Tempo Ordinario – Anno II

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Tempo Ordinario – Anno II

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I SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro di Samuele: “Così avveniva ogni anno: mentre saliva alla casa del Signore, quella la mortificava; allora Anna si metteva a piangere e non voleva mangiare. Elkanà, suo marito, le diceva: Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?”. Il dialogo tra Elkanà e Anna è bellissimo. In esso traspare l’amore delicato e attento di un marito nei confronti della moglie, afflitta a motivo della sua sterilità. Nella relazione di amore così descritta possiamo vedere anche un’immagine suggestiva dell’amore di Dio per la Sua Chiesa e per l’anima cristiana, quando esse vivono il dramma doloroso dell’infecondità spirituale. Ogni sterilità trova nel Signore l’Amante attento e delicato pronto a consolare. E anche l’Amante che non tarda a ridonare la fecondità, quando questa è tanto desiderata e richiesta da un cuore puro.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro di Samuele: “In quei giorni Anna si alzò, dopo aver mangiato e bevuto a Silo; in quel momento il sacerdote Eli stava seduto sul suo seggio davanti a uno stipite del tempio del Signore. Ella aveva l’animo amareggiato e si mise a pregare il Signore, piangendo dirottamente”. La preghiera accorata di Anna sarà ascoltata dal Signore ed ella avrà il figlio tanto desiderato. Il suo nome sarà Samuele. Ciò che attira la nostra attenzione è il modo della preghiera di Anna. La donna sta davanti a Dio nella verità della sua vita, non nasconde nulla e ha il coraggio di aprire il proprio cuore per consegnare a Dio l’angoscia che lo abita. In Anna vediamo l’immagine della donna che avverte la paternità di Dio e a Lui si rivolge con animo di figlia. Possa essere così anche la nostra preghiera: quella che sgorga da un cuore che sa di essere ascoltato e amato, sempre e per tutto.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro di Samuele: “Venne il Signore, stette di nuovo accanto a lui e lo chiamò ancora come le altre volte: Samuele, Samuele! Samuele rispose subito: Parla, perché il tuo servo ti ascolta. Samuele acquistò autorità poiché il Signore era con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole”. Così viene descritta la vocazione di Samuele. Tre sono i dettagli del racconto che siamo chiamati a custodire nel cuore. Dio, più volte, rivolge a Samuele la propria parola. Questo è il segno dell’amore fedele di Dio che non si stanca di chiamarci nonostante le nostre sordità. Il giovane desidera ascoltare la voce del Signore e dice: “Parla”. Anche noi dovremmo sempre pregare rivolgendo a Dio questa richiesta. Infine si dice che Samuele non lasciò andare a vuoto neppure una delle parole ascoltate da Dio. Possa essere così anche per noi, sempre e in questa giornata!

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro di Samuele: “Quando il popolo fu rientrato nell’accampamento, gli anziani d’Israele si chiesero: Perché ci ha sconfitti oggi il Signore di fronte ai Filistei? Andiamo a prenderci l’arca dell’alleanza del Signore a Silo, perché venga in mezzo a noi e ci liberi dalle mani dei nostri nemici”. In seguito alla sconfitta subita contro i Filistei, gli anziani d’Israele si domandano come questo sia potuto avvenire. Al di là del cattivo uso che essi faranno di ciò che hanno capito, la loro risposta va al cuore del problema: sono stati sconfitti perché nell’accampamento non c’era l’arca di Dio. Come a dire che la sconfitta è da imputare al fatto che hanno dimenticato il Signore. Dovremmo anche noi lasciarci interpellare: la nostra sterilità spirituale, la nostra infecondità pastorale non dipenderanno, a volte, dal fatto che abbiamo messo il Signore in secondo piano? Ogni vero rinnovamento parte sempre dal ritrovare il primato di Dio.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro di Samuele: “Agli occhi di Samuele la proposta dispiacque, perché avevano detto: Dacci un re che sia nostro giudice. Perciò Samuele pregò il Signore. Il Signore disse a Samuele: Ascolta la voce del popolo, qualunque cosa ti dicano, perché non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di loro”. Quella che oggi ascoltiamo è una narrazione triste nella storia di Israele. Il popolo si rivolta contro Dio. E la richiesta di avere un re esprime esattamente questa rivolta. Il testo ci aiuta a verificare anche la nostra vita. Ci domandiamo, infatti, chi sia Colui al quale davvero ci affidiamo. È Dio o sono altri? È Dio o qualcosa d’altro? Solo Dio è davvero affidabile, perché il Suo amore è per sempre ed è la Vita della nostra vita. Camminiamo, pertanto, alla sequela del Signore, nostro Padre e Creatore, nostro Salvatore e nostro Tutto.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro di Samuele: “Ora le asine di Kis, padre di Saul, si smarrirono, e Kis disse al figlio Saul: Su, prendi con te uno dei domestici e parti subito in cerca delle asine. Si recarono allora nel territorio di Saalìm, ma non c’erano; poi percorsero il territorio di Beniamino e non le trovarono. Quando Samuèle vide Saul, il Signore gli confermò: Ecco l’uomo di cui ti ho parlato: costui reggerà il mio popolo”. Saul, su indicazione del padre, va sulle montagne alla ricerca delle asine perdute. È in questo frangente che incontra Samuele, dal quale riceverà l’unzione a re. In modo imprevisto e nell’ordinarietà di una giornata come le altre, Saul riceve la chiamata di Dio. È quanto accade anche a noi. Il Signore si avvicina e ci parla nella concretezza semplice della vita. Tutto, agli occhi della fede, diviene parola di Dio provvidente. In tutto, agli occhi della fede, si realizza il disegno di amore di Dio sulla nostra vita.

 

II SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro di Samuele: “Samuèle esclamò: Il Signore gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l’obbedienza alla voce del Signore? Ecco, obbedire è meglio del sacrificio, essere docili è meglio del grasso degli arieti. Poiché hai rigettato la parola del Signore, egli ti ha rigettato come re”. Questa parola dura è rivolta dal profeta al re Saul. Dal Signore egli aveva ricevuto ordini precisi, ma ha preferito fare diversamente rifiutandosi di obbedire. Non ha prestato ascolto alla voce di Dio. Nelle parole di Samuele possiamo rilevare l’importanza decisiva che nella vita di fede ha l’obbedienza a Dio. Questa vale più di ogni altra cosa, perché esprime la verità della nostra adorazione e del nostro amore. Chiediamo la grazia di vivere questa giornata in ascolto obbediente della parola del Signore. Sia fatta in noi la Sua volontà.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro di Samuele: “In quei giorni, il Signore disse a Samuèle: Fino a quando piangerai su Saul, mentre io l’ho ripudiato perché non regni su Israele? Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re”. Il profeta, nonostante la chiara indicazione ricevuta da Dio in merito a Saul, ancora ritarda nell’accogliere quella indicazione. Non riesce a capire perché Dio abbia ripudiato Saul. In questo Samuele ci rappresenta: anche noi, infatti, spesso fatichiamo a capire e ad accogliere la volontà del Signore. Il profeta, poi, viene inviato presso la casa di Iesse, dove dovrà individuare colui che Dio ha scelto al posto d Saul. Qui, Samuele dovrà imparare che i criteri della scelta di Dio sono diversi dai suoi: Egli sceglie ciò che è piccolo agli occhi degli uomini. Anche noi dobbiamo sempre di nuovo imparare questo divino criterio di scelta e di predilezione.

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro di Samuele: “In quei giorni, Davide disse a Saul: Nessuno si perda d’animo a causa di costui. Il tuo servo andrà a combattere con questo Filisteo. Saul rispose a Davide: Tu non puoi andare contro questo Filisteo a combattere con lui: tu sei un ragazzo e costui è uomo d’armi fin dalla sua adolescenza. Davide aggiunse: Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell’orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo”. Saul e Davide sono la personificazione di due diversi modi di pensare. Quello di Saul è un pensare secondo i criteri del mondo. Quello di Davide, invece, è un pensare secondo i criteri di Dio. In Saul non trova spazio l’opera di Dio. In Davide, invece, c’è l’affidamento fiducioso a Dio e a quanto Egli può compiere. Tutti noi siamo un po’ Saul e un po’ Davide. Chiediamo la grazia di essere sempre più Davide e sempre meno Saul.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro di Samuele: “Giònata parlò dunque a Saul, suo padre, in favore di Davide e gli disse: Non pecchi il re contro il suo servo, contro Davide, che non ha peccato contro di te, che anzi ha fatto cose belle per te. Egli ha esposto la vita, quando abbatté il Filisteo, e il Signore ha concesso una grande salvezza a tutto Israele. Hai visto e hai gioito. Dunque, perché pecchi contro un innocente, uccidendo Davide senza motivo?”. Gionata interviene a favore di Davide presso Saul che, a motivo della gelosia, ha deciso di uccidere colui che è risultato vittorioso sui Filistei. Ciò che compie Gionata è atto di squisita carità. Una carità della parola, con la quale egli mette pace in una relazione tormentata. Seminare pace, indurre alla fiducia reciproca, non alimentare la discordia, spegnere focolai di inimicizia e incomprensione. Il Signore ci dia la grazia di essere sempre uomini e donne di carità, in ogni circostanza della vita.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro di Samuele: “Tu sei più giusto di me, perché mi hai reso il bene, mentre io ti ho reso il male. Oggi mi hai dimostrato che agisci bene con me e che il Signore mi aveva abbandonato nelle tue mani e tu non mi hai ucciso. Quando mai uno trova il suo nemico e lo lascia andare sulla buona strada? Il Signore ti ricompensi per quanto hai fatto a me oggi”. Con queste parole il re Saul si rivolge a Davide che, potendo ucciderlo, gli ha risparmiato la vita. Davide, qui, diviene esempio di amore verso il nemico. E, pertanto, quasi anticipazione della parola evangelica. Guardiamo a Davide come a colui che, nel mistero, prefigura il Messia Salvatore. E guardiamo a Davide anche per considerare a quale altezza siamo chiamati a vivere la realtà dell’amore fraterno e del perdono reciproco. La presenza dello Spirito del Risorto in noi è garanzia della possibilità di vivere così le nostre relazioni quotidiane.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro di Samuele: “Come son caduti gli eroi in mezzo alla battaglia? Gionata, sulle tue alture trafitto! Una grande pena ho per te, fratello mio, Gionata! Tu mi eri molto caro; la tua amicizia era per me preziosa, più che amore di donna. Come sono caduti gli eroi, sono perite le armi?”. Il re Saul e suo figlio Gionata vengono sconfitti in battaglia e muoiono. Davide, appresa la dolorosa notizia, dà sfogo al proprio cuore affranto. Ne deriva un vero canto all’amicizia, soprattutto in relazione a Gionata. Davide e Gionata, infatti, appaiono come un esempio molto bello e suggestivo di amicizia in Dio. Proprio Dio è stato al cuore del loro legame intenso e fecondo. In tal modo ci viene ricordato a quali profondità di rapporti conduce la condivisione della fede, la capacità di guardare alla vita dalla stessa prospettiva spirituale, radicandosi nell’amore fedele di Dio.

 

 

III SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro di Samuele: “Il re e i suoi uomini mossero verso Gerusalemme contro i Gebusei che abitavano in quel paese. Costoro dissero a Davide: Non entrerai qui: basteranno i ciechi e gli zoppi a respingerti, per dire: Davide non potrà entrare qui. Ma Davide prese la rocca di Sion, cioè la città di Davide”. Così viene descritta la conquista di Gerusalemme da parte di Davide. La vittoria si è resa possibile in virtù dell’alleanza fatta da Davide con tutte le tribù d’Israele. L’unione ha davvero fatto la forza. Diversamente Davide non avrebbe potuto sconfiggere i Gebusei. La vicenda narrata possiamo considerarla anche un richiamo alla comunione che è radice della missione. Nella Chiesa, infatti, non si ha una missione feconda se non a partire dalla comunione nella carita. Anche perché la comunione nella carità è sempre il primo annuncio del Vangelo che siamo chiamati a dare al mondo.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro di Samuele: “In quei giorni, Davide andò e trasportò l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom nella città di Davide, con gioia. Quando quelli che portavano l’arca del Signore ebbero fatto sei passi, egli immolò un bue e un ariete grasso. Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore”. Dopo avere conquistato Gerusalemme, il primo atto di Davide è quello di prendere l’arca dell’alleanza. Solo così Gerusalemme potrà vivere: avendo al centro Dio. Questo vale anche per noi e la nostra vita. La descrizione di ciò che avviene, poi, fa pensare a una festa di nozze in cui si celebra una storia di amore. Nell’arca c’erano le tavole della legge, il bastone di Aronne, un po’ di manna, segno dell’amore di Dio per il Suo popolo. Anche la nostra relazione con Dio cresce nell’amore se coltiviamo la memoria di ciò che il Signore ha fatto per noi.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro di Samuele: “In quei giorni, questa parola del Signore fu rivolta a Natan: “Va’ e riferisci al mio servo Davide: Dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Ma io non ho abitato in una casa da quando ho fatto uscire gli Israeliti dall’Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione”. Il progetto di Davide poteva apparire buono: costruire una casa per l’arca del Signore. Ma la parola che il Signore rivolge a Davide, per mezzo di Natan, rivela un pericolo. Costruire una casa per l’arca poteva significare ingabbiare Dio dentro un progetto umano. Dio, invece, rimane sempre al di là dei progetti umani. Il pericolo vissuto da Davide ci riguarda. Anche noi, infatti, siamo spesso tentati di ingabbiare Dio dentro i nostri progetti. La fede, invece, è viva quando si abbandona fiduciosa alla Sua volontà.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro di Samuele: “Dopo che Natan gli ebbe parlato, il re Davide andò a presentarsi davanti al Signore e disse: Chi sono io, Signore Dio, e che cos’è la mia casa, perché tu mi abbia condotto fin qui? E questo è parso ancora poca cosa ai tuoi occhi, Signore Dio: tu hai parlato anche della casa del tuo servo per un lontano avvenire: e questa è legge per l’uomo, Signore Dio!”. La preghiera di Davide è esemplare. Egli voleva costruire a Dio una casa. Per mezzo del profeta Natan Dio gli dice che non dovrà farlo. Sarà Dio stesso a provvedere una casa per Davide e la sua discendenza. Davide prega e adora, con il cuore colmo di stupore e di gratitudine. Ha capito che deve lasciar fare a Dio, senza la pretesa di essere lui a operare secondo i propri criteri e progetti. Ecco l’esemplarità di Davide! Si abbandona in tutto al Signore, lasciando che si compia la Sua volontà. Possa essere così anche per noi.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro di Samuele: “Un tardo pomeriggio Davide, alzatosi dal letto, si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia. Dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella d’aspetto. Davide mandò a informarsi sulla donna. Gli fu detto: «È Betsabea, figlia di Eliàm, moglie di Urìa l’Ittita». Allora Davide mandò messaggeri a prenderla”. Il testo biblico racconta il grande peccato di Davide: egli porta a compimento il desiderio cattivo di “entrare in possesso” di Betsabea, moglie di Uria. Ma non basta. Per nascondere il misfatto, Davide manderà a morire in guerra lo stesso Uria. Che cosa ci insegna l’episodio? Ci ricorda che peccato chiama peccato, che il peccato rende schiavi del peccato, che è necessario essere sempre vigilanti perché il male non tocchi mai la nostra vita. Cadere è facile, rialzarsi difficile.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro di Samuele: “Davide si adirò contro quell’uomo e disse a Natan: Per la vita del Signore, chi ha fatto questo è degno di morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non averla evitata. Allora Natan disse a Davide: Tu sei quell’uomo!”. Davide ha commesso il grande peccato: ha mandato a morire Uria per poter prendere in moglie Betsabea. Ma ora Dio interviene per mezzo del profeta Natan, che gli racconta una storia di ingiustizia. Davide si indigna, ma Natan gli fa capire che è proprio lui l’uomo ingiusto della storia: “Tu sei quell’uomo!”. È il momento più alto del dramma di Davide. Eppure è anche l’inizio del suo ravvedimento. Riconoscere la propria colpa, pentirsene, chiederne perdono al Signore è via alla conversione. Chiediamo la grazia di saper ascoltare la voce di Dio che ci accusa ma che anche ci perdona e ci ama, punta il dito ma per salvarci e darci la vita.

