinnovata dell’amore di Dio che ci tocca il cuore, che ci trasforma, che ci rende gioiosi e contenti, grati di quest’amore che ci avvolge, il nostro canto sarebbe soltanto qualcosa delle labbra ma non del cuore. E, dunque, in realtà, non sarebbe!
Abbiamo ancora ascoltato nella pagina del Vangelo: «Non preoccupatevi per la vostra vita». È Gesù che vuole convincere ciascuno di noi, con la potenza dolcissima della sua parola, che siamo custoditi da Dio, che la nostra vita è dentro un disegno di provvidenza, che se siamo davvero discepoli di Lui non abbiamo nulla da temere e di cui preoccuparci, perché c’è qualcuno che si preoccupa per noi, più di quanto possiamo preoccuparci noi di noi stessi. Tanto quanto ci preoccupiamo di noi e della nostra vita e, altrettanto, impediamo al Signore di prendersi Lui cura di noi. Ed è per questo che viviamo nel timore, nella paura, nell’angoscia. Tanto quanto, invece, davvero, non ci preoccupiamo della nostra vita, perché crediamo alla provvidenza del Signore, allora sperimentiamo la dolcezza della cura che il Signore ha per ciascuno di noi.
“Canta e cammina!” Canta e sperimenta la bellezza di essere, nel significato più profondo, “spensierato”, perché è il Signore che pensa a te, perché è il Signore che si occupa di te, perché è il Signore che prende in mano la tua vita.
“Canta e cammina” con il cuore per sperimentare la bellezza di essere spensierato a motivo di Dio e della sua provvidenza. Se il nostro cantare non fosse, ogni volta, una vera immersione nella misericordia di Dio che ci rende spensierati, sarebbe un canto solo delle labbra e non un canto del cuore; e non sarebbe un canto liturgico vero!
Poco tempo fa il Santo Padre ha incontrato tante corali nell’Aula “Paolo VI”, per il consueto raduno internazionale e ha rivolto loro un discorso bello, nel quale ha ricordato, tra l’altro, la dimensione della comunione nel servizio del canto liturgico. Il Papa sottolineava come il canto corale, proprio in sé stesso, è un canto che parla di comunione, parla di armonia, parla di un insieme di voci, d’intenti. È così! Nella diversità degli apporti, c’è un’unità profonda che rende le molte voci come un’unica voce. Però – lo capiamo – questa comunione visibile, udibile, esterna, a motivo delle voci che si uniscono in armonia, è segno di un’altra comunione, quella dei cuori, quella delle vite, quella profonda, che ci unisce davvero. E il canto liturgico è quel canto nel quale noi viviamo l’esperienza di una comunione, che non è semplicemente umana, ma che è da Dio e che davvero ci fa sentire un corpo solo, un’anima sola. Se non fosse così il nostro canto non sarebbe un vero canto liturgico.
“Canta e cammina”. Canta e, interiormente, cresci nella comunione; interiormente, cresci nell’avvertire che sei parte di un corpo solo. Canta e, interiormente, cresci nel desiderio di cementare la realtà della famiglia di Dio, nella quale davvero ci si vuole bene e ci si ama.
“Canta e cammina”. Canta e cammina col cuore! Canta e, ogni volta, rivivi il primato di Dio, la bontà del Signore che dura in eterno, la bellezza di essere spensierato nella certezza della provvidenza del Signore, lo splendore della comunione e dell’essere un cuor solo e un’anima sola. Tutto questo riguarda, forse, solo noi che cantiamo? No! Perché il servizio splendido, tipico di ogni corale è quello di coinvolgere tutta l’assemblea in questa esperienza, è quello di coinvolgere tutti nel canto e, dunque, nel cammino del cuore. Se una corale non è in grado di rendere un’assemblea partecipe di questo percorso interiore nel primato di Dio, nell’esperienza della sua bontà, nella bellezza della sua provvidenza, nella gioia della comunione, non ha svolto il suo compito, il suo servizio. Ed è così bello! Pensatevi, corali diocesane, al servizio di questo: di questo cammino del cuore delle vostre assemblee, di questo cammino del cuore di coloro che con voi si uniscono per cantare inni a Dio. Ripartiamo da qui, continuando il nostro percorso.
“Canta e cammina”: che questa parola così semplice porti con sé, nel nostro cuore, nel nostro impegno quotidiano di cantori, ciò che anche significa. “Canta e cammina col cuore”. Cantate e camminate col cuore; cantiamo e camminiamo col cuore, perché ogni nostra assemblea possa cantare e camminare col cuore.
Trascrizione da registrazione audio