Omelia – S. Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore

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Omelia – S. Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore

Omelia – S. Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore

Tortona. Santuario Madonna della Guardia

  

È sempre particolarmente suggestivo un momento delle nostre celebrazioni liturgiche: quando viviamo la processione iniziale. Forse, a volte, non consideriamo il senso e il simbolismo che è presente in questa processione e la viviamo, semplicemente, come uno spostamento dei ministri, che dalla sacrestia si trasferiscono in presbiterio. In realtà, il senso e il simbolo, molto ricco, che vi è nella processione è un altro: quella processione indica e richiama l’ingresso del Signore in mezzo al suo popolo. In qualche modo, ogni volta che iniziamo una celebrazione eucaristica, riviviamo, attraverso la processione iniziale, il mistero del Natale, il mistero del Verbo, che si fa carne, di Dio che si fa uomo e viene ad abitare in mezzo a noi.

Ed è per questo che a me piace molto quando chi entra, processionalmente, benedice, saluta e sorride, mentre il popolo che accoglie la processione, a sua volta, saluta e sorride: è un richiamo bello della gioia che il Signore prova, entrando in mezzo ai suoi e della gioia che i suoi provano, accogliendo il Signore, che viene a visitarli. È la gioia del Natale, ogni volta, che noi riviviamo, in quel momento della celebrazione eucaristica, la gioia dell’incontro del Signore, che è felice di entrare in mezzo ai suoi e del suo popolo, che è felice di accoglierlo e d’incontrarlo. Questa gioia, che è tipicamente natalizia, la viviamo in questo momento; e la prolunghiamo in virtù della pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato, perché anche in questa pagina il Signore è venuto in mezzo a noi a visitarci nella gioia e noi, nella gioia, lo abbiamo accolto e lo accogliamo.

 

Consideriamo che cosa ci ha raccontato la pagina evangelica, in una pagina in cui i protagonisti sono i Magi, ma anche Erode e gli abitanti di Gerusalemme; e, certo, più di ogni altro il Bambino Gesù. La pagina inizia così: “Nato a Betlemme”. Gesù nasce a Betlemme, vale a dire: Dio, il creatore dell’universo, l’onnipotente, il salvatore, Colui da cui dipende tutto, nasce. E nasce a Betlemme, nel villaggio più sconosciuto della Giudea. Dio si fa piccolo così e sorprende. Gli stessi Magi, che andavano alla ricerca del re nato, dove si sono recati inizialmente? A Gerusalemme, nel palazzo del re; immaginavano che potesse essere lì Colui che doveva venire. E, invece, no! Viene a Betlemme, in una grotta, nella dimenticata Giudea.

Questo particolare è decisivo per la nostra vita, per la nostra fede, perché ci aiuta a ricordare che il Signore entra nella nostra vita in quelle stesse modalità e con quello stesso stile con cui è entrato nella nostra storia; ed è lì, nel piccolo, nel quotidiano, nel feriale, nel semplice che Egli si rende presente a noi. Ma non è, forse, quotidiano, semplice, feriale quel pane, l’ostia che diventano il suo corpo e il vino che diventa il suo sangue? Non è, forse, quotidiana, feriale e semplice la parola umana nella quale si rende presente e viva la Sua parola, quella di Dio? Non è, forse, feriale, quotidiano, semplice, il modo in cui il Signore viene in mezzo a noi nei sacramenti, nel volto del fratello e della sorella, nel bisogno di colui che è povero, malato, anziano, dimenticato? Non è, forse, dunque, continua la visita del Signore come quel giorno in cui Egli nacque a Betlemme?

Gesù, nato a Betlemme di Giudea. Non ce lo dimentichiamo! Ciò che accadde allora, accade continuamente nella nostra vita e noi, rischiamo, come i Magi, di andare a cercarlo nelle grandi cose. No! Egli viene nelle cose piccole, quotidiane, semplici, feriali, perché è sempre con noi e accanto a noi.

 

La pagina del Vangelo, poi, sottolinea che, saputo della nascita di questo re dei giudei, Erode e gli abitanti di Gerusalemme furono presi da un grande turbamento. Sant’Agostino riflette su questo turbamento e dice: “Stolto Erode e stolti voi, abitanti di Gerusalemme! Veniva il vostro salvatore e voi rimanete turbati perché pensate che venga a togliervi qualche cosa. In realtà vuole darvi tutto! Vuole darvi la vita, vuole darvi la salvezza, vuole darvi la gioia. E voi vi turbate e temete?”.

Come avvertiamo vicina a noi questa parola, perché il turbamento sciocco di Erode e degli abitanti di Gerusalemme è il turbamento nostro; perché noi temiamo questo Bambino che è Dio, noi abbiamo paura della sua presenza, della sua visita, del suo amore. Lo temiamo. Perché? Perché, proprio come Erode e gli abitanti di Gerusalemme, stoltamente, pensiamo che Egli venga per toglierci qualcosa, quando vuole darci tutto. E ogni qualvolta immaginiamo, erroneamente, che Dio sia Colui che ci toglie qualcosa, abbiamo un’idea nostra di Dio, che non è la verità del volto di Dio, alleato della nostra pienezza di vita. Ecco di che cosa ci parla il turbamento di Erode e degli abitanti di Gerusalemme.

