Audio dell’omelia “nella Passione del Signore”

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Audio dell’omelia “nella Passione del Signore”

Audio dell’omelia di S. Ecc.za Mons. Guido Marini pronunciata questa sera per l’Azione liturgica “nella Passione del Signore”

 

In questo giorno, che è giorno di grande raccoglimento e giorno di silenzio, forse, sarebbe davvero più opportuno rimanere lungamente in silenzio, dopo aver ascoltato il racconto della Passione. È un racconto dal quale si sprigiona una musica. In questo giorno non suoniamo strumenti e la musica tace: perché la musica è dentro il racconto della Passione ed è una musica di Cielo, perché è la musica dell’amore infinito di Dio per noi.

Dovremmo, forse, sostare in silenzio, per ascoltare nel silenzio le note celesti di questa musica celeste, le note dell’amore di questa musica di amore, suonata direttamente da Dio per noi, suonata direttamente da Dio per me, per ciascuno. Egli, il grande compositore del vero amore, suona per noi la musica dell’amore, perché la possiamo ascoltare, perché la possiamo gustare, perché la possiamo assimilare, perché da questa musica possiamo essere conquistati e trasformati. Eppure, qualcosa è importante anche dire. Ma è importante nella misura in cui, seppure balbettando, nelle parole che diciamo risuona qualche nota di questa musica celeste dell’amore di Dio.

C’è una melodia iniziale, ed è quella che ascoltiamo nel momento in cui fissiamo lo sguardo su quell’incontro straordinario tra Gesù, ormai arrestato, e Pietro, nell’atto di compiere il tradimento. Si incrociano gli occhi: Pietro ha rinnegato Gesù per tre volte, ha affermato di non averlo mai conosciuto. Gesù lo guarda, i loro sguardi si incrociano e Pietro vede in quegli occhi, del suo Maestro e Signore, il cuore stesso di Dio; ed è così che egli piange di un pianto di amarezza ma anche di un pianto di dolcezza, perché in quegli occhi trova, con meraviglia, un amore di misericordia che è molto più grande di ogni sua miseria.

Gli occhi di Pietro questa sera sono i nostri! E come dovremmo sperimentare la gioia, la meraviglia di incrociare con i nostri occhi gli occhi di Gesù, e di vedere in quegli occhi l’abisso di amore del cuore del Signore che è per noi, è tutto per noi, batte per noi!

Ci sia data la grazia di poter vivere questo incrocio di sguardi nel quale contemplare la grandezza del cuore del Signore, l’abisso infinito dell’amore che Egli ha, non solo per noi ma anche per ciascuno, per me. A questa melodia iniziale del nostro balbettare la musica celeste dell’amore di Dio, fanno seguito quattro note: sono altrettante parole che Gesù pronuncia durante la sua Passione.

La prima nota. Egli si trova davanti al sommo sacerdote; una guardia, a un certo punto, lo percuote, lo schiaffeggia. Ed ecco la parola di Gesù: «Perché mi percuoti?». Perché? Che cosa ti ho fatto? La domanda di Gesù rimane senza risposta; e in questo dialogo tra Gesù e la guardia noi siamo chiamati a leggere la nostra vita. Quante volte lo abbiamo percosso! Quante volte lo percuotiamo! E, per essere sinceri – possiamo dirlo fin da adesso – quante volte lo percuoteremo! Con il nostro peccato, con la nostra povertà con i nostri tradimenti, con la nostra indifferenza, con il nostro poco amore, con il nostro dimenticarci di Lui, con il nostro vivere come se Lui non ci fosse o non avesse a che fare con la nostra vita. Quante percosse! Eppure, a ogni nostra percossa fa eco la domanda di Gesù: «Perché mi percuoti? Perché mi percuoti?». E, allora, si apre davanti a noi la realtà di un dramma, che è il nostro dramma. Abbiamo bisogno dell’amore del Signore e lo rifiutiamo. Siamo perduti senza l’amore del Signore eppure questo Signore lo percuotiamo. Non possiamo vivere senza essere amati dal Signore, eppure lo schiaffeggiamo.