 

IV SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro di Samuele: “Così diceva Simei, maledicendo Davide: Vattene, vattene, sanguinario, malvagio! Il Signore ha fatto ricadere sul tuo capo tutto il sangue della casa di Saul, al posto del quale regni; il Signore ha messo il regno nelle mani di Assalonne, tuo figlio, ed eccoti nella tua rovina, perché sei un sanguinario”. Il momento che Davide sta vivendo è assai difficile. Il figlio Assalonne si ribella contro di lui. Poi Simei lo ingiuria malamente, rinfacciandogli i peccati compiuti. Quindi Abisai incita il re perché metta fine alla vita di Simei. Ma, in tutto questo, Davide si mostra uomo di Dio. Non si lascia turbare dal suo passato, neppure da quanto gli capita al presente. E non lo turba neanche il pensiero di quello che potrà avvenire. Avverte di essere amato da Dio e di essere nelle Sue mani. La sua fiducia, pertanto, è incrollabile. Anche noi siamo nelle mani di Dio e, di conseguenza, non dobbiamo avere timore.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro di Samuele: “Allora il re fu scosso da un tremito, salì al piano di sopra della porta e pianse; diceva andandosene: Figlio mio Assalonne! Figlio mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio!”. Davide piange a motivo del figlio morto in battaglia. Prima che questa avesse inizio, il re aveva chiesto ai suoi soldati di non fare alcun male al figlio, anche se ormai suo nemico. In questa dolorosa vicenda, Davide rimane davanti a noi come esempio duplice. Da una parte è l’uomo dal cuore affranto, che trova rifugio e consolazione in Dio, Signore della storia e Provvidenza d’amore, sempre. Dall’altra è richiamo della paternità di Dio, che rimane fedele al proprio amore, anche nei confronti di quei figli che si sono rivoltati contro di Lui. Attraverso Davide, dunque, la nostra meditazione e la nostra preghiera salgono a Dio.

 

 

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro di Samuele: “In quei giorni, il re disse a Ioab e ai suoi capi dell’esercito: Percorri tutte le tribù d’Israele, da Dan fino a Bersabea, e fate il censimento del popolo, perché io conosca il numero della popolazione. Ioab consegnò al re la cifra del censimento del popolo… Ma dopo che Davide ebbe fatto il censimento del popolo, provò rimorso in cuore”. Davide commette un altro peccato: ordina il censimento e con ciò fa intendere di aver perso di vista che il popolo appartiene a Dio. Sembra che ora sia sua proprietà, al servizio delle sue ambizioni. Ma ciò che più conta in questo racconto è il pentimento sincero del re. Non è la prima volta che accade. In effetti, molti sono i peccati commessi da Davide. Ma egli è sempre pronto a domandare perdono di vero cuore al Signore. In tal modo anche il suo peccato diviene, per la bontà di Dio, occasione di Provvidenza.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “Sentendo avvicinarsi il giorno della sua morte, Davide fece queste raccomandazioni al figlio Salomone: Io me ne vado per la strada di ogni uomo sulla terra. Tu sii forte e mostrati uomo. Osserva la legge del Signore tuo Dio, procedendo nelle sue vie ed eseguendo i suoi statuti, i suoi comandi, i suoi decreti e le sue prescrizioni”. Ormai prossimo alla morte, Davide si rivolge al figlio Salomone, lasciando una specie di testamento spirituale. Il cuore di questo testamento risuona nell’invito a essere forte e a mostrarsi uomo. Le parole che seguono aiutano a capire il senso dell’invito di Davide. Egli parla di una fortezza e di una umanità che derivano dal rimanere ancorati a Dio e alla Sua parola. Salomone sarà forte e davvero uomo, nel senso più autentico del termine, se Dio sarà l’orizzonte di tutta la sua vita. Ricordiamolo anche noi.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del Siracide: “Come dal sacrificio di comunione si preleva il grasso, così Davide fu scelto tra i figli d’Israele. Egli scherzò con leoni come con capretti, con gli orsi come con agnelli. Nella sua giovinezza non ha forse ucciso il gigante e cancellato l’ignominia dal popolo, alzando la mano con la pietra nella fionda e abbattendo la tracotanza di Golìa?”. Inizia così un lungo testo, nel quale l’autore ispirato fa memoria della grandezza di Davide. In realtà, non è tanto la grandezza di Davide a essere cantata, quanto piuttosto la grandezza di Dio che ha compiuto meraviglie nella vita di Davide, rimanendo fedele al Suo patto di amore, nonostante i peccati molteplici del Re d’Israele. Rileggiamo questa pagina biblica pensando alle grandi opere che Dio compie nella nostra vita, senza dimenticare che Egli mostra in noi la Sua onnipotenza, soprattutto con la misericordia e il perdono.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?”. La preghiera di Salomone è bellissima. È morto il padre, il grande Davide, e ora egli si trova a dover governare il suo popolo. Non chiede altro, solo il dono più importante: un cuore docile, ovvero un cuore capace di ascolto e di essere in sintonia con la volontà di Dio. Salomone diverrà un re celebre per la sua sapienza. Domandiamo anche noi questo grande dono, quello di un cuore sempre in ascolto, attento e docile a Dio e alla Sua parola. Allora saremo davvero sapienti!

 

 

 

 

 

V SETTIMANA

 

Lunedì

“Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “Appena i sacerdoti furono usciti dal santuario, la nube riempì il tempio del Signore, e i sacerdoti non poterono rimanervi per compiere il servizio a causa della nube, perché la gloria del Signore riempiva il tempio del Signore”. Al tempo di Salomone viene edificato il grande tempio. Al suo centro, nel santo dei santi, viene collocata l’arca del Signore contenente le tavole della legge. La presenza di Dio riempie il tempio. Quel grande tempio è per noi il segno di un tempio ben più prezioso, quello fatto di carne che siamo noi. In quel tempio, in virtù del Battesimo, abita il Signore. Noi siamo il tempio di Dio! Siamo chiamati ad avere cura della presenza di Dio in noi, soprattutto vivendo con fedeltà gioiosa la vita della grazia e rinnovando la nostra ferma contrarietà al peccato, anche per il tramite della frequente confessione.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “Volgiti alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, Signore, mio Dio, per ascoltare il grido e la preghiera che il tuo servo oggi innalza davanti a te! Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: Lì porrò il mio nome! Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo”. Portata a termine la costruzione del tempio, Salomone innalza a Dio una preghiera bellissima. In essa chiede che quel tempio possa divenire luogo privilegiato dell’incontro tra Dio e il Suo popolo, del dialogo tra Cielo e terra. Il tempio, dunque, è anzitutto lo spazio della preghiera. Anche noi non dobbiamo mai smarrire la sacralità della casa di Dio, quale luogo del misterioso incontro tra noi e Lui. Allo stesso modo, non dobbiamo perdere mai di vista che anche il tempio che siamo noi è spazio sacro per un dialogo incessante tra Cielo e terra.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “Arrivò a Gerusalemme con un corteo molto numeroso, con cammelli carichi di aromi, d’oro in grande quantità e di pietre preziose. Si presentò a Salomone e gli parlò di tutto quello che aveva nel suo cuore. Salomone le chiarì tutto quanto ella gli diceva; non ci fu parola tanto nascosta al re che egli non potesse spiegarle”. La regina di Saba affronta un lungo viaggio a motivo della fama che accompagna la vita di Salomone. Ella vuole fare esperienza della sua sapienza. E così accade. Gli apre il cuore e ottiene dal re d’Israele quelle risposte che dal l’unto tempo andava cercando. Salomone aveva chiesto il dono di un cuore capace di ascoltare e Dio glielo aveva concesso. Ascoltando Dio era divenuto capace di ascoltare e capire i fratelli. Possa avvenire così anche a noi. In virtù del nostro vivere in ascolto del Signore ci divenga possibile ascoltare in profondità il cuore dei fratelli, per aiutarli a camminare con sapienza sulla via di Dio.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “Quando Salomone fu vecchio, le sue donne gli fecero deviare il cuore per seguire altri dèi e il suo cuore non restò integro con il Signore, suo Dio”. Il saggio Salomone, verso la fine della vita, si allontana da Dio. Il fatto ci colpisce. E ci induce a pensare che anche i “grandi” possono deviare dalla volontà del Signore. Ecco perché è tanto importante conservarsi umili, consapevoli del fatto che tutto è grazia, e domandare con insistente fiducia il dono della perseveranza fino alla fine. La fedeltà nel tempo è il segno più bello di un amore vero e maturo. Preghiamo di poter amare il Signore così, perseverando sempre nella Sua volontà, nei propositi di vita santa, nel desiderio di abbracciare sempre più il Vangelo.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “Quindi disse a Geroboamo: Prenditi dieci pezzi, poiché dice il Signore, Dio d’Israele: Ecco strapperò il Regno dalla mano di Salomone e ne darò a te dieci tribù. A lui rimarrà una tribù a causa di Davide, mio servo, e a causa di Gerusalemme, la città che ho scelto fra tutte le tribù d’Israele. Israele si ribellò alla casa di Davide fino ad oggi”. Le parole del profeta Achia prospettano una realtà di profonda e duratura divisione nel Regno, che fu unito al tempo di Salomone. La causa di una tale drammatica divisione e’ da rintracciare nel peccato compiuto da Salomone nei riguardi di Dio. Lo sviamento del cuore del re ha prodotto lo smembramento del suo regno. Questo fatto ci ricorda che l’allontanamento da Dio è sempre la vera causa di ogni allontanamento tra gli uomini. In realtà la divisione del cuore umano riguardo a Dio è alla radice di ogni altra divisione che si realizza nella storia.

 

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “Egli edificò templi sulle alture e costituì sacerdoti, presi da tutto il popolo, i quali non erano discendenti di Levi. Geroboàmo istituì una festa nell’ottavo mese, il quindici del mese, simile alla festa che si celebrava in Giuda. Egli stesso salì all’altare; così fece a Betel per sacrificare ai vitelli che aveva eretto, e a Betel stabilì sacerdoti dei templi da lui eretti sulle alture. Geroboàmo non abbandonò la sua via cattiva”. Geroboamo, che diviene re in Israele dopo la morte di Salomone, cade nell’idolatria. Favorisce il culto degli idoli in mezzo al popolo e persevera su questa via cattiva. Geroboamo, in tal modo, è anche simbolo di chi persevera nel male senza pentimento, di chi si ostina a percorrere vie cattive senza volontà di ravvedimento. Questo, in realtà, anche per noi può essere il vero e grande peccato: l’assenza di pentimento per il male compiuto, il rifiuto della necessaria conversione.

 

VI SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Giacomo: “…chi esita somiglia all’onda del mare, mossa e agitata dal vento. Un uomo così non pensi di ricevere qualcosa dal Signore: è un indeciso, instabile in tutte le sue azioni”. L’esitazione, nelle parole dell’apostolo, è un vizio pericoloso. In verità, nelle cose che riguardano Dio, esita chi dubita nella fede, esita chi poco ama, esita chi è povero di speranza. In questi giorni, ormai prossimi alla Quaresima, smettiamola di esitare! Ma con decisione intraprendiamo il cammino della sequela del Signore, il cammino della vita vera, della santità. Non rimandiamo più, non rimandiamo ancora a domani! Oggi è il momento della salvezza, il giorno in cui dire sì al Signore senza esitare più, con coraggio, gioia ed esultanza del cuore.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Giacomo: “Beato l’uomo che resiste alla tentazione perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promesso a quelli che lo amano”. L’apostolo ci introduce nella grazia presente in ogni tentazione a cui siamo sottoposti. La tentazione, infatti, è sempre un’occasione per riaffermare la nostra appartenenza al Signore, il nostro sì convinto alla Sua parola e alla Sua volontà. Ogni tentazione al male è permessa da Dio perché la nostra vita possa risultarne rafforzata nel bene. Questa è la “corona della vita”, che segue ogni vittoria nel combattimento contro lo spirito del male: essere radicati ancora di più nell’amore del Signore. Chiediamo, pertanto, la grazia di essere forti nella tentazione e di saperla affrontare senza dimenticare l’opera provvidente di Dio, che anche in essa di compie.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Giacomo: “Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era”. L’apostolo ha il dono della concretezza. E conduce il lettore a considerare la vita di fede non come qualcosa di separato dalla realtà quotidiana della sua vita, ma come una realtà che, quando è vera, trova espressione fedele e coerente nelle scelte di ogni giorno. Questo vale per la pratica della parola di Dio, in generale; ma questo vale anche per l’uso della lingua, la gestione delle passioni, la generosità nella carità. Lasciamoci interpellare dalle parole di san Giacomo. E chiediamo la grazia di essere sempre molto attenti nel mettere in relazione la fede e la vita quotidiana.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Giacomo: “Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?”. All’apostolo sta cuore richiamare i cristiani alla coerenza nella vita della fede e alla pratica evangelica. Trattare con rispetto il ricco e con disprezzo il povero non è comportamento secondo il Vangelo e contraddice la parola del Signore. Come sempre, san Giacomo è attento ai comportamenti più ordinari e abituali. In effetti, è proprio in quei comportamenti che si rivela chiaramente il cuore e la verità della propria vita di fede.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Giacomo: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta”. L’apostolo, con la sua nota chiarezza, offre un criterio di verifica della verità della propria fede. Non basta, infatti, affermare di averla, la fede; perché questa è viva nella misura in cui diviene sorgente di carità. Ecco, pertanto, la prova del nove sulla fede, che san Giacomo propone. Osserva il tuo cuore e la tua vita. Sono animati dalla carità? Allora la tua fede è autentica. Non sono animati dalla carità? Fai attenzione, perché la tua fede è, forse, solo apparente.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola Dio dalla lettera di San Giacomo: “Così anche la lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose. Ecco: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! Anche la lingua è un fuoco, il mondo del male! La lingua è inserita nelle nostre membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geenna”. L’apostolo continua a scrivere con grande chiarezza e singolare concretezza. La fede si riconosce dalle opere. Quali “opere” scaturiscono dalla nostra voce? Quali “opere” produce la nostra lingua? Sono domande che tutti quanti siamo chiamati a rivolgere a noi stessi. Anche al fine di ricordare che, avendo ricevuto in dono la Parola di Dio, sulla nostra lingua non dovrebbero risuonare se non parole che ne siano l’eco e che, pertanto, siano sempre e solo buone, luminose per l’amore di cui sono testimoni.

