Carissimi catechiste e catechisti! Carissimi davvero per ciò che siete e per il servizio preziosissimo e tanto generoso che svolgete nella nostra Diocesi, perché la fede sia trasmessa, perché la fede sia annunciata, perché la fede sia amata. Grazie dal profondo del cuore!
“Il povero grida e il Signore lo ascolta”: così abbiamo ripetuto, cantando il ritornello del Salmo responsoriale. Oggi vogliamo entrare dentro questa parola che è risuonata sulle nostre labbra in modo che divenga una vera esperienza per ciascuno di noi.
“Il povero grida e il Signore lo ascolta”. Il Signore ascolta il grido di colui che è povero, che si fa povero, perché si rende consapevole che senza di Lui non può nulla. La preghiera che sale a Dio da un cuore che si è fatto povero, perché consapevole che non può nulla senza il suo Signore, non soltanto è ascoltata ma è anche esaudita. E noi oggi vogliamo farci poveri, davvero poveri, perché la nostra preghiera venga ascoltata e venga esaudita.
Ma quale preghiera? È la Chiesa che oggi dà voce alla nostra preghiera con la Colletta, la preghiera iniziale della Messa con la quale abbiamo domandato al Signore di accrescere la nostra fede, la nostra speranza e la nostra carità. Poi abbiamo aggiunto: “Signore, fa’ che amiamo ciò che comandi”. Questa è la grande preghiera che la Chiesa ci suggerisce oggi, che la Chiesa mette sulle nostre labbra e nel nostro cuore, e che noi presentiamo al Signore con un cuore povero.
Chiediamo di crescere nella fede. Che cosa vuol dire? Significa crescere nella consapevolezza e nell’esperienza non soltanto che Dio c’è, che Dio è presente nella nostra vita, che Dio ha a che fare con le nostre gioie e con i nostri dolori, ma anche nella consapevolezza e nell’esperienza che Dio ci ama, che ci ama davvero. Non sempre, infatti, questo lo crediamo fino in fondo.
Crescere nella fede significa rimanere in ascolto di quella voce che lo Spirito Santo suggerisce al cuore di ciascuno di noi dicendo: «Abbà, padre, papà». Nella misura in cui rimaniamo in ascolto di questa voce splendida che risuona nel nostro cuore e che dice «Abbà, papà», diventiamo sempre più consapevoli e facciamo l’esperienza sempre più esaltante dell’amore di Dio per noi, dell’amore che Dio ha per noi. È in questa fede che abbiamo bisogno di crescere ed è questa fede che oggi chiediamo di ricevere in dono ancora di più.
Lo chiediamo perché è bello avere la fede, perché è bello avere una fede grande, perché è bello vivere con una fede grande. La nostra supplica sale al Signore – «Accresci la nostra fede» – perché sappiamo che vivere senza fede o con una fede povera non è bello; mentre vivere con una fede e con una fede grande è bello, anzi è bellissimo, è esaltante perché cambia la vita, cambia il cuore, cambia il modo con cui affrontiamo, giorno dopo giorno, il cammino dell’esistenza. Cambia tutto in meglio! Per questo, dal profondo del cuore, chiediamo al Signore che accresca in noi la fede.
Chiediamo di crescere nella speranza. Che cosa è la speranza? È un modo nuovo di guardare ciò che sta alle nostre spalle, ciò che abbiamo tra le mani e ciò che ci attende, perché è il modo in cui Dio guarda ciò che abbiamo alle nostre spalle, ciò che abbiamo per le mani e ciò che ci attende. Lo sguardo di Dio è uno sguardo splendido, di misericordia, di cura, di pazienza, carico di promessa; e dentro questo sguardo vediamo tutto in modo diverso, perché capiamo che ciò che ci sta alle spalle è dentro un disegno di provvidenza, ciò che abbiamo tra le mani è dentro un disegno di provvidenza e ciò che ci attende è dentro un disegno di provvidenza. Una provvidenza che ha cura amorevolissima della nostra vita. Una cura che si perde nell’eternità.
Perché supplichiamo il Signore che accresca in noi la speranza? Perché vivere senza speranza o con una speranza piccola non è bello; mentre vivere con speranza, con una grande speranza è bello. È bellissimo! E come per la fede, anche la speranza cambia la nostra vita in meglio. In meglio! È per questo che la chiediamo: «Signore accresci la nostra speranza».
