Con la XXXIII Domenica del Tempo Ordinario ci avviciniamo alla conclusione dell’anno liturgico. E’ questo il periodo nel quale la Chiesa ci invita all’ascolto di quei testi evangelici che hanno come oggetto la fine dei tempi.
La nostra riflessione, pertanto, e la nostra preghiera prendono il via da questa verità fondamentale della nostra fede, che così esprimiamo ogni qualvolta rinnoviamo la Professione di fede: “Aspetto la vita del mondo che verrà”.
Questo nostro mondo scomparirà. Ne apparirà uno nuovo, quello in cui non abiteranno più la morte, né lutto, né lamento, né affanno.
Le cose di prima saranno passate Tutte le cose saranno fatte nuove in Cristo Salvatore glorioso. Nulla sarà più sottoposto alla fugacità e alla precarietà del tempo presente. Tutto, invece, sarà fissato in un’eternità di vita felice.
Questa è la promessa di Dio! Questa è la nostra speranza!
Alimentiamo la nostra riflessione e la nostra preghiera con un brano estratto dalla lettera di san Giovanni Crisostomo a Olimpia: “Vediamo un mare stravolto fin dagli abissi, naviganti che galleggiano morti sulle onde e altri ormai sommersi, le tavole delle navi sconnesse, le vele lacerate, gli alberi spezzati, i remi caduti dalle mani dei remiganti, i nocchieri seduti non al timone, ma sul ponte, con le mani tra le ginocchia: gemono per la loro impotenza di fronte agli eventi, gridano, si lamentano, singhiozzano; non si scorge né cielo né mare, ma solo tenebre profonde, impenetrabili e torbide, tanto che non si può veder neppure il vicino, e da ogni parte i mostri marini piombano sopra i naviganti.
Ma per quanto io lo veda bene, non rinuncio alla buona speranza, pensando al nocchiero di tutto l’universo, che non supera la burrasca con la sua arte, ma dissolve l’uragano con un cenno.
Non lo fa alle prime o subito, ma questa è la sua consuetudine: non annienta i mali all’inizio, ma quando sono cresciuti, quando giungono all’estremo, quando i più ormai disperano: allora compie i suoi prodigi e le sue meraviglie, mostrando così la sua potenza ed esercitando nella pazienza coloro su cui i mali sono caduti.
Non abbatterti dunque. Una cosa sola, o Olimpia, si deve temere, una sola è la tentazione vera: il peccato. Non ho mai cessato di ripetere questo discorso alle tue orecchie: tutto il resto sono favole, anche se parli di insidie, di ostilità, di inganni, di calunnie, di insulti, di accuse, di confische, di esilio, di spade affilate, di mare, di guerra, sulla terra intera. Per quanto grandi siano queste tribolazioni, sono temporanee, sono limitate, sussistono solo nel corpo mortale e non danneggiano l’anima vigilante. Perché dunque hai timore di ciò che è transitorio e scorre come la corrente di un fiume? Tali sono infatti le realtà presenti, sia favorevoli, sia moleste”.