 

VII SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Giacomo: “Fratelli miei, chi tra voi è saggio e intelligente? Con la buona condotta mostri che le sue opere sono ispirate a mitezza e sapienza. Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non dite menzogne contro la verità”. L’apostolo sfida colui che legge la sua lettera. A più riprese, infatti, illustra una virtù, per poi sottolineare che il possesso vero di quella virtù ha una sua modalità propria di espressione. Quindi, anche se, ad esempio, uno si dichiara sapiente, in realtà non lo è se si mostra vanitoso e menzognero. San Giacomo continua a essere molto concreto. Impariamo a esserlo anche noi, così che al nome cristiano corrisponda sempre una vita cristiana, almeno nel desiderio autentico di uniformare le scelte alla fede professata.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Giacomo: “Fratelli miei, da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra?”. L’apostolo ci aiuta ad avere uno sguardo vero su di noi. La radice del nostro peccato è nel cuore. Lì si decide del bene e del male nella nostra vita. Se Dio non abita il cuore, se non lasciamo che la Sua grazia ci trasformi, le potenze del male hanno la meglio su di noi. Dice ancora san Giacomo: “Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio”. Solo l’amicizia con Dio ci consente di vincere il male che assedia le porte del cuore. La pace, la giustizia, la gioia, la speranza germogliano laddove la vita si orienta a Dio. L’amicizia del mondo, invece, impedisce ogni fioritura e rende selvaggia la terra degli uomini.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Giacomo: “Ora [mi rivolgo] a voi, che dite: «Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni», mentre non sapete quale sarà domani la vostra vita! Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare. Dovreste dire invece: «Se il Signore vorrà, vivremo e faremo questo o quello»”. Le parole dell’apostolo risuonano come invito a considerare la nostra vita con uno sguardo più profondo di fede. Siamo nelle mani di Dio! Nulla è nostro, nulla ci appartiene, nulla possiamo da soli. Come sarebbe bello se nel nostro linguaggio quotidiano tornasse la bella abitudine di dire: “Se Dio vuole”. La fede si esprime anche nel modo di parlare; il nostro modo di parlare traduce la fede che viviamo.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Giacomo: “Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco”. Le parole usate dall’apostolo sono particolarmente dure e sono rivolte ai ricchi. Le loro ricchezze sono divenute impedimento a guardare con saggezza la vita, a scoprire che tutto passa, che passa la scena di questo mondo. Privati di una tale saggezza, le stesse ricchezze non permettono una vera adesione a Dio e un’autentica attenzione d’amore al fratello. Tutto passa in secondo ordine. È contro questa mentalità, contro questo uso e possesso delle ricchezze che si scagli san Giacomo. E, così facendo, riecheggia la parola evangelica: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!”.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Giacomo: “Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte… Ecco, noi chiamiamo beati quelli che sono stati pazienti”. Spesso la lamentela diventa caratteristica del nostro vivere quotidiano. Ci si lamenta di quanto avviene, degli altri, del Signore. In verità la lamentela è sintomo di un cuore che non è nella pace. La pazienza, lodata dall’apostolo, è una virtù che fiorisce in una vita toccata dall’amore di Dio e, pertanto, pacificata e serena verso se stessa, gli altri, gli accadimenti. Perché in tutto si sa vedere l’opera bella del Signore. Chiediamo nella preghiera di non essere “lamentosi”, chiediamo la pazienza, chiediamo di vivere sempre alla presenza di Dio.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Giacomo: “Fratelli miei, chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, canti inni di lode”. L’apostolo raccomanda che ogni esperienza della vita sia animata e accompagnata dalla preghiera. La preghiera, infatti, è il vero fondamento di una vita autenticamente cristiana. Chi prega diviene sempre più capace di riconoscere l’opera di Dio in ogni situazione; e così, in ogni situazione, diviene sempre più capace di esprimere la propria fede e la bellezza della relazione con il Signore. In virtù della preghiera tutto è vissuto in comunione di amore con Gesù. Oggi con il ritornello del Salmo ripetiamo: “La mia preghiera stia davanti a te come incenso”. Sia davvero così durante la giornata: la preghiera accompagni passo dopo passo il nostro cammino.

 

VIII SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Pietro: “Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce”. La nostra speranza è viva! La nostra speranza non si corrompe, non si macchia e non marcisce! Non è come le speranze umane che si traducono con un “forse”. La nostra speranza è certa e riguarda ciò che ancora non si vede ma vive ed è reale. La nostra speranza è fondata sulla risurrezione del Signore ed è nei Cieli. La nostra salvezza definitiva, il Paradiso è la nostra certa speranza. Come è bella la fede che ci introduce in questa speranza viva! Come è bello essere di Cristo, fondamento di ogni vera speranza!

 

Martedì 

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Pietro. L’apostolo Pietro invita alla santità: “Diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta”. Rinnovando questo invito, usa un’espressione un po’ singolare: “Cingendo i fianchi della vostra mente”. Qual è il significato di questa parola? San Pietro intende sottolineare l’importanza del pensiero nel cammino della santità. C’è, infatti, un pensare secondo il mondo e un pensare secondo Dio. Spesso lasciamo che il pensare secondo il mondo si insinui nella nostra mente, senza operare una conversione al pensare secondo Dio. Il santo, invece, è colui che ha il pensiero di Cristo, il cui pensare è sempre secondo la logica del Vangelo. Vigiliamo sui nostri pensieri! Domandiamoci spesso, in questa giornata, se stiamo pensando secondo Dio.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Pietro: “Carissimi, voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia”. Le parole dell’apostolo ci consentono di ricordare qual è stato il prezzo della nostra redenzione: il sangue di Cristo. Quel sangue, versato sulla croce, è il segno eloquente dell’amore che si dona senza riserve. In quel sangue è la vita del mondo, la vita di noi tutti. Quanto viene raggiunto da quel sangue è vivificato e fecondato, e rimane infuocato dall’amore stesso di Dio. Ecco il motivo per cui, con la nostra preghiera, siamo chiamati a meditare sul sangue di Gesù, siamo inviati a lasciarci toccare dal sangue di Gesù, siamo sospinti a nutrirci del sangue di Gesù. Chiediamo la grazia di rimanere immersi nel sangue del Signore per avere la vita e per ardere della carità stessa di Dio.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Pietro: “Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre siete costruiti anche voi come edificio spirituale”. La pietra scelta e preziosa, pietra fondamentale e angolare della costruzione della salvezza è Gesù, morto e risorto. Nella misura in cui ci avviciniamo a Lui, anche noi diventiamo partecipi e collaboratori nel progetto di Dio sulla storia del mondo, anche noi diamo il contributo al realizzarsi dell’edificio spirituale. Nelle parole dell’apostolo troviamo il fondamento della necessità della vita di grazia e di preghiera, al fine di fare della nostra vita una vera opera ricca di frutti in ordine alla redenzione. Rimanere distanti dalla pietra scelta e preziosa che è Cristo significa condannare all’insignificanza e alla sterilità soprannaturale i nostri sforzi e le nostre attività. Nulla possiamo senza Cristo! Tutto possiamo con Cristo!

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Pietro: “Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati”. L’apostolo scrive riferendosi agli ultimi tempi e a quello che risulta più necessario per viverli davanti a Dio. Così sottolinea, anzitutto, l’importanza della preghiera. E, subito dopo, raccomanda la carità. Ispirandosi a questa pagina di Pietro, Alessandro Manzoni scrive così, nei Promessi sposi: “Dio perdona tante colpe per un’opera di Misericordia”. La carità, la misericordia, l’amore reciproco hanno la forza di coprire il nostro peccato, di implorare dal Signore il dono della compassione per tante nostre povertà spirituali e morali. Ricordiamolo in questa giornata: ogni atto di carità attira su di noi la misericordia del Signore. In qualche modo, Dio si commuove davanti al nostro amore.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Giuda. Nel brano della lettera incontriamo tre verbi che corrispondono ad altrettanti inviti: ricordate, costruite, convincete. Con il primo verbo siamo richiamati alla necessità di fare memoria, per non dimenticare le grandi opere che Dio ha compiuto per noi e nella nostra vita. Con il secondo verbo siamo, invece, richiamati alla necessità di costruire la vita presente sul fondamento della fede e nella ricerca ardente della santità. Con il terzo verbo, infine, siamo richiamati alla necessità di convincere, con l’annuncio e la testimonianza del Vangelo, quanti ancora sono lontani e indifferenti dalla fede, o l’hanno abbandonata. Preghiamo a vicenda perché in questa giornata possiamo ricordare, costruire, convincere.

 

IX SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla seconda lettera di san Pietro: “La sua potenza divina ci ha donato tutto quello che è necessario per una vita vissuta santamente”. È in questa consapevolezza colma di gratitudine che, oggi, con il ritornello del salmo responsoriale, ripetiamo: “Mio Dio, in te confido”. La breve supplica può diventare l’invocazione che accompagna i passi di ogni nostra giornata. La certezza di poter confidare nel Signore in ogni momento della vita dona certamente tanta consolazione. Inoltre, però, è da aggiungere che la confidenza che poniamo in Dio è ciò che è più gli è gradito. Dio, che è amore infinito, infatti, desidera che noi, Suoi figli, viviamo con la confidenza nella Sua presenza di Padre. Pregare, pertanto, dicendo “Mio Dio, in te confido”, commuove il Cuore di Dio e aiuta noi a non dimenticare la premurosa Provvidenza con cui il Signore ci segue. Invocare Dio con fiducia significa credere al Suo Amore, a quella potenza divina che ci dona tutto il necessario.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla seconda lettera di san Pietro: “Carissimi, quale deve essere la vostra vita nella santità della condotta e nelle preghiere, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio”. L’apostolo insiste con i cristiani perché la loro vita sia segnata in profondità dalla preghiera e da una condotta santa. In questo modo essi non solo attendono il giorno di Dio, ma anche ne affrettano la venuta. In effetti, nella misura in cui la vita di questa terra riflette la bellezza del Cielo, il giorno di Dio e della Sua venuta definitiva viene in qualche modo anticipato e affrettato. Laddove Dio è accolto e si vive nella Sua volontà, la Patria eterna prende già forma. Viviamo, pertanto, nella preghiera e nella santità: e potremo cominciare a gustare lo splendore dei cieli nuovi e della terra nuova.

 

 

Mercoledì  

Ascoltiamo la parola di Dio dalla seconda lettera di San Paolo a Timoteo: “Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro”. Paolo, nel suo scrivere al discepolo Timoteo, lo esorta in una duplice direzione. Anzitutto a ravvivare il dono di Dio che ha ricevuto. La fede, infatti, non va semplicemente custodita ma anche alimentata, con cura e fervore. In secondo luogo Paolo esorta Timoteo a non vergognarsi del Vangelo e a dare testimonianza coraggiosa del Signore in virtù dello Spirito di forza, di carità e di prudenza che gli è stato donato. Accogliamo anche noi le esortazioni di Paolo: teniamo viva la fede, crescendo in essa ogni giorno; vinciamo le nostre timidezze, dando la nostra buona testimonianza del Risorto in mezzo al mondo.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla seconda lettera di san Palo a Timoteo: “Richiama alla memoria queste cose, scongiurandoli davanti a Dio di evitare le vane discussioni, che non giovano a nulla, se non alla perdizione di chi le ascolta”. Le vane discussioni di cui parla l’apostolo le ritroviamo nelle nostre parole inutili o cattive, nei nostri litigi poco edificanti, nelle nostre critiche distruttive, nei nostri giudizi privi di misericordia. Quella di Paolo non è semplicemente un’esortazione morale. Il Cristiano evita le vane discussioni perché nella sua vita e nelle sue parole risuona sempre la Parola viva che è Gesù: Parola che edifica, Parola che è Amore, Parola che è misericordia, Parola che è bellezza di Cielo sempre e per tutti. Sia in noi questa Parola di Cielo e non le vane parole del mondo.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla seconda lettera di san Paolo a Timoteo: “Figlio mio, tu mi hai seguito da vicino nell’insegnamento, nel modo di vivere, nei progetti, nella fede, nella magnanimità, nella carità, nella pazienza, nelle persecuzioni, nelle sofferenze. Quali cose mi accaddero ad Antiochia, a Iconio e a Listra! Quali persecuzioni ho sofferto! Ma da tutte mi ha liberato il Signore!”. L’apostolo intende educare e formare nella fede il suo discepolo Timoteo. E lo fa aiutandolo a considerare tutto ciò che insieme hanno vissuto. Una parte importante della vita trascorsa è costituita dalla persecuzione che Paolo ha dovuto patire. Ma il Signore lo ha sempre liberato. In tal modo Timoteo è aiutato a guardare sempre con speranza la propria vita e il proprio ministero, a non avere paura perché il Signore sarà sempre al suo fianco. E’ quanto dobbiamo ricordare ogni giorno anche noi.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dalla seconda lettera di San Paolo a Timoteo: “Carissimo, ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina”. Giunto quasi al termine della sua vita, Paolo si rivolge a Timoteo con accento accorato. Lo esorta ad annunciare il Vangelo senza mai stancarsi e senza alcun timore, anche quando la testimonianza della fede potrà essere faticosa. L’apostolo prevede un tempo nel quale “non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole”. Forse il tempo previsto da Paolo è anche il nostro. Certo, come Paolo esorta, anche noi oggi siamo chiamati a spenderci senza riserve per l’annuncio di Gesù Salvatore del mondo.

 

 

 

 

X SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “In quei giorni, Elia, il Tisbita, uno di quelli che si erano stabiliti in Galaad, disse ad Acab: «Per la vita del Signore, Dio d’Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo comanderò io»”. Ha inizio così il ciclo biblico del profeta Elia. Si tratta di una presentazione seguita da una parola profetica. Elia è colui che sta alla presenza di Dio. La sua vita è tutta in questo “stare fedele”, quasi come una roccia stabile, al cospetto di Dio. È una bella immagine che esprime la preghiera incessante del profeta, la realtà della sua vita interamente dedita al Signore. Proprio per questo egli può parlare e la sua parola può avere forza profetica, ovvero la forza di una parola che è detta in nome di Dio. Siamo chiamati a guardare Elia come esempio. Anche noi, infatti, possiamo e dobbiamo esercitare un compito di profezia nel mondo, annunciano il Vangelo della salvezza in nome del Signore. Ma questo annuncio sarà autentico solo se la nostra vita sarà uno stare fedele davanti a Dio, un’esperienza quotidiana di comunione intima con Lui.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “Quella andò e fece come aveva detto Elìa; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elìa”. Il brano dal primo libro dei Re presenta una donna pagana. È vedova, abita a Sarepta di Sidone e riceve la visita del profeta. Davanti alla sua richiesta di avere del cibo, si fida e dona a Elia tutto ciò che ha, pronta anche a morire. Quella vedova si fida talmente della parola ascoltata che mette in gioco, per quella, la sua stessa vita. Senza condizioni di fida di Dio. La domanda è inevitabile: con quale fiducia ascolto la parola che Dio mi rivolge? E, ancora più in profondità: “Sono pronto a rischiare la vita per quella Parola?”. In realtà, questa è la fede: fidarsi di Dio, costi quello che costi! E questo è anche l’amore.