Chiediamo di crescere nella carità. La carità non è semplicemente un voler bene umano. No! Sarebbe troppo poco. Anche perché sappiamo che il voler bene umano, l’amare con le capacità del nostro cuore è qualcosa di tanto fragile: oggi c’è e domani non c’è, oggi è acceso come una fiamma ma domani è spento e senza calore. Noi chiediamo, invece, che il nostro cuore possa essere acceso da quella carità che è lo stesso amore di Dio riversato nei nostri cuori: una fiamma che non si spegne, un calore che non si attenua, una capacità di dono che non viene mai meno e che partecipa delle profondità dell’amore del cuore del Signore.
Perché chiediamo al Signore di crescere nella carità? Perché vivere senza carità o con poca carità non è bello; mentre vivere con carità e con una grande carità è bello, è straordinariamente bello! E la nostra vita cambia davvero in meglio.
È conveniente vivere di fede grande, vivere di speranza grande, vivere di carità grande: perché in questa fede, in questa speranza, in questa carità la nostra vita, anche da un punto di vista umano, fiorisce in tutte le sue potenzialità ed è bella di una bellezza che altrimenti mai potremmo avere o sperimentare.
Ecco perché, con il cuore povero, questa sera diciamo: «Signore accresci la mia fede, accresci la mia speranza, accresci la mia carità. Accresci tutto questo, perché possa fare esperienza di quella bella notizia che è la Tua presenza di salvezza nella mia vita, nella nostra vita».
Non dimentichiamo, però, l’altra preghiera che con la Chiesa, oggi, rivolgiamo al Signore: «Fa’ che amiamo ciò che comandi». È una preghiera tanto bella, perché ci aiuta a ricordare che quello che il Signore comanda, ovvero la parola con la quale ci raggiunge, la volontà che Egli ci manifesta, non è un peso. Al contrario quella parola e quella volontà ci donano le ali perché possiamo correre e volare nella bellezza della vita di Dio. Non è mai un peso ciò che Dio comanda! È un dono che alleggerisce l’esistenza, che le dona slancio, entusiasmo, passione. Ecco perché chiediamo di amare ciò che il Signore ci comanda.
C’è una grande tentazione nella nostra vita: è quella di accontentarci di una fede mediocre, di una speranza mediocre, di una carità mediocre. E un’altra grande tentazione è quella di immaginare che la vita in Cristo sia un peso, una fatica, quasi un fardello posto sulle nostre spalle.
È anche per questo che la nostra preghiera, da poveri, sale al Signore chiedendo una fede più grande, una speranza più grande, una carità più grande e un’esperienza della vita in Cristo che non sia un peso ma una leggerezza, che non sia un fardello ma una gioia, che non appesantisca il nostro cammino ma lo renda veloce come uno splendido volo attraverso l’esistenza.
Questo chiediamo al Signore. Lo chiediamo per noi, certamente, perché capiamo che ne abbiamo bisogno e lo chiediamo con insistenza, con fiducia. Ma, in realtà, chiedendolo per noi, lo chiediamo anche per gli altri e soprattutto per coloro che, a motivo del nostro servizio, avremo modo di avvicinare durante l’anno.
Perché? Perché avvertiamo un bisogno decisivo. Il bisogno che chi ci incontra possa sperimentare, attraverso di noi la bellezza della vita in Cristo, la gioia della vita in Cristo: la bellezza della fede, la bellezza della speranza, la bellezza della carità; la gioia della fede, la gioia della speranza, la gioia della carità; la bellezza e la gioia di vivere la Parola del Signore e di accogliere la sua volontà nella nostra vita.
Chiediamo questa grazia per essere realmente testimoni del Signore. La grazia che la bellezza e la gioia di appartenerGli si possa toccare con mano e la possano toccare con mano quei bambini, quei ragazzi, quei giovani, quegli adulti che noi accostiamo e ai quali trasmettiamo la fede, la vita in Cristo.
In questi giorni ho letto una bellissima espressione che, in sintesi, dice in che cosa significa la testimonianza. Essere testimoni significa: suscitare invidia. Suscitare invidia, perché chi ci guarda, chi ci vede, arrivi a dire: «Come è bello poter vivere così. Come vorrei anche io vivere così. Qual è il segreto di una vita così?». Non dimentichiamolo: questa è la prima testimonianza attraverso la quale la fede viene trasmessa. Questa è la prima catechesi. La radice di ogni autentica catechesi è suscitare invidia! Un’invidia dovuta alla nostra vita in Cristo, così bella, così gioiosa, così piena, così attraente e affascinante.
Chiediamo, nella preghiera, di essere catechisti che suscitano invidia. Chiediamolo con cuore povero, perché il nostro servizio nell’anno catechistico che va a iniziare possa essere proprio così: una vita che suscita l’invidia ovvero il desiderio di seguire e abbracciare Colui che ha reso così bella, così gioiosa, così piena la vita di ciascuno di noi.
Trascrizione da registrazione audio