Tutto questo non ci muove il cuore? Tutto questo non ci tocca in profondità? Tutto questo non ci riempie di commozione? «Perché mi percuoti?» Questa parola possa risuonare nell’intimità di ciascuno, in un modo dolcissimo; ma grazie a questa dolcezza possa ferirci, muovendo il cuore verso il Signore, in un modo nuovo.

La seconda nota. Gesù parla con Pilato. A un certo punto il governatore domanda: «Dunque, tu sei il re?», e Gesù risponde: «Tu lo dici! Io sono re!». Io sono re della croce. Io sono re in quanto crocifisso. Io sono re di amore. Io sono re nell’amore!

Questo che cosa significa? Che il mondo, la storia, l’umanità, le nostre vite sono in mano Sua che è il nostro re. Un re che ci ama, un re che ci conduce attraverso la vita mediante un amore infinito; un re che non perde mai di vista il nostro cammino; un re che, con amore, si insinua nelle pieghe di ogni nostra giornata; un re che disegna nell’amore ogni passo della nostra vita; un re che lascia traccia di amore in tutto, anche quando non ce ne accorgiamo e anche quando ci sembra che tante cose dicano altro. Egli è il re crocifisso, il nostro re nell’amore, che, per noi, pensa solo una storia di amore.

Anche questa parola possa risuonare nel nostro cuore: «Tu lo dici! Io sono re!» e possa suonare come una nota di musica celeste che ci faccia tornare alla vita con una consapevolezza rinnovata, gioiosa, serena, pacificata, per cui crediamo davvero che tutto è in mano sua e, dunque, tutto è in mano dell’amore, tutto porta il segno dell’amore. «Tu lo dici! Io sono re!».

La terza nota. Gesù ormai è crocifisso, pende dalla croce e sotto la croce vi sono Giovanni, il discepolo amato, e Maria, la madre. A un certo punto si rivolge a entrambi, e a Giovanni dice: «Figlio, ecco tua madre!». Tanti, certo, sono i significati di questa parola, ma ce n’è uno che vogliamo questa sera ricordare: Gesù dalla croce affida Giovanni e tutti noi alla maternità della Chiesa. La Chiesa è una realtà che è uscita dal cuore di Gesù innamorato di noi; la Chiesa è un’invenzione della fantasia dell’amore del Signore per noi; la Chiesa è il modo divino, attraverso cui il Signore ha pensato di essere con noi sempre, in ogni tempo, nel cammino della storia, per non abbandonarci mai, fino alla fine del mondo: perché noi lì, nella Chiesa, potessimo incontrarlo vivo e parlargli, potessimo incontrarlo vivo nella sua presenza eucaristica, sacramentale, potessimo sperimentare l’onnipotenza di Lui risorto, presente in mezzo a noi. Questa è la Madre Chiesa che, dalla croce, Gesù ci lascia in dono.

«Ecco tua madre!»: anche questa parola è detta a noi, a ciascuno, a me, con quella dolcezza di Gesù ormai morente. «Ecco tua madre!»: questa parola risuoni ogni qualvolta abbiamo la tentazione di fare a meno della Chiesa, di parlarne male, di prenderne le distanze, di sottolineare con cattiveria le debolezze.

 

La quarta nota. Gesù sta per emettere l’ultimo respiro e dice dalla croce: «Ho sete!». Ho sete! ma questa, in realtà, non è la sua, è la sete che Egli aveva e ha della nostra sete, è la sete che Egli ha perché noi lo desideriamo, è la sete che Egli ha perché noi lo amiamo; è la sete che Egli ha perché noi andiamo a Lui, non perché Lui ne abbia bisogno, ma perché ne abbiamo bisogno noi. È la sete che ci ricorda che le nostre seti sono sempre male indirizzate, se non sono rivolte a Lui; è la sete che ci ricorda che ogni nostra sete, che non è sete di Lui, è una sete illusoria che non potrà mai essere dissetata. Ci ricorda che l’unica vera sete che è dentro ogni nostra sete apparente è la sete di Lui.