 

 Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “Elia si accostò a tutto il popolo e disse: Fino a quando salterete da una parte all’altra? Se il Signore è Dio, seguitelo!”. Il profeta si rivolge a un popolo che viveva indeciso: riconosceva il Signore quale suo Dio, ma anche si rivolgeva a Baal, divinità pagana. In questa indecisione consisteva il grande peccato di quel popolo: viveva nel compromesso e non trattava il Signore da Signore. Può capitare anche a noi di vivere quell’esperienza, saltando da una parte all’altra. Abbiamo la fede, ma spesso viviamo come se non l’avessimo. Riconosciamo il Signore, ma ci capita di vivere senza amarlo davvero e senza seguirlo. Riascoltiamo, pertanto, le parole di Elia: “Se il Signore è Dio, seguitelo!”. Senza compromessi, senza indecisioni, senza tradimenti.

 

Giovedì.

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “Elia salì sulla cima del Carmelo; gettatosi a terra, pose la sua faccia tra le ginocchia. Quindi disse al suo servo: Sali, presto, guarda in direzione del mare. Quegli salì, guardò e disse: Non c’è nulla! Elia disse: Tornaci ancora per sette volte. La settima volta riferì: Ecco, una nuvola, piccola come una mano d’uomo, sale dal mare”. Nel paese vi è stata una grande siccità, come aveva preannunciato Elia. Ora, però, a motivo della preghiera del profeta, la siccità sta per volgere al termine. La preghiera esaudita ci aiuta a considerare la forza della preghiera che sgorga dal cuore di chi vive al cospetto di Dio in purezza di cuore. D’altra parte, quella preghiera esaudita ci parla anche della bontà di Dio che mai abbandona i suoi figli, anche se a volte permette che vivano nella prova e nella fatica. Anche quella prova e quella fatica, in realtà, sono al servizio del bene più grande di tutti noi.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “In quei giorni, Elia, giunto al monte di Dio, l’Oreb, entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta parola del Signore: Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore”. Nella vita del profeta, questa esperienza di Dio sul monte santo segna una svolta e costituisce una seconda chiamata. Elia sta vivendo un tempo di grave crisi, umana e spirituale. Il suo popolo è in rivolta contro Dio; il re di Israele, insieme a Gezabele, lo cerca per ucciderlo; la missione profetica sembra un completo fallimento. In questa drammatica situazione, Elia sale sul monte Oreb dove ha la grazia di ritrovarsi davanti a Dio, di ascoltarne nuovamente la presenza delicata e fedele, di riprendere fiducia alla luce della parola che gli viene rivolta. Grazie a quanto vive nella caverna, il profeta può riprendere il proprio cammino con rinnovata fiducia. Quanto egli ha vissuto non è stato un fallimento. Dio ha operato anche negli apparenti fallimenti umani, al fine di portare avanti la Sua opera di salvezza. Solo stando davanti a Dio è possibile superare ogni tempo di crisi.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “In quei giorni, Elia, disceso dal monte di Dio, l’Oreb, trovò Eliseo, figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elia, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elia, dicendogli: Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò. Elia disse: Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te”. Il gesto di Elia, che getta il proprio mantello addosso a Eliso, è un gesto simbolico di chiamata. Eliseo, infatti, in tal modo capisce immediatamente che Elia si fa per lui portavoce di Dio nell’invitarlo alla missione profetica. Egli dovrà subentrare a Elia. Eliseo abbandona tutto: affetti umani e proprietà terrene. Per lui ha inizio una vita del tutto nuova. Così è per tutti, quando si è raggiunti dalla chiamata di Dio. Si volta pagina nel libro della propria vita, si lascia ogni cosa e ci si incammina, con gioia e fedeltà, al seguito di Colui che ha chiamato.

 

XI SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “In quel tempo, Nabot di Izreél possedeva una vigna che era a Izreèl, vicino al palazzo di Acab, re di Samaria. Acab disse a Nabot: Cedimi la tua vigna; ne farò un orto, perché è confinante con la mia casa”. A questa richiesta Nabot risponde negativamente: “Mi guardi il Signore dal cederti l’eredità dei miei padri”. Sappiamo come si concluderà la vicenda. Su suggerimento della moglie Gezabele, Acab farà morire Nabot, in modo da poter prendere possesso della vigna desiderata. Il peccato di Acab è grande. Egli, infatti, uccide un uomo innocente che appartiene al suo popolo e, inoltre, si serve della sua autorità per compiere una gravissima ingiustizia nei confronti di un debole. Si capisce il motivo per cui, con il ritornello del salmo responsoriale ripetiamo: “Sii attento, Signore, al mio lamento”. È una preghiera che rivolgono a Dio coloro che sono deboli e indifesi. È una preghiera che raggiunge il nostro cuore per renderci attenti a tutti coloro che soffrono nell’ingiustizia.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “Dopo che Nabot fu lapidato, la parola del Signore fu rivolta a Elia il Tisbita: Su, scendi incontro ad Acab, re d’Israele, che abita a Samaria; ecco, è nella vigna di Nabot, ove è sceso a prenderne possesso. Poi parlerai a lui dicendo: Così dice il Signore: Hai assassinato e ora usurpi!”. Il profeta è inviato ad Acab, che ha peccato gravemente. La parola che gli viene messa sulle labbra è dura e non fa sconti; mette in luce il male compiuto dal re. Elia non si sottrae a questa parola, la fa riecheggiare nella propria voce mentre si rivolge ad Acab. Questi è il vero profeta: quello sulle cui labbra risuona la parola di Dio, sempre. Quando questa è dolce e consolante e quando, invece, è dura e tagliente. Elia con guarda alla propria sicurezza e al proprio comodo, alla propria popolarità e al proprio successo umano. Ascolta Dio e gli è fedele, annunciando la sua parola, che mortifica per donare la vita nella verità.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal primo libro dei Re: “Mentre continuavano a camminare conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo. Eliseo guardava e gridava: Padre mio, padre mio, carro d’Israele e suoi destrieri”. Il racconto della scomparsa di Elia è in parte misterioso. Precede la missione che viene affidata a Eliseo, il profeta che è chiamato a proseguire l’opera di Elia. La scena, comunque, esprime certamente la profonda comunione del profeta Elia con Dio e, di conseguenza, è come il sigillo sull’intera vita del grande profeta. Colui che poteva affermare “Dio d’Israele, alla cui presenza io sto”, è lo stesso che muore salendo nel turbine verso il cielo. Ogni autentico profeta sperimenta una singolare comunione con il mistero di Dio. Quel mistero è tutta la sua vita: la sua occupazione, la sua preoccupazione, la sua passione, il suo tormento, il suo amore.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del Siracide: “Sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola. Egli fece venire su di loro la carestia e con zelo li ridusse a pochi. Per la parola del Signore chiuse il cielo e così fece scendere per tre volte il fuoco”. Il brano biblico si presenta come un grande elogio del profeta. Nell’elogio risalta l’immagine della parola uscita dalla sua bocca che brucia come fiaccola. In questa immagine ci è dato di trovare due caratteristiche della parola di Dio. È una parola che brucia e, di conseguenza, purifica la vita da tutto ciò che è motivo di separazione da Dio. È anche una parola che illumina e, pertanto, indica la direzione dell’esistenza perché non vada perduta. In san Giovanni Battista, nuovo Elia e precursore di Gesù, la parola risuonerà proprio così: come fuoco che brucia e come fiaccola che illumina, al fine di preparare la strada e condurre il popolo all’incontro con il Salvatore.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro dei Re: “Ioiadà concluse un’alleanza con il Signore, il re e il popolo, affinché fosse il popolo del Signore, e così pure fra il re e il popolo. Tutto il popolo della terra entrò nel tempio di Baal e lo demolì, ne fece a pezzi completamente gli altari e le immagini”. Il sacerdote Ioiadà riporta il regno e il popolo all’alleanza con Dio, dopo che Atalìa, madre di Acazìa aveva iniziato a regnare nel paese introducendovi l’idolatria di popolazioni pagane. Ritorna spesso, nella storia di Israele, il momento della contaminazione religiosa. Sembra che Dio non basti più e che insorga la necessità di rivolgersi ad altre divinità. In tal modo è tradita l’alleanza con il Dio del Sinai, l’unico Dio vivente. La storia d’Israele è paradigmatica. La tentazione dell’idolatria, infatti, attraversa tutti i tempi. E’ la tentazione di abbandonare la fede in Dio, costruendo divinità a misura d’uomo e , quindi, manipolabili a piacimento.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro delle Cronache: “Allora lo spirito di Dio investì Zaccaria, figlio del sacerdote Ioiadà, che si alzò in mezzo al popolo e disse: Perché trasgredite i comandi del Signore? Per questo non avete successo; poiché avete abbandonato il Signore, anch’egli vi abbandona. Ma congiurarono contro di lui e per ordine del re lo lapidarono nel cortile del tempio Signore”. La parola profetica è messa a tacere; quella parola disturba e, quindi, non deve più risuonare come monito alla conversione e al cambiamento della vita. Israele uccideva i profeti perché la loro parola chiedeva l’abbandono del peccato e del male. Anche noi, spesso, uccidiamo la parola di Dio quando si presenza a noi nella chiarezza della sua verità, perché ostacola i nostri progetti di male e la nostra mediocrità fatta di compromessi con lo spirito del mondo. La parola la s può uccidere contraddicendola. Ma la si può uccidere anche facendo finta di non averla udita.

 

XII SETTIMANA

 

Lunedì 

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro dei Re: “Ma essi non ascoltarono, anzi resero dura la loro cervìce, come quella dei loro padri, i quali non avevano creduto al Signore, loro Dio. Rigettarono le sue leggi e la sua alleanza, che aveva concluso con i loro padri, e le istruzioni che aveva dato loro. Il Signore si adirò molto contro Israele e lo allontanò dal suo volto e non rimase che la sola tribù di Giuda”. Israele vive un tempo difficile della sua storia. Il re di Assiria invade i suoi territori e molti tra gli Israeliti vengono deportati. È il tempo della desolazione. Nella riflessione sapienziale dell’autore sacro si identifica il motivo vero di tutto questo: Israele non ha ascoltato la voce del Signore e non ha obbedito ai Suoi comandi. In tal modo si trasmette un messaggio sempre attuale: prendere le distanze da Dio significato prendere le distanze da se stessi e dalla vera vita. Significa perdersi.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro dei Re. Sennacherib, re di Assiria, si rivolge con tono sprezzante a Ezechia, re di Giuda, certo della sua vittoria in caso di battaglia: “Ecco, tu sai quanto hanno fatto i re d’Assiria a tutti i territori, votandoli allo sterminio. Soltanto tu ti salveresti?”. Ezechia, tuttavia, con fede grande, si rivolge al Signore e così prega: “Ma ora, Signore, nostro Dio, salvaci dalla sua mano, perché sappiano tutti i regni della terra che tu solo, o Signore, sei Dio”. Il Signore ascolterà la sua preghiera e concederà al suo popolo una vittoria insperata. Dice san Giovanni Crisostomo: “Chi prega tiene le proprie mani sul timone della storia”. Questa è la forza della preghiera, per noi e per gli altri. Non dimentichiamolo mai! E con tanta fede preghiamo senza stancarci.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro dei Re: “Lesse alla loro presenza tutte le parole del libro dell’alleanza, trovato nel tempio del Signore…Tutto il popolo aderì all’alleanza”. Il sommo sacerdote Chelkia ritrova nel tempio il libro della legge, che era andato perduto. Da lungo tempo, pertanto, non si leggeva più la parola di Dio. Per questo il cammino del popolo d’Israele si era fatto tortuoso e difficile. Ora, di nuovo, quel libro viene letto dal re e ascoltato da tutti. La parola di Dio torna a risuonare. Diviene chiara la Sua volontà e il cammino del popolo può riprendere sicuro e sereno. Ecco il richiamo per noi: non abbandoniamo mai il Vangelo! Portiamolo sempre con noi e alimentiamo continuamente la nostra vita con l’ascolto della parola di Dio. Perché il nostro cammino sia sempre nella Sua volontà e, di conseguenza, proceda nella pace.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro dei Re: “Fece ciò che è male agli occhi del Signore”. È quanto afferma la pagina biblica a proposito Ioiachin, re di Gerusalemme. La conseguenza di questo comportamento fu la deportazione degli abitanti di Gerusalemme a Babilonia da parte di Nabucodonosor. Il tempio venne spogliato dei suoi tesori, tutto diventò desolazione. La descrizione del brano biblico rimanda a un’altra deportazione e a un’altra desolazione. Quella che consegue al peccato. Il peccato, infatti, ci allontana da Dio, la nostra Vita vera; e, allo stesso tempo, lascia desolata e spoglia di ogni vera bellezza la nostra vita. Il peccato è sempre male e fa male! È la più grande tragedia umana. Combattiamo con audacia contro ogni forma di peccato nella nostra vita. Viviamo per il Signore e scegliamo sempre la Sua volontà.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal secondo libro dei Re: “Nell’anno nono del regno di Sedecìa, nel decimo mese, il dieci del mese, Nabucodònosor, re di Babilonia, con tutto il suo esercito arrivò a Gerusalemme, si accampò contro di essa e vi costruirono intorno opere d’assedio. La città rimase assediata fino all’undicesimo anno del re Sedecìa”. Un altro evento drammatico colpisce Israele e il suo Re. Nabucodonosor cinge d’assedio Gerusalemme. Quindi vi entra, incendia il tempio, mette a ferro e fuoco la città e deporta il popolo in Babilonia. A motivo del peccato di Israele capita tutto questo. Ma sarà questa l’ultima parola sulla vita di Israele? Sappiamo che Dio, più avanti, interverrà per mettere fine a una situazione tanto tragica. La bontà e la misericordia di Dio prevalgono sempre sulla malvagità e il peccato degli uomini. Anche questa pagina, pertanto, è una pagina biblica che ci parla di speranza.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro delle Lamentazioni: “Grida dal tuo cuore al Signore, gemi, figlia di Sion; fa’ scorrere come torrente le tue lacrime, giorno e notte! Non darti pace, non abbia tregua la pupilla del tuo occhio!”. Nella desolazione e nella costernazione per la rovina di Gerusalemme, e di fronte ad accadimenti tragici e a scene raccapriccianti, l’invito è ad alzare lo sguardo verso il Signore. È invito alla preghiera, nella consapevolezza che solo da Dio può venire riscatto, liberazione e salvezza. È anche invito a guardare gli avvenimenti della storia con occhio penetrante, ovvero capace di scorgere, nonostante tutto e nella drammaticità del presente, l’opera provvidente di Dio che tutto vuole e permette in vista del compimento dell’opera della salvezza. Anche quando tutto sembra perduto, la luce della speranza rimane viva perché Dio è fedele al Suo patto di alleanza e di amore.

 

XIII SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Amos: “Ecco, vi farò affondare nella terra, come affonda un carro quando è tutto carico di covoni. Allora nemmeno l’uomo agile potrà fuggire né l’uomo forte usare la sua forza, il prode non salverà la sua vita né l’arciere resisterà, non si salverà il corridore né il cavaliere salverà la sua vita. Il più coraggioso fra i prodi fuggirà nudo in quel giorno! Oracolo del Signore”. La profezia di Amos ha toni violenti e minacciosi. Il motivo è la deplorevole situazione morale e sociale in cui vive Israele. Le parole profetiche devono ridestare il popolo, incutere timore al fine di ritrovare la via del ritorno a Dio. La prospettiva del “giorno del Signore” quale giorno di giudizio e di condanna mette Israele davanti alla propria responsabilità e alla serietà dell’alleanza con Dio che è stata tradita e dimenticata. La minaccia e la violenza della parola profetica sono orientate alla conversione e alla salvezza del popolo ora smarrito.