 

Il Vangelo dice anche un’altra cosa: che i dotti e i sacerdoti, interpellati circa il luogo in cui doveva nascere l’atteso, il Messia, furono esatti, dissero Betlemme; ma là loro non ci andarono. Non parla, forse, di noi anche questo particolare del Vangelo, di noi che, molte volte, siamo come delle pietre miliari? Avete presenti le antiche strade romane? Le pietre miliari indicavano il percorso, la strada, il cammino, ma quelle pietre alla meta non arrivavano mai, perché rimanevano lì, ferme.

Così è stato per i dotti, i sacerdoti, i saggi di Gerusalemme, che hanno indicato la strada, ma non l’hanno percorsa. Forse, a volte, anche noi apparteniamo a questa categoria, di uomini e donne che sono come pietre miliari, che sanno, che conoscono, che hanno incontrato il Signore, ma che poi non lo seguono, non condividono la sua vita, non sono suoi fino in fondo, rimangono alla superficie, sono impermeabili alla sua parola e al suo amore. Ricordiamo, dunque, anche questa parola: “Indicarono con precisione Betlemme, ma non vi andarono”.

 

C’è un altro particolare del racconto evangelico, ed è che i Magi, dopo aver incontrato il Bambino di Betlemme, tornarono al loro paese, ma tornarono percorrendo un’altra strada. Non fecero la strada che li aveva portati a Betlemme.

Sant’Agostino commenta così questo particolare del Vangelo: “Cambiarono strada perché il Bambino aveva cambiato la loro vita e il loro cuore. E la strada che ora avrebbero percorso non sarebbe stata più quella che avevano percorso prima”. Non ha da dire qualcosa di importante anche a noi questo dettaglio del Vangelo? Perché aver celebrato il Natale, aver celebrato queste feste, così belle, così importanti, così decisive, non può non significare un cambiamento di strada nella nostra vita; perché se lo abbiamo incontrato, il Bambino di Betlemme, lo abbiamo guardato negli occhi, ci siamo lasciati toccare il cuore, abbiamo gustato il suo sorriso e il suo amore, la strada non può che essere diversa. Non perché è un dovere, ma perché è un piacere cambiare strada e vivere, ormai, nella sua luce, avvolti dal suo amore, conquistati dalla sua gioia, nella luce della sua verità. Ecco, di che cosa ci parla quest’altra parola del Vangelo!

 

E ora l’ultima parola. Erode disse così ai Magi: “Andate e poi tornate, raccontatemi ciò che avete visto, così che anch’io venga ad adorarlo”. Erode non andò mai ad adorarlo, perché non voleva. Quante persone in mezzo a noi, vicino a noi, non vanno dal Bambino! Quanti non lo conoscono, quanti sono indifferenti, quanti lo disdegnano e, magari, anche lo combattono! Quanti vivono come se quel Bambino non fosse mai nato!

E noi possiamo stare tranquilli? No! Non possiamo stare tranquilli! Non possiamo essere in una pace vera e in una gioia autentica, se qualcuno ancora non si è accorto del Bambino di Betlemme, o lo ha dimenticato, o lo ha abbandonato, o lo ha contrastato. No! No! Non possiamo essere nella gioia e nella pace nel cuore. Perché? Perché Colui che abbiamo incontrato a Betlemme, noi avvertiamo l’esigenza di donarlo a tutti; perché se noi amiamo, come amiamo i nostri fratelli e le nostre sorelle, e siamo animati dalla carità stessa del Signore, sentiamo che senza di Lui la vita è perduta, senza di Lui la vita è triste, senza di Lui la vita è smarrita, senza di Lui non c’è salvezza, senza di Lui c’è tristezza; e non è possibile per noi, che lo abbiamo incontrato, pensare che ci sia qualcuno che non lo incontra e che, dunque, manca all’appuntamento con la vera vita. Anche questa parola – lo capiamo –ci interpella.

 

Sono cinque parole che ci interpellano e, soprattutto, ci danno quella gioia, che è tipica del tempo del Natale, perché ci parlano di Dio e della bellezza del suo volto; e ci parlano di noi, di ciò che siamo e di ciò che siamo chiamati a diventare. E, allora, come i Magi, fissiamo la stella; ma, ancor più, fissiamo il Bambino Gesù e avvertiamo la profondissima gioia che ne deriva. E che questa profondissima gioia, a motivo di Lui e per Lui, accompagni ogni passo del nostro cammino in questo anno, che da poco è iniziato!

 

Trascrizione da registrazione audio