«Ho sete!» Lo dice a noi, a me, a ciascuno, perché possiamo accorgerci che l’unica vera sete è la sete del suo amore, della sua salvezza, della sua parola, della sua presenza. È la sete di Lui! «Ho sete!»: possa anche questa parola risuonare nel nostro cuore.

 

Ecco le quattro note della musica celeste dell’amore di Dio che sono come il preludio alla melodia conclusiva: “Gesù, chinato il capo, consegnò lo spirito”. Dove lo ha chinato il capo Gesù? Lo ha chinato sul cuore del Padre a cui ritornava, ma lo ha chinato anche sul cuore del mondo, sul cuore dell’umanità, sul cuore di ciascuno di noi, sul nostro cuore, consegnando lo spirito, il suo spirito, ovvero consegnando tutto sé stesso a noi. Tutto sé stesso a noi! È Dio che si dà tutto a noi e per noi china il capo sul nostro cuore e consegna lo spirito, la sua vita divina perché divenga nostra, il suo cuore perché divenga nostro, tutto sé stesso perché possiamo diventare Lui.

 

Una melodia iniziale: quell’incontro di sguardi tra Pietro e Gesù. Le quattro note: «Perché mi percuoti?», «Tu lo dici! Io sono re!», «Ecco tua madre!», «Ho sete!». La melodia conclusiva: il capo che si china e lo spirito che viene a noi donato. Questa è la musica eterna, infinita, dolcissima dell’amore di Dio per noi che risuona in questa splendida serata, in particolare nel racconto della Passione, ma anche in tutta la liturgia che stiamo vivendo.

In un suo discorso bellissimo, san Paolo VI, parlando a Manila nelle Filippine a una folla sterminata, dopo aver ripresentato Gesù con appellativi commoventi, che sgorgavano dal suo cuore pieno di amore per il Signore, a un certo punto, disse: «Io non finirei mai di parlare di Lui!». Non finirei mai di parlare di Lui! Questo dovrebbe essere ciò che avvertiamo questa sera nel nostro cuore; avvertendo questo non soltanto per noi ma anche in rapporto al mondo che è fuori. «Io non finirei mai di parlare di Lui!»: perché da Lui siamo stati conquistati, e vogliamo stare con Lui, lo vogliamo seguire, lo vogliamo amare, vogliamo donargli la vita. «Non finirei mai di parlare di Lui!»: perché abbiamo il desiderio di uscire e di dirlo anche agli altri, di partecipare a tutti la sua bellezza, il suo amore.

 

C’è una grande conversione a cui siamo chiamati oggi, in un modo particolare: consegnarci a questa verità sublime: Gesù è buono! Gesù è buono! Non sempre stiamo in relazione con Lui nella consapevolezza che Egli è buono. Per questo la nostra conversione, oggi, è credere davvero che il Signore è buono, facendo della nostra vita cristiana non un dovere di cose da fare, un insieme di compiti da dover realizzare, un cammino faticoso per raggiungere una meta; ma, nella gioia e nel canto di questo amore che è entrato nel cuore, una risposta innamorata, una risposta di amore nella gratitudine, nella gioia e nella meraviglia del cuore.

Come dovremmo alzarci da qui, questa sera, diversi! Non più come quei cristiani che vivono nella forma di un dovere e di un compito la loro sequela di Gesù; ma come quei cristiani conquistati dalla bellezza di Gesù, dal suo amore infinito, a motivo del quale un canto di amore risuona nel loro cuore e la loro vita è tutta un canto di amore, per la loro gioia e per la gioia del mondo, per la gioia di tutti! Risuoni, davvero, oggi, questa parola: il Signore è buono! E questo canto di amore renda canto la nostra vita con Lui.