 

Martedì

“Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Amos: “Il Signore Dio ha parlato: chi non profeterà? Vi ho travolti come Dio aveva travolto Sodoma e Gomorra, eravate come un tizzone strappato da un incendio; ma non siete ritornati a me. Oracolo del Signore. Perciò ti tratterò così, Israele! Poiché questo devo fare di te: preparati all’incontro con il tuo Dio, o Israele!”. Il profeta non può sottrarsi alla parola di Dio. Nel momento in cui Dio ha manifestato la Sua volontà, Amos non può tirarsi indietro e tacere. Nella vita dei profeti colpisce sempre molto questa sorta di necessità interiore, che conduce a proclamare parole esigenti, a esortare senza fare sconti, a illustrare una verità spesso scomoda, a scontrarsi con il pensiero comune e dominante. I profeti non guardano a se stessi e alla propria vita, non sono chiamati a salvaguardarsi. Essi sono stati introdotti nel mondo di Dio, al cui servizio rimangono con incrollabile fedeltà.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Amos: “Io detesto, respingo le vostre feste solenni e non gradisco le vostre riunioni sacre; anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco le vostre offerte, e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo! Piuttosto come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne”. Per mezzo del profeta la parola di Dio risuona forte e chiara in mezzo a un popolo che ha abbandonato la via diritta. Il culto è osservato, ma al culto non segue una vita conforme alla volontà di Dio. La separazione tra culto e vita è la grande tentazione di sempre. Questo non significa che si debba omettere il culto e che gli atti di culto non siano importanti. Non è questo il senso del richiamo del profeta Amos. Agli atti di culto, però, se vissuti nella loro intrinseca verità, deve seguire una vita di adesione a quel Dio a cui ci si rivolge con la parola e con il canto. Il culto conserva il suo autentico significato nella misura in cui la stessa vita diventa atto di culto a Dio, perché tutta protesa a vivere in conformità alla Sua parola, che si compendia nel grande comandamento dell’amore.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Amos: “In quei giorni, Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire a Geroboamo re di Israele: Amos congiura contro di te in mezzo alla casa di Israele; il paese non può sopportare le sue parole, poiché così dice Amos: Di spada morirà Geroboamo e Israele sarà condotto in esilio lontano dal suo paese. Amasia disse ad Amos: Vattene, veggente”. Il contrasto è fortissimo. Da una parte il sacerdote Amasia e il re Geroboamo che si sono appropriati delle cose di Dio usandole a proprio profitto. Dall’altra il profeta Amos, che in nome di Dio giudica il male del tempo presente e profetizza contro Israele. Da una parte la visione mondana della vita, dall’altra la visione della vita che viene dall’ascolto di Dio. Da una parte la deturpazione dell’immagine di Dio, dall’altra la fedeltà al Dio vero e vivente. La domanda per noi: da che parte stiamo, da che parte ci troviamo?

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio da libro del profeta Amos: “Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore. Allora andranno errando da un mare all’altro e vagheranno da settentrione a oriente, per cercare la parola del Signore, ma non la troveranno”. Il popolo di Dio ha dimenticato le promesse dell’alleanza e ogni suo interesse è rivolto alle cose terrene. Non è mai sazio di pane né di acqua e cerca con affanno ciò che nutre il corpo, anche calpestando i poveri e gli indigenti con atti di grave ingiustizia. Tutto questo è riprovato da Dio che, mediante la parola profetica, prospetta un tempo nel quale il popolo ritornerà in sé e cercherà nuovamente la parola del Signore, consapevole che non di solo pane può vivere l’uomo ma della parola che esce dalla bocca di Dio. In quel tempo, però, la parola di Dio sarà cercata invano, non risuonerà; Dio apparirà muto. Questa drammatica esperienza sarà di aiuto al popolo per toccare con mano quanto sia vero che senza Dio e la Sua parola è impossibile vivere.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Amos: “Farò tornare gli esuli del mio popolo Israele, e ricostruiranno le città devastate e vi abiteranno; pianteranno vigne e ne berranno il vino; coltiveranno giardini e ne mangeranno il frutto. Li pianterò nella loro terra e non saranno mai divelti da quel suolo che io ho concesso loro”. La promessa di Dio a Israele è bellissima e colma di consolazione. Un popolo, che era stato prima errante nel deserto e poi esiliato in terra straniera, ora ascolta la parola profetica che parla di un tempo nel quale Israele sarà piantato nella sua terra. È la promessa di una stabilità perenne nella terra tanto attesa, perché terra di Dio. L’antica promessa diviene realtà in Cristo Salvatore. In Lui è Dio stesso che entra nella terra degli uomini, piantandosi in essa perché tutti possano trovarvi il luogo tanto atteso della dimora dove è la vera Vita. La promessa si compie perché siamo “piantati per sempre in Gesù”, la Terra della salvezza.

 

 

 

 

XIV SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Osea: “Ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”. Ascoltiamo queste splendide parole nel libro del profeta Osea. È Dio che le pronuncia, per bocca del Suo inviato, rivolgendosi a un popolo che è stato infedele, ma al quale viene promessa la realtà bellissima di un amore nuziale con Dio. Non dovremmo mai dimenticarlo: la fede è un’avventura di amore nuziale. Il Signore si dichiara, affermando il Suo amore fedele in eterno. E noi rispondiamo, nella gioia e nella gratitudine stupita, capendo che in quell’amore è la nostra salvezza. Ritorniamo sulle parole dell’amore divino: “sedurrò, condurrò nel deserto, parlerò al suo cuore”. Sono rivolte a noi! Su ognuna di queste parole meditiamo, con ognuna di queste parole preghiamo, alla luce di queste parole esultiamo.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Osea: “Così dice il Signore: Hanno creato dei re che io non ho designati; hanno scelto capi a mia insaputa. Con il loro argento e il loro oro si sono fatti idoli, ma per loro rovina. Ripudio il tuo vitello, o Samaria! La mia ira divampa contro di loro; fino a quando non si potranno purificare? Viene da Israele il vitello di Samaria, è opera di artigiano, non è un dio: sarà ridotto in frantumi”. La parola profetica mette in luce che cosa è accaduto in Israele al tempo di Osea. Si sono costruiti un Dio a propria immagine: quel Dio è solo opera di un artigiano, ovvero opera dell’uomo. E, ancora, si sono dati re e capi che Dio non ha scelto, progettando la loro vita al di fuori della volontà di Dio. L’esperienza di Israele può essere anche la nostra. E lo è quando, invece di adorare il Dio Vivente nel volto di Cristo, ci prostriamo davanti a un dio che è solo opera della nostra immaginazione. E lo è anche quando, invece di ascoltare la parola di Dio e viverla, impostiamo le giornate a prescindere da quella Parola.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Osea: “Vite rigogliosa era Israele, che dava sempre il suo frutto; ma più abbondante era il suo frutto, più moltiplicava gli altari; più ricca era la terra, più belle faceva le sue stele”. A volte l’abbondanza materiale è la causa del disorientamento spirituale. Così è avvenuto spesso nella storia di Israele. Di questo ci parla il profeta Osea. Il popolo ha abbandonato Dio e il suo cuore si è volto altrove, a quell’abbondanza materiale che è solo illusione e motivo di tragica delusione. Ecco perché la parola profetica termina con un richiamo forte e accorato: “E’ tempo di cercare il Signore”. Dio, nello sbandamento del Suo popolo, rimane fedele e invita al ritorno. In quel ritorno consisterà la salvezza. Anche per noi è tempo di cercare il Signore, di tornare al Suo amore, prendendo con coraggio le distanze da tutto quello che svia il cuore da Lui.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Osea: “Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim”. È noto come Osea abbia ricevuto da Dio il compito di presentare l’alleanza con Israele sottolineandone la dimensione sponsale. L’amore di Dio per il Suo popolo appare forte, appassionato, fedele nonostante tutto. Nelle parole profetiche Dio ricorda l’amore che un tempo lo legava al popolo. Poi è intervenuto il peccato, il tradimento. Ma l’amore di Dio rimane. Anzi, la caduta del popolo provoca in Lui commozione e un fremito di compassione “perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira”.

 

 

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Osea: “Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente, poiché la mia ira si è allontanata da loro. Sarò come rugiada per Israele”. A fronte della parola profetica, che illustra la bellezza e la profondità dell’amore di Dio per il Suo popolo, la più bella risposta è quella che si può dare con il ritornello del salmo responsoriale: “La mia bocca, Signore, proclami la tua lode”. In tal modo viene data espressione al desiderio che scaturisce dal cuore quando si ha la grazia di fare l’esperienza dell’amore di Dio in tutta la sua profondità e bellezza. Quel desiderio è anche il nostro, di noi che abbiamo incontrato il Signore, sperimentandone ogni giorno la misericordia infinita. La nostra bocca, quindi, proclami sempre la lode del Signore, ne annunci con gioia la bontà, ne proclami senza mai stancarsi lo splendore. E alla bocca si unisca anche la vita. Sia, infatti, la nostra stessa vita un canto alla bellezza dell’amore di Dio.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Isaia: “Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto elevato; i lembi del suo mantello riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria”. L’esperienza che Isaia fa di Dio ne rivela tutta la trascendenza. Davanti a Dio altro non è possibile fare se non prostrarsi in adorazione. Ciò che proclamazione con timorosa riverenza gli angeli è lo stesso canto che anche noi oggi innalziamo al Signore nella Messa, poco prima che si rinnovi il mistero della presenza eucaristica di Cristo risorto. Rinnovare quell’antica acclamazione aiuta a capire la straordinaria novità del Vangelo. Il Dio tre volte santo è lo stesso Dio che si fa uomo e va a morire in croce per la nostra salvezza.

 

XV SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Isaia: “Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene”. La parola profetica arriva al cuore della vita di fede e ne mette in luce un pericolo ricorrente: la non incidenza della preghiera sul modo di vivere e le scelte dell’esistenza quotidiana. Può sempre capitare che ci si abitui a vivere una sorta di divisione, per cui la preghiera e la fede non hanno più la capacità di orientare concretamente la vita. Si prega Dio e vi sceglie contro la Sua volontà. Si dice di avere fede e si operano scelte che la contraddicono. Chiediamo la grazia di vincere in noi questa divisione. Preghiamo e operiamo perché la vita sia sempre coerente con la fede.

 

Martedì 

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Isaia: “Allora il suo cuore e il cuore del suo popolo si agitarono, come si agitano gli alberi della foresta per il vento”. L’annotazione biblica riguarda la reazione di Acab, re di Giuda, e del suo popolo, alla notizia che il re di Aram e il re d’Israele si erano decisi a muovere guerra a Gerusalemme. Il testo profetico si conclude con la parola di Dio, pronunciata per bocca di Isaia: “Così dice il Signore Dio: Ciò non avverrà e non sarà!… Ma se non crederete, non resterete saldi”. In queste parole vi si trova un invito alla fede e alla fiducia in Dio, roccia sicura del Suo popolo. Rimanere in Dio e avere fede in Lui significa sperimentare la Sua forza e rimanere saldi anche nelle difficoltà. La parola profetica troverà pieno compimento in Gesù, roccia salda su cui costruire la casa della vita, perché abbia saldezza e stabilità, perché sperimenti la gioia dell’eternità.

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Isaia: “Così dice il Signore: Oh! Assiria, verga del mio furore, bastone del mio sdegno! Contro una nazione empia io la mando e la dirigo contro un popolo con cui sono in collera, perché lo saccheggi, lo depredi e lo calpesti come fango di strada”. La parola profetica fa intendere che quanto capiterà a Israele è permesso dal Signore, perché costituisca un richiamo forte a motivo del suo comportamento. Israele, infatti, si è allontanato da Dio e non ne ascolta più la parola. Le vicende storiche che colpiscono Israele diventano il mezzo di cui Dio si serve per chiamare il Suo popolo a conversione, rendendolo consapevole del Suo peccato. Siamo invitati ad accogliere ogni fatto della vita, buono o cattivo, come via attraverso la quale il Signore parla alla nostra vita. Tutto, nella fede, diventa possibilità di ascolto di Dio, che mai abbandona, che è sempre Provvidenza, che è Amore fedele, che in tutto rivela la Sua misericordia.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Isaia: “Sì, sul sentiero dei tuoi giudizi, Signore, noi speriamo in te; al tuo nome e al tuo ricordo si volge tutto il nostro desiderio. Di notte anela a te l’anima mia, al mattino dentro di me il mio spirito ti cerca”. Il profeta si fa portavoce del suo popolo che, dopo aver abbandonato Dio, ora si rivolge di nuovo a lui, rinnovando l’esperienza del suo desiderio. Allontanarsi da Dio è stata una grande stoltezza. Tornare è vera saggezza. La ricerca non riguardava più Dio ma altro. Il desiderio non si indirizzava più a Dio ma ad altro. E la vita, un po’ alla volta, veniva meno. L’esperienza era quella di una morte progressiva. Ora, ritrovato il desiderio di Dio si rinnova l’esperienza della sua misericordia, che perdona il peccato e ridona vita là dove era venuta meno la speranza. Si può, invece, ancora sperare: “Ma di nuovo vivranno i tuoi morti. I miei cadaveri risorgeranno! Svegliatevi ed esultate voi che giacete nella polvere. Sì, la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre”.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Isaia: “Così dice il Signore: Da’ disposizioni per la tua casa, perché tu morirai e non vivrai. Ezechia allora voltò la faccia verso la parete e pregò il Signore dicendo: Signore, ricordati che ho camminato davanti a te con fedeltà e con cuore integro e ho compiuto ciò che è buono ai tuoi occhi”. L’accorato appello di Ezechia verrà accolto dal Signore che esaudirà la sua richiesta di vivere. La sua preghiera e le sue lacrime, segno di una preghiera che sale dal cuore, rimangono esemplari anche per noi. La nostra preghiera, infatti, è spesso fredda e senza cuore. Non appare una preghiera che sale dalle profondità dell’anima e rivolta a Dio con la confidenza di un grande amore. La preghiera gradita a Dio, invece, è come quella di Ezechia: una preghiera in cui il cuore dell’uomo parla al Cuore di Dio, una preghiera in cui tutta la nostra umanità si porta davanti a Dio senza finzioni, ma nella verità della propria vita, dei propri desideri, delle proprie paure, delle proprie gioie, del proprio peccato e della volontà sincera di aderire alla volontà di Dio.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Michea: “Guai a coloro che meditano l’iniquità e tramano il male sui loro giacigli”. Dio, per bocca del profeta, indirizza parole forti e di rimprovero a coloro che coltivano il male nel proprio cuore: pensieri, giudizi, desideri, progetti. Prima che a esserlo il nostro agire, malato è il nostro cuore. Le azioni hanno sempre radice nella nostra vita interiore. E là dove nessuno vede, spesso ci sentiamo più liberi di coltivare il male. Ecco perché è necessario essere vigilanti e non smettere mai di evangelizzare il nostro cuore, specchiandolo nella parola del Signore e verificandone la salute spirituale alla luce della volontà di Dio. Convivere con il male che si fa strada nel cuore significa già averlo abbracciato. Chiediamo nella preghiera la grazia della conversione del cuore.

 

XVI SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Michea: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio”. La parola profetica termina con un’indicazione bella e preziosa. L’invito di Dio al Suo popolo è quello a “camminare umilmente con il tuo Dio”. È su questa umiltà che desideriamo oggi sostare. In realtà, spesso il nostro camminare con Dio non e’ contrassegnato da umiltà. E questo avviene perché portiamo in noi la pretesa di “fare di testa nostra”, la pretesa di essere noi a dettare i tempi e i modi del cammino, la pretesa di “metterci davanti al Signore”. La salvezza, invece, consiste nel rimanere umilmente dietro al Signore, abbandonandosi con fiducia alla Sua volontà, che è sempre volontà di amore. Solo nell’umiltà ci è dato di accogliere il disegno di Dio su di noi, facendo della nostra vita un capolavoro di santità.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Michea: “Egli tornerà ad aver pietà di noi, calpesterà le nostre colpe. Tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati”. In un tempo di grave infedeltà e di abbandono della volontà di Dio, queste parole colme di compassione e di misericordia furono una grande consolazione per il popolo che si era reso consapevole del proprio tradimento e della propria miseria. Ci sentiamo partecipi dei sentimenti di quel popolo e accogliamo anche noi, come motivo di grande consolazione, la certezza che Dio “getterà in fondo al mare tutto i nostri peccati”. Forti di questa grazia desideriamo riprendere il cammino ricordando la parola di Gesù: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre”. Dal perdono di Dio possa derivare l’impegno deciso a fare della Sua volontà il senso di ogni nostra giornata. Anche oggi!

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “Mi fu rivolta questa parola del Signore: Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato, ti ho stabilito profeta delle nazioni”. Siamo in ascolto della chiamata del profeta Geremia. Dio si rivolge a lui per affidargli una speciale missione profetica in mezzo al suo popolo. Egli avrà un compito arduo: avrà “autorità sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare”. Proprio per questo il profeta ha bisogno di sapere quanto grande sia stato ed è l’amore di Dio per lui. Prima ancora che nascesse Dio lo ha pensato, fin da allora aveva ben presente il suo nome. Ogni vocazione nasce da una esperienza particolarmente forte dell’amore di Dio. Da quell’amore si scopre si essere stati pensati e voluti, in quell’amore si sente di vivere, per quell’amore si avverte di dover dare tutta la vita senza riserve e condizioni. La vocazione è una chiamata dell’Amore all’amore.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “Mi fu rivolta questa parola del Signore: Va’ e grida agli orecchi di Gerusalemme: Così dice il Signore: Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in terra non seminata”. Per bocca del profeta Dio si rivolge al suo popolo nel ricordo dell’amore di un tempo. In tal modo appare chiaro il tema centrale di tutta la storia della salvezza: quello della sponsalità. Dio entra in relazione con il popolo che si è scelto per vivere con lui una relazione di amore sponsale. Ora, in un momento della storia in cui Israele ha abbandonato il suo Dio, venendo meno al patto dell’alleanza, Dio stesso fa memoria del tempo passato al fine di risvegliare il desiderio del ritorno alla bellezza di quell’amore. Anche a noi il Signore chiede di riportare al cuore la grandezza del suo amore, perché si risvegli in noi il desiderio di una relazione sponsale con lui.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua”. Questa parola rivolta da Dio al Suo popolo per bocca di Geremia raggiunge anche noi e ci tocca profondamente. Quante cisterne piene di crepe che non trattengono acqua ci scaviamo! A quante di queste cisterne andiamo ad attingere, illudendoci che possano mettere fine alla nostra sete! Così abbiamo abbandonato la sorgente e abbiamo vissuto la più amara delle delusioni: abbiamo smarrito il senso della vita. La nostra è sete di infinito e di eterno, sempre! E solo Dio può rispondere in modo addirittura sovrabbondante e impensabile al grido del nostro cuore. Torniamo, dunque, alla Sorgente!

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “Ma voi confidate in parole false e ciò non vi gioverà: rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dei che non conoscevate. Poi venite e vi presentate alla mia presenza in questo tempio, che prende il nome da me, e dite: Siamo salvi! per poi compiere tutti questi abomini”. La parola che Dio mette sulle labbra del profeta è molto forte. Il popolo onora con le labbra il Signore nel tempio, ma fuori del tempio la sua vita è in contraddizione con ciò che Dio vuole. Può essere che anche in noi si verifichi a volte questo triste contrasto: sulle nostre labbra vi sono tante parole di fede, ma la nostra vita le contraddice con leggerezza. Chiediamo al Signore la grazia di desiderare con tutto il cuore la coerenza tra le parole della fede e la vita secondo la fede.

 

XVII SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “Il Signore mi disse così: Va’ a comprarti una cintura di lino e mettitela ai fianchi senza immergerla nell’acqua. Io comprai la cintura, secondo il comando del Signore, e me la misi ai fianchi. Poi la parola del Signore mi fu rivolta una seconda volta: Prendi la cintura che hai comprato e che porti ai fianchi e va’ subito all’Eufrate e nascondila nella fessura di una pietra”. Come spesso avviene nella vita dei profeti, anche Geremia riceve dal Signore il comando di compiere un gesto simbolico. La cintura legata ai fianchi esprime il desiderio che Dio aveva di legare a sé il Suo popolo. Ma ora la cintura viene nascosta nella fessura di una pietra nel fiume Eufrate. Quando Geremia andrà a riprenderla, dopo qualche tempo, la cintura sarà marcita, segno del disfacimento dell’alleanza, desiderata da Dio ma infranta dal popolo. Chiediamo la grazia di rimanere sempre legati al Signore, come una cintura ai fianchi di chi la indossa.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “Il Signore ha detto: I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, perché da grande calamità è stata colpita la vergine, figlia del mio popolo, da una ferita mortale. Se esco in aperta campagna, ecco le vittime della spada; se entro nella città, ecco chi muore di fame. Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere”. La situazione del popolo di Dio è tragica. Una siccità terribile ha reso drammatica la vita e tutto sembra andare in rovina. La mancanza di pioggia diventa anche il segno di una lontananza da Dio che ha gettato un intero popolo nella disgrazia e nel disorientamento. Eppure, Dio ha ancora pietà del Suo popolo. Le Sue lacrime ne sono il segno evidente e commovente. Nessuna colpa, per quanto grande, può far venire meno la Sua misericordia infinita. Nel momento del nostro peccato, non dimentichiamo le lacrime di compassione e di amore del Signore per noi.

 

 

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “Me infelice, madre mia! Mi hai partorito uomo di litigio e di contesa per tutto il paese! Non ho ricevuto prestiti, non ne ho fatti a nessuno, eppure tutti mi maledicono”. La vita del profeta conosce il momento della crisi. La sua è una crisi spirituale, perché avverte la propria solitudine in mezzo al popolo a cui è stato inviato. La parola profetica non è accolta, anzi è osteggiata, la sua stessa vita è in pericolo, non si vede alcun cambiamento a motivo della parola che egli annuncia. La tentazione è quella di abbandonare il campo. Quello di Geremia è il destino di tutti i veri profeti. Viene il momento in cui la parola di Dio, prima dolcezza e letizia del cuore, diventa amara, perché incompresa e fonte di grandi dolori. Eppure Geremia, come pure ogni altro autentico profeta, rimane fedele al proprio incarico nella certezza della fedeltà di Dio. Nel proprio cuore risuona ancora la parola che illumina e consola: “Essi devono tornare a te, non tu a loro, e di fronte a questo popolo io ti renderò come un muro durissimo di bronzo”.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “Forse non potrei agire con voi, casa d’Israele, come questo vasaio? Oracolo del Signore. Ecco, come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa d’Israele”. Le parole che Dio rivolge al profeta inducono alla contemplazione grata del mistero della vita: “Siamo nelle mani di Dio, siamo opera Sua”. Quelle mani sono mani amanti. Ecco perché l’immagine del vasaio che plasma l’argilla diviene una contemplazione grata e portatrice di pace. L’antico popolo si era dimenticato di questa verità e pretendeva di camminare da solo, come protagonista della propria vita. Per questo viveva l’amarezza dell’esilio. Quando si dimenticano le mani di Dio, si pretende di abbandonare quelle mani, l’unico triste destino è proprio l’esilio: da sé stessi, dalla vita vera.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “Ora, quando Geremìa finì di riferire quanto il Signore gli aveva comandato di dire a tutto il popolo, i sacerdoti, i profeti e tutto il popolo lo arrestarono dicendo: “Devi morire!”. La triste esperienza del profeta, che non trova ascolto presso il suo popolo, ha da dirci qualcosa di importante e sempre attuale. Sulla bocca di Geremia risuona la parola di Dio e il popolo si ribella dicendo: “Devi morire”. In verità, quella stessa parola, forse senza dirla espressamente, anche noi la viviamo di fatto: quando ci ostiniamo a non ascoltare la voce del Signore, quando pretendiamo di camminare nella vita secondo i nostri pensieri e non secondo il pensiero di Dio. Quando ciò accade, è come se dicessimo alla Parola di Dio: “Devi morire”. Chiediamo la grazia che non sia mai così.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “In quei giorni, i sacerdoti e i profeti dissero ai capi e a tutto il popolo: Quest’uomo merita una sentenza di morte, perché ha profetizzato contro questa città come avete udito con i vostri orecchi!”. L’uomo che deve essere messo a morte è Geremia, colpevole di aver pronunciato parole di condanna per il comportamento di tutto il popolo. In realtà quelle parole di condanna sono l’eco fedele della parola di Dio, una parola che sferza in vista della salvezza, una parola che fa male ma per curare la malattia del peccato. Non dobbiamo mai tenere la parola del Signore, anche quando senza mezzi termini svela la nostra povertà spirituale e il male presente nella nostra vita. Quella di Dio è sempre parola di amore, parola per noi e non contro di noi. Ascoltarla e viverla conduce alla vera Vita e alla vera gioia.

 

 

 

 

 

XVIII SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “Allora il profeta Geremìa disse al profeta Ananìa: Ascolta, Ananìa! Il Signore non ti ha mandato e tu induci questo popolo a confidare nella menzogna; perciò dice il Signore: Ecco, ti faccio sparire dalla faccia della terra; quest’anno tu morirai, perché hai predicato la ribellione al Signore”. Anania si rivela essere un falso profeta. Perché? La parola che egli pronuncia non viene da Dio. La sua è solo una parola umana, detta per ingraziarsi il popolo, non per condurre sulla via di Dio. Tutti siamo chiamati, in un certo senso, a essere profeti, perché tutti abbiamo la missione di annunciare la parola di Dio. Chiediamo la grazia di essere profeti veri, che con fedeltà annunciano il Vangelo, e non profeti falsi, che annunciano una loro parola, gradita al mondo e facile da accogliere, ma ingannevole e incapace di indicare la via della vera Vita, la Verità che è Cristo Salvatore.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “Così dice il Signore: La tua ferita è incurabile, la tua piaga è molto grave. Nessuno ti fa giustizia; per un’ulcera vi sono rimedi, ma non c’è guarigione per te… Perché gridi per la tua ferita? Incurabile è la tua piaga. Ti ho trattato così per la tua grande iniquità, perché sono cresciuti i tuoi peccati. Così dice il Signore: Ecco, cambierò la sorte delle tende di Giacobbe e avrò compassione delle sue dimore”. Le parole che Dio rivolge al Suo popolo per bocca del profeta vanno in una duplice direzione. Da una parte sottolineano la drammatica situazione di Israele, il suo grave peccato, la sua condizione di malattia. D’altra parte rinnovano la fedeltà di Dio all’alleanza e all’amore che Egli ha promesso a Israele una volta per sempre. Nonostante la grande iniquità, pertanto, Israele può ancora sperare, perché infinita è la bontà del Signore. Sperimentiamo anche noi tale bontà confessando con umiltà le nostre colpe.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “Da lontano gli è apparso il Signore: Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine di Israele. Di nuovo ti ornerai dei tuoi tamburi e uscirai fra la danza dei festanti”. Le parole del profeta sono parole di speranza nella situazione drammatica in cui si trova Israele. Quando tutto sembra perduto, ecco che la voce di Dio risuona colma di consolazione. Quella voce fa riecheggiare la verità dell’amore fedele di Dio, che fa intravedere nuovi orizzonti di vita. Al pianto farà seguito il grido della gioia, la sconfitta lascerà il posto alla vittoria, le lacrime si muteranno in danza. La promessa riguarda in particolare il tempo messianico. Noi, pertanto, la leggiamo come realizzata in Gesù. Ma solo come anticipazione di quella realizzazione definitiva che si avrà quando Dio sarà tutto in tutti, nella gloria dell’eternità.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Geremia: “Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa ‘Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore”. Il profeta prospetta l’avversarsi di un tempo in cui, tra Dio e il suo popolo, si stabilirà una nuova alleanza. All’alleanza antica, stipulata alle pendici del Sinai, subentrerà quella nuova, edificata sulla croce di Cristo. Non sarà più l’alleanza della legge scritta su tavole di pietra, ma l’alleanza della legge scritta sul cuore dell’uomo. In tal modo l’obbedienza a Dio non consisterà più nell’adesione a una norma impossibile da seguire fedelmente, ma nell’adesione alla parola di Dio da parte di un cuore rinnovato dalla grazia e, dunque, capace di vivere nella legge nuova della carità.  Se la legge antica rendeva l’uomo consapevole della propria debolezza e suscitava la supplica di essere salvato, ora, con la legge nuova la salvezza è donata in Cristo e la vita nella fede consiste nell’accogliere il dono di Dio.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Naum: “Guai alla città sanguinaria, piena di menzogne, colma di rapine, che non cessa di depredare! Sibilo di frusta, fracasso di ruote, scalpitio di cavalli, cigolio di carri, cavalieri incalzanti, lampeggiare di spade, scintillare di lance, feriti in quantità, cumuli di morti, cadaveri senza fine, s’inciampa nei cadaveri”. Dopo aver annunciato la pace al paese di Giuda, il profeta annuncia anche il prossimo annientamento del male. La personificazione di tutto questo è la città di Ninive. Forse, al momento, Giuda non vede la sconfitta di Ninive, ma in realtà la città del peccato è già annientata. Quanto viene annunziato dal profeta ci riguarda. Il male, anche ai nostri giorni, sembra avere la meglio. In realtà, però, in Gesù risorto da morte è già stato sconfitto. La pace ci è stata donata. Ancora in speranza nella sua pienezza. Ma già pregustata realmente laddove il Signore è accolto nella vita dei singoli e delle comunità.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Abacuc: “Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza, a spiare, per vedere che cosa mi dirà, che cosa risponderà ai miei lamenti”. Questa parola del profeta esprime il suo desiderio di capire che cosa il Signore ha da dirgli, l’attesa di una parola che sa essere parola di verità e di vita. Ascoltando quanto vive Abacuc, avvertiamo quanto a noi manchi un desiderio vero e fedele di metterci in sintonia con la parola del Signore e la Sua volontà. Forse, come ci ricorda il Vangelo, è la fede che manca. Non crediamo davvero che la parola ascoltata sia di Dio! Non crediamo davvero che la Sua volontà sia volontà di amore per la nostra vita. “Se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile”. Signore, donaci questa fede!

 

XIX SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Ezechiele: “Così percepii in visione la gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a terra”. Il profeta ha una particolare esperienza di Dio e ne contempla la gloria. Da questa contemplazione deriva la sua caduta a terra. Davanti alla grandezza di Dio l’uomo non può fare altro che piegare le ginocchia e adorare stupito. Con il ritornello del salmo responsoriale oggi ripetiamo: “I cieli e la terra sono pieni della tua gloria”. Osserviamo quanto ci sta attorno. Contempliamo la bellezza della natura. Lì scorgiamo un riflesso della gloria di Dio. Impariamo a stupirci. Impariamo a inginocchiarci. Impariamo a contemplare con meraviglia la gloria di Dio che avvolge la nostra vita.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Ezechiele: “Figlio dell’uomo, mangia ciò che ti sta davanti, mangia questo rotolo, poi va’ e parla alla casa di Israele”. Il profeta riceve da Dio l’incarico di farsi Suo portavoce presso il popolo. Ma prima deve mangiare un rotolo, il rotolo che contiene la parola del Signore. L’atto del mangiare indica assimilazione profonda di quella Parola, il divenire una cosa sola con ciò di cui ci si è nutriti. Il profeta può parlare al popolo solo se prima ha assimilato la Parola del Signore. Anche noi possiamo essere annunciatori del Vangelo solo se quel Vangelo lo abbiamo mangiato e lo mangiamo ogni giorno, assimilandolo fino a farlo divenire vita della nostra vita. In ciascuno di noi si rinnovi il mistero del Verbo fatto carne.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Ezechiele: “Il Signore gli disse: Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme, e segna un tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono”. In questo testo profetico il tau è un segno di salvezza. Coloro, infatti, che lo hanno ricevuto come distintivo sulla fronte non sono soggetti allo sterminio. Quel tau è segno dell’appartenenza a Dio e alla Sua alleanza. Osservando il segno del tau nella prospettiva del compimento della storia della salvezza in Cristo, un nuovo segno di salvezza si erge davanti a noi: quello della croce. La croce è il nuovo segno che indica appartenenza a Dio e, pertanto, accoglienza della salvezza nella propria vita. Impariamo, pertanto, a portare sempre con noi la croce di Gesù. A metterla in mostra nei luoghi della nostra vita quotidiana. E, soprattutto, a fare in modo che la croce sia impressa nel nostro cuore, nella nostra intelligenza, nei nostri affetti, nelle nostre scelte. Viviamo nel segno della croce! Chi vive alla luce della croce di Gesù ne sperimenta la forza salvifica nella propria umanità.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Ezechiele: “Mi fu rivolta questa parola del Signore: Figlio dell’uomo, tu abiti in mezzo a una genìa di ribelli, che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono, perché sono una genìa di ribelli”. Il profeta ascolta dal Signore questa parola. Oggi la ascoltiamo anche noi. E capiamo che è tanto vera anche per noi come lo era per l’antico popolo. A noi, infatti, che è stato fatto dono della fede per vedere Dio e ascoltare Dio, capita di rimanere incapaci sia di vedere che di ascoltare. Vediamo, ma non ci accorgiamo della presenza fedele e amorevole di Dio. Ascoltiamo, ma non ci rendiamo conto del Signore che ci parla con perseveranza d’amore. La fede ci è data perché possiamo vedere e ascoltare il Signore: sempre e in tutto.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Ezechiele: “Ti feci un giuramento e strinsi alleanza con te e divenisti mia”. Per bocca del profeta, Dio ricorda al Suo popolo la storia della salvezza, ovvero l’alleanza d’amore con la quale Egli lo ha legato a sé come fa uno sposo con la propria sposa. “Ti adornai di gioielli. Ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo; misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una splendida corona sul tuo capo”. Con questo linguaggio tipico dell’amore sponsale Ezechiele ci presenta la storia di Dio con noi. Questa storia è anche individuale, riguarda ciascuno di noi. Oggi, pertanto, riscopriamo la gioia di essere amati da Dio. Oggi, però, ritroviamo anche il desiderio di spendere la nostra vita amando Dio con tutto il nostro cuore. E sia questa la nostra gioia!

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Ezechiele: “Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non sarà più causa della vostra rovina. Liberatevi da tutte le iniquità commesse e formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo”. Con queste parole, per mezzo del Profeta, Dio si rivolge al Suo popolo. È un popolo peccatore, che è invitato ad abbandonare la strada dell’iniquità mediante una vera conversione. Solo un cuore nuovo, però, è la radice di una vita nuova, secondo Dio. L’appello del Signore diviene per noi invito alla preghiera. Solo lo Spirito Santo, infatti, può strapparci il cuore di pietra e donarci un cuore di carne, nuovo della novità che viene da Dio. La conversione inizia proprio dalla preghiera, perché solo con la grazia di Dio possiamo cambiare veramente il cuore.

 

XX SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Ezechiele: “Mi fu rivolta questa parola del Signore: Figlio dell’uomo, ecco, io ti tolgo all’improvviso cole che è la delizia dei tuoi occhi: ma tu non fare il lamento, non piangere, non versare una lacrima”. Il gesto del profeta è altamente simbolico: gli è sottratta la moglie amata e i suoi occhi non versano lacrime, egli appare insensibile a quanto accade. E’ quanto sta avvenendo in mezzo al popolo di Israele: non vi è più un’adesione sincera e sentita a Dio, Egli non è più il centro e il cuore della vita del popolo. Dio è dimenticato e non se ne avverte più il desiderio. A tanto è giunta la depravazione di Israele, il suo smarrimento. Lasciamoci interpellare anche noi dal gesto profetico di Ezechiele e consideriamo come tante volte nella nostra vita si riproponga lo stesso atteggiamento dell’antico popolo. Siamo distanti da Dio, Egli non è più il centro della nostra vita personale e collettiva, la Sua parola non è ascoltata, la Sua presenza non è desiderata. La parola di Ezechiele sia, ancora oggi, invito alla conversione e al ritorno a Dio.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Ezechiele: “Perciò così dice il Signore Dio: Poiché hai reso il tuo cuore come quello di Dio, ecco, io manderò contro di te i più feroci popoli stranieri;

snuderanno le spade contro la tua bella saggezza, profaneranno il tuo splendore. Ti precipiteranno nella fossa e morirai della morte degli uccisi in mare. Ripeterai ancora: Io sono un dio, di fronte ai tuoi uccisori?”. Per bocca del profeta, Dio si rivolge al principe di Tiro, che si è insuperbito a motivo della sua potenza terrena. Si crede grande e mette in mostra la propria presunta grandezza. La parola di Dio, però, mette in chiaro la realtà del principe, come anche quella di ogni uomo. La grandezza solo mondana è nulla davanti agli occhi del Signore, e destinata al fallimento più deludente. E’ pura illusione che non resiste all’usura del tempo. Tutto passa, solo Dio rimane. E solo in Dio sta la vera grandezza, nel vivere la Sua volontà è la vera saggezza. Agli occhi di Dio il mondo appare capovolto; e si scopre che chi sembra grande in realtà è piccolo e che sembra piccolo in realtà è grande.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Ezechiele: “Mi fu rivolta questa parola del Signore: Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, profetizza e riferisci ai pastori: Così dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge”. La parola pronunziata da Dio per bocca del profeta è forte e chiara. Chi è chiamato a pascere il gregge non può pensare a se stesso; la sua vita deve essere tutta dedita a quanti gli sono stati affidati. Il richiamo riguarda anzitutto i pastori. Ma riguarda anche tutti coloro che hanno una responsabilità nei confronti del prossimo. Una tale responsabilità è affidata non per esercitare un potere arbitrario, ma per essere tramite dell’amore del Signore, della Sua presenza, della Sua parola di verità e di vita. Ogni potere è in vista del servizio, il servizio a Dio perché Egli sia presente nella vita di tutti quale unico e vero pastore delle nostre anime.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Ezechiele: “Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”. La parola profetica è splendida. Fa intendere che vi sarà un tempo nel quale il cuore dell’uomo verrà guarito in profondità. Dio stesso opererà: il cuore di pietra diventerà un cuore di carne, uno spirito nuovo sarà il frutto di una grande purificazione. In sintesi, si tratta della salvezza: dal peccato, dal male in ogni sua forma, dalla morte. Quelle antiche parole trovano realizzazione in Gesù. Lui è il Salvatore, che rinnova la vita e il cuore dell’uomo. In Lui e solo in Lui è la novità tanto attesa e desiderata. Siamo salvati. E ciò non è opera nostra, perché impossibile agli uomini, ma è opera di Dio e del Suo amore smisurato per noi.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Ezechiele: “Egli mi replicò: Profetizza su queste ossa e annuncia loro: “Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete. Saprete che io sono il Signore”. Davanti al profeta si presenta un’immagine desolante: una pianura immensa piena di ossa inaridite. Da Dio egli riceve il comando di profetizzare su quelle ossa, che riprenderanno vita e diventano un grande esercito. La profezia si avvererà in modo definitivo quando lo Spirito Santo scenderà sugli Apostoli a Pentecoste. Quegli uomini impauriti e nascosti, in forza dello Spirito, divengono i grandi testimoni del Risorto nel mondo. Invochiamo ogni giorno su di noi lo Spirito del Signore, per passare dalla morte alla vita, dalla paura al coraggio, dalla timidezza all’audacia nelle cose che riguardano Dio.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del profeta Ezechiele: “Io caddi con la faccia a terra. La gloria del Signore entrò nel tempio per la porta che guarda a oriente”. Il profeta vive un’esperienza straordinaria: il tempio gli appare come la sede della presenza gloriosa di Dio. La visione di Ezechiele anticipa la definitiva presenza di Dio in mezzo al Suo popolo: quella che si realizza in Gesù, Dio con noi. Presenza che, nel tempo della nostra storia, si fa fedele compagnia nel cammino della vita per il tramite della Santissima Eucaristia. Oggi, pertanto, come e più di Ezechiele, possiamo ascoltare con meraviglia e con gioia le antiche parole: “Questo è il luogo del mio trono e il luogo dove posano i miei piedi”. Stiamo spesso e a lungo davanti all’Eucaristia: lì è la presenza gloriosa del Signore in mezzo a noi.

 

XXI SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla seconda lettera di San Paolo ai Tessalonicesi: “Dobbiamo sempre rendere grazie a Dio per voi, perché la vostra fede fa grandi progressi e l’amore di ciascuno di voi verso gli altri va crescendo”. L’apostolo ringrazia il Signore perché vede che i Cristiani di Tessalonica progrediscono nella loro vita cristiana: in loro crescono la fede e l’amore. In tal modo Paolo ricorda anche a noi che l’appartenenza al Signore è chiamata a progredire sempre. La fede deve progredire! L’amore deve progredire! Là dove, infatti, non c’è crescita la vita cristiana diviene tiepida. La tiepidezza è la grande nemica della sequela di Gesù. Durante il nostro esame di coscienza, periodicamente dovremmo domandarci: “Mi sono preoccupato del mio progresso spirituale? Oppure mi sono adagiato in una stanca mediocrità?”.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla seconda lettera di San Paolo ai Tessalonicesi: “Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente. Nessuno vi inganni in alcun modo!”. In ogni tempo della storia si levano voci che annunciano catastrofi o l’imminente fine del mondo o ancora tempi drammaticamente oscuri. Al tempo di Paolo alcuni dichiaravano ormai prossimo il giorno del Signore, quale giorno di giudizio e di conclusione della storia. L’apostolo invita a non farsi ingannare e a rimanere saldi nella fede ricevuta. Tutto è sotto il sigillo della Provvidenza. Solo Dio conosce i tempi e i modi della fine. A noi il compito di mettere cuore, intelligenza, affetti, energie nella sequela del Signore e nel servizio alla Chiesa per la salvezza del mondo.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla seconda lettera di San Paolo ai Tessalonicesi: “Il Signore della pace vi dia egli stesso la pace sempre e in ogni modo. Il Signore sia con tutti voi. Questo saluto è di mia mano, di Paolo; ciò serve come segno di autenticazione per ogni lettera; io scrivo così. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi”. Con queste parole di saluto l’apostolo conclude la sua seconda lettera indirizzata ai cristiani di Tessalonica. Sono parole molto belle che trasmettono quanto di più prezioso hanno da augurarsi coloro che hanno la fede. Paolo, infatti, augura anzitutto la pace che viene dal Signore, quella che solo Lui può donare al cuore umano e che libera da ogni inquietudine. Paolo, poi, augura la grazia, quel dono di salvezza e di amore che cambia in profondità la vita. Anche tra di noi auguriamoci sempre pace e grazia. Preghiamo a vicenda, perché possiamo vivere ogni nostra giornata nella pace e nella grazia del Signore.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi: “Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza”. L’apostolo ringrazia il Signore per i doni spirituali che osserva nella comunità di Corinto. In tal modo ci ricorda quanto sia importante coltivare uno sguardo capace di contemplare le grandi opere di Dio nella vita dei nostri fratelli. Ogni tanto dovremmo fermarci a considerare i doni di grazia di quanti abbiamo incontrato nella vita e di quanti vivono accanto a noi. E rendere grazie a Dio, datore di ogni bene. Fare questo ci aiuterà a conservare, nella gratitudine, occhi limpidi, pronti a riconoscere l’opera del Signore, e un cuore puro, capace di gioire per i doni scoperti attorno a noi.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi: “Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio”. Le parole dell’apostolo ribaltano i criteri del mondo, per il quale la croce di Gesù è stoltezza e scandalo. Quella croce, infatti, è la vera potenza e la vera sapienza, in quanto è il compimento del disegno di Dio sull’uomo e sulla storia. Non si può capire il mistero della nostra vita come neppure il mistero del mondo se non a partire dalla Croce di Gesù. Proviamo a osservare tutto dal Crocifisso. Proviamo a giudicare tutto dal Crocifisso. Proviamo a vivere tutto dal Crocifisso. Saremo partecipi della potenza e della sapienza di Dio, entreremo nell’esperienza dell’Amore che tutto salva e tutto rinnova.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti”. Le parole dell’apostolo conducono al cuore dell’esperienza di fede e dell’annuncio della fede. Più ciò che è umano è piccolo e più si manifesta l’opera di Dio. Tutta la storia della salvezza conosce questa “legge” tipicamente divina: nel piccolo si esprime il grande, in quello che non vale agli occhi del mondo si rivela la meraviglia dell’amore di Dio. La nostra piccolezza, pertanto, non deve mai sgomentarci. Il Signore non ha bisogno della nostra sapienza e della nostra forza. Ha solo bisogno che mettiamo la nostra vita, qualunque essa sia, a Sua disposizione così che Egli possa realizzare le meraviglie del Suo amore.

 

XXII SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi: “Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”. Quanto San Paolo scrive ai cristiani di Corinto è molto importante. Egli non vuole presentare una sapienza mondana, non vuole convincere con la forza di una parola umanamente forte e suadente. Il suo unico desiderio è quello di proclamare la verità in Gesù crocifisso, perché la Verità si faccia spazio nel cuore di chi lo ascolta. L’apostolo non vuole uomini e donne che si attacchino a lui e alla sua capacità di persuadere. Desidera che quanti lo ascoltano entrino in relazione viva con Gesù. Solo Lui è il Salvatore. L’apparente debolezza del Crocifisso è la vera forza che salva ogni uomo e il mondo.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi: “Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato”. L’apostolo si fa portavoce di una verità bellissima della nostra fede. Nel cammino di ogni giorno verso Dio non siamo soli. Un amico prezioso accompagna i nostri passi e ci aiuta a entrare nel mistero di Dio. Questo grande amico è lo Spirito Santo. Se lo invochiamo con costanza e fiducia, se entriamo nel nostro cuore per ascoltarlo, ci accorgiamo che la nostra vita è tutta sostenuta dallo Spirito Santo. Lui, infatti, è il suggeritore della nostra preghiera, Lui e’ l’ispiratore del bene, Lui è il consolatore nella fatica, Lui ci conduce fedelmente a Gesù. “Vieni, Santo Spirito! Portami nei segreti del Cuore di Dio!

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi: “Quando uno dice: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere”. L’apostolo scrive ai cristiani di Corinto con il desiderio di aiutarli a crescere nella fede che hanno ricevuto. Egli nota in quella comunità un eccessivo attaccamento a coloro che hanno annunziato il Vangelo. Non a questi i Corinzi devono attaccarsi. Essi sono testimoni e collaboratori di un Altro. Solo Dio è il Signore della vita e il Salvatore. Ed è a Lui, non a se stessi, che i testimoni vogliono condurre. Per questo Paolo è forte e deciso nella sua parola. Egli è nulla, Apollo è nulla. Bisogna andare oltre Paolo e Apollo. Solo Dio è importante! A Lui bisogna rivolgere lo sguardo, il cuore, la vita.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi: “Fratelli, nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: «Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia». E ancora: «Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani»”. Nelle parole dell’apostolo sono messe a confronto due forme di sapienza: quella del mondo e quella di Dio. Quella del mondo ritiene erroneamente stoltezza la sapienza che deriva dalla fede. Quella di Dio svela la stoltezza della sapienza umana. Chi vive di fede, pertanto, non può assumere come metro di pensiero e di giudizio i criteri del mondo. La sua fede questi criteri li contesta, vedendone la stoltezza e la falsità. Per questo vi è irriducibile contraddizione tra Dio e il mondo, tra fede e mondanità. Rimaniamo fedeli alla parola di Dio e nutriamoci sempre di essa per mantenere vivo in noi il pensiero di Cristo, il pensare ogni aspetto della vita alla luce della sapienza del Vangelo.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi: “Fratelli, ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele”. In queste poche parole, l’apostolo delinea il tratto fondamentale della sua missione e di quella di ogni sacerdote, chiamato dal Signore a essere Suo servo e amministratore dei beni della salvezza. Proprio in queste due parole sta il cuore della vita sacerdotale: servitore e amministratore. Il sacerdote, infatti, non ha nulla di suo, neppure la sua stessa vita. Dal momento in cui è stato chiamato, egli ha accolto la richiesta di Gesù di perdere la propria vita perché la vita stessa di Gesù sia presente nella sua. E poi, nessun bene di salvezza gli appartiene. Tutto è del Signore che glielo ha affidato perché ne divenisse dispensatore fedele: la Parola non è sua, i sacramenti non sono suoi, nulla è suo ma di Cristo. Preghiamo perché in ogni sacerdote risplendano sempre più il volto, il cuore, l’amore, il pensiero, la parola, la vita di Cristo.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo percossi, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi”. L’apostolo sottolinea alcuni aspetti del suo infaticabile ed eroico ministero, al fine di richiamare ai cristiani di Corinto il dono della sua paternità: “Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo”. Paolo è un vero apostolo, un vero pastore che dona tutto se stesso per la vita in Cristo di coloro che gli sono affidati. La sua paternità nella fede è forte e delicata, tenace e dolcissima. Davvero per lui il gregge è tutto. Preghiamo per avere molti padri nella fede, pastori veri che, dimentichi di se stessi, diano ogni giorno la vita per le pecore affidate alle loro cuore.

 

XXIII SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “Fratelli, si sente dovunque parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti, in modo che si tolga di mezzo a voi chi ha compiuto una tale azione!”. Alcuni, nella comunità cristiana di Corinto, non vivono alla luce della fede. L’immoralità sembra dilagare senza che nessuno abbia nulla da dire. Paolo è molto fermo nella sua parola. E l sua parola aiuta anche noi, sotto un duplice aspetto. Anzitutto, ci ricorda che la fede ispira la vita, che essere di Cristo implica delle scelte anche nel campo della morale quotidiana. In secondo luogo, ci ricorda che non si può rimanere in silenzio e neutrali laddove la moralità è contraddetta. Nel tempo del relativismo si è testimoni del Vangelo anche affermando con chiarezza, se pure nella carità, ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è secondo Dio e ciò che non lo è, ciò che è degno dell’uomo e ciò che lo mortifica.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “È già per voi una sconfitta avere liti tra voi! Perché non subire piuttosto ingiustizie? Perché non lasciarvi piuttosto privare di ciò che vi appartiene? Siete voi invece che commettete ingiustizie e rubate, e questo con i fratelli! Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio?”. L’apostolo deve intervenire a Corinto perché nella comunità cristiana sorgono contrasti e litigi. Paolo ne è preoccupato per due motivi. Anzitutto, perché la litigiosità ferisce in profondità quella comunione che, invece, dovrebbe caratterizzare il vivere insieme nel nome del Signore. In secondo luogo, perché la litigiosità è una forma di contro testimonianza davanti al mondo, una contro testimonianza che getta nel discredito l’annuncio del Vangelo. Facciamo tesoro del richiamo paolino: la comunione nella carità è il segno della verità della nostra appartenenza a Cristo e, allo stesso, tempo, è il migliore annuncio della salvezza.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve…passa infatti la figura di questo mondo”. L’apostolo invita i Cristiani di Corinto a osservare la vita sull’orizzonte dell’eternità e a operare scelte considerando la vanità del tempo presente. In effetti, soltanto a partire da Dio e da ciò che ci attende al di là della morte è possibile vivere con saggezza e con pienezza anche il tempo della vita. La verità è oltre il tempo e in quell’oltre impariamo la vera sapienza. Che cosa è davvero importante? Che cosa varrà di me e della mia storia agli occhi del Signore? Siano queste domande ad accompagnare sempre il nostro cammino e ad accompagnarlo in questa nostra giornata. Senza inutili ritardi: perché il tempo si è fatto breve e passa la figura di questo mondo.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “Fratelli, la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica. Se qualcuno crede di conoscere qualcosa, non ha ancora imparato come bisogna conoscere. Chi invece ama Dio, è da lui conosciuto”. L’apostolo sembra mettere in opposizione conoscenza e amore nell’esperienza della fede. In realtà, egli desidera ricordare ai cristiani di Corinto che quando la conoscenza non è accompagnata dall’amore risulta una conoscenza vana. Non basta conoscere Dio e le cose di Dio. È necessario che una tale conoscenza, certo importante, abbia una ricaduta sulla vita e sia alla base di un amore sempre più intenso. Giustamente si dice che “si ama quello che si conosce”. Ma, allo stesso tempo, “si conosce quello che si ama”. Questo circolo virtuoso è proprio anche della relazione viva e vera con il Signore: più Lo si conosce e più Lo si ama; più Lo si ama e più Lo si conosce.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io. Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre”. Le parole dell’apostolo riescono a trasmetterci l’entusiasmo e la passione con cui egli ha vissuto la propria fede, lo slancio con il quale ha annunciato il Vangelo, il desiderio ardente di Cristo che ha caratterizzato tutta la sua vita. Allo stesso tempo, le parole di Paolo diventano anche per noi uno stimolo forte ad abbandonare la nostra mediocrità e la nostra lentezza nella sequela del Signore. Che cosa ha dato tanto zelo all’apostolo? Un grande amore per il Signore. Il Signore era tutto per lui. Questo stesso grande amore, coltivato con cura quotidiana, possa mettere le ali alla nostra vita cristiana.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane”. In poche parole l’apostolo offre una presentazione completa ed efficace della celebrazione eucaristica. Quale ne è, infatti, il cuore e il frutto? Il cuore e il frutto della Messa è Cristo, di cui ci nutriamo per vivere in una sempre più intima comunione di vita con Lui. Di conseguenza ci è dato anche di entrare in una profonda comunione con tutti coloro che partecipano all’unico pane che è Cristo. Inserimento vitale e progressivo nella comunione con il Signore e con la Chiesa: ecco perché l’Eucaristia è la fonte e il culmine della vita cristiana, ecco perché senza l’Eucaristia non è possibile vivere l’esperienza della fede.

 

XXIV SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “Fratelli, non posso lodarvi, perché vi riunite non per il meglio, ma per il peggio. Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo”. L’apostolo scrive alla comunità cristiana di Corino, avendo avuto notizie che il tempo della celebrazione eucaristica è vissuto nella divisione trai fratelli che condividono la stessa fede. Per questo interviene. E lo fa ricordando che la comunione al Corpo e al Sangue del Signore, quando è autentica, diviene sorgente di comunione tra tutti coloro che si sono nutriti del Risorto. Non è pensabile vivere il memoriale della morte e risurrezione del Signore lasciando che un elemento di divisione si insinui nelle relazioni fraterne. La verità della comunione con Cristo è provata dalla comunione tra fratelli. E la comunione tra i fratelli è la conseguenza della comunione con Cristo. Attorno all’Eucaristia si edifica la Chiesa quale mistero di comunione. Davvero l’Eucaristia fa la Chiesa, donandole la forza che viene dal Risorto perché viva nella carità e ne dia testimonianza al mondo. Da questo tutti sapranno che siamo i discepoli di Gesù.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo”. L’apostolo usa la bella immagine del corpo per illustrare il grande mistero della Chiesa. La Chiesa, anzitutto, è il corpo di Cristo che, pertanto, riflette la Sua bellezza e la Sua santità. Tutto ciò che la Chiesa ha le è donato dal Suo Signore, che l’ha ricolmata di tutti i beni di salvezza e, a prezzo del Suo sangue, l’ha resa Sua sposa immacolata. Quanto in noi è santo appartiene alla Chiesa; ma quanto non è santo non è della Chiesa. Inoltre, la Sposa di Cristo ha una interiore unità, a motivo della quale ogni suo membro è decisivo in ordine alla storia della salvezza. Una tale verità riscatta la nostra vita da qualunque esperienza di banalità e inutilità. Anche il più piccolo membro, anche quel membro che umanamente potrebbe sembrare irrilevante, in realtà, occupa il posto che Dio gli ha assegnato e, pertanto, è indispensabile nel Suo progetto di amore.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “Fratelli, desiderate invece intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime”. Inizia così quel testo paolino che è conosciuto come Inno alla carità. Si tratta di una pagina sublime per contenuto e afflato poetico, che conduce al centro della vita cristiana. Il carisma più grande è la carità. Di carisma si tratta in quanto è un dono che Dio fa all’uomo: il dono del Suo amore, perché la carità è esattamente l’amore di Dio riversato nei nostri cuori. In Cristo Salvatore che dona il Suo Spirito, un tale carisma è consegnato alla nostra vita. Così la vita cristiana si identifica con l’accoglienza dell’amore di Dio che diviene, nel cuore umano, nuovo principio di vita, di scelte, di pensieri, di giudizi. Tutto rimane ispirato dalla carità: viviamo nella carità è di carità. Per questo alla fine della vita, come affermano i santi, saremo giudicati sull’amore.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”. Nella predicazione dell’apostolo emerge la sua ferma volontà di trasmette solo ciò che egli ha ricevuto. Avverte di essere ministro di un deposito sacro che non gli appartiene, il deposito della fede che deve raggiungere tutti, quale annuncio di salvezza e di vita nella verità che è Cristo. Paolo non proclama una parola sua, ma quella Parola che il Signore ha consegnato agli apostoli e che gli apostoli, a loro volta, annunciano nella Chiesa. Così si sviluppa la Tradizione, tesoro inestimabile e patrimonio a noi trasmesso perché possa diventare fonte di vita vera per il mondo intero, in ogni tempo della storia.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi: “Fratelli, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede”. L’apostolo, a fronte di alcuni dubbi che serpeggiano tra i cristiani di Corinto, ripropone con forza molto efficace l’annuncio della fede, nella sua dimensione centrale e decisiva: Cristo è risorto dai morti! Questa, in effetti, è la novità decisiva dell’annuncio cristiano, questo è il fatto che cambia la storia e porta nel mondo un’aurora di vera speranza. Credere che Gesù è risorto significa affermare che la morte è stata annientata, che il peccato e il male sono stati sconfitti, che i confini del tempo sono stati aperti e la vita dell’uomo ha come destino felice l’eternità di Dio. La vittoria del Signore è anche la nostra vittoria.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi: “Fratelli, qualcuno dirà: «Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?». Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere. Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità”. Ai quei cristiani che, con curiosità, interrogano circa il “come” della risurrezione, l’apostolo risponde ponendosi su un altro piano. Certa è la risurrezione, perché il Signore è risorto. Ma riguardo al “come” non è utile interrogarsi. Lo stato di risorti non lo possiamo immaginare, come non sarebbe immaginabile pensare a una pianta osservandone il seme da cui ha preso vita. Sappiamo, però, che il Signore, come sempre, andrà al di là di ogni nostra attesa e speranza, nel fare davvero felice la nostra vita nella Sua eternità.

 

XXV SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dei Proverbi: “Figlio mio: non negare un bene a chi ne ha il diritto, se hai la possibilità di farlo. Non dire al tuo prossimo: ‘Va’, ripassa, te lo darò domani’, se tu possiedi ciò che ti chiede. Non tramare il male contro il tuo prossimo, mentre egli dimora fiducioso presso di te. Non litigare senza motivo con nessuno, se non ti ha fatto nulla di male”. In questa serie di antichi proverbi è condensata la legge di Dio in ordine alle relazioni con il prossimo. E’ una legge che l’uomo scopre scritta nel proprio cuore e che porta a riferirsi all’altro facendo memoria della sua dignità di persone e di persona bisognosa. Una tale legge viene ulteriormente illuminata e approfondita in Gesù. La parola del Vangelo, infatti, consente di andare oltre nell’amore al prossimo, dal momento che l’altro, soprattutto quando bisognoso, diviene presenza viva dello stesso Signore, da amare, servire, accogliere, custodire. Nel Vangelo è il compimento della Legge antica e la pienezza della verità sull’uomo.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dei Proverbi: “Il cuore del re è un corso d’acqua in mano al Signore: lo dirige dovunque egli vuole. Agli occhi dell’uomo ogni sua via sembra diritta, ma chi scruta i cuori è il Signore. Praticare la giustizia e l’equità per il Signore vale più di un sacrificio. Occhi alteri e cuore superbo, lucerna dei malvagi è il peccato”. In questa sequenza di proverbi ritroviamo un’antica e sempre attuale sapienza popolare, che ha le sue radici nella relazione con Dio. È re colui che lascia il proprio cuore in mano a Dio; la bellezza della regalità è in ciascuno di noi, quando lasciamo che la nostra vita sia condotta dalla volontà di Dio. Solo Dio vede veramente il cuore umano; in Lui, pertanto, siamo chiamati a scoprire la verità di noi stessi. L’amore vale più di tutto; l’amore, pertanto, è la prima legge della vita e deve ispirare ogni altra azione. Occhi e cuore sono una lucerna che rivela: da come si guarda e da come ci si relaziona all’altro si capisce la bontà o meno dell’uomo.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dei Proverbi: “Ogni parola di Dio è purificata nel fuoco; egli è scudo per chi in lui si rifugia. Non aggiungere nulla alle sue parole, perché non ti riprenda e tu sia trovato bugiardo”. La sapienza antica, contenuta nel libro dei proverbi, sottolinea l’importanza della parola di Dio nella vita dell’uomo. Quella di Dio è parola affidabile e sicura, che è scudo per chi la ascolta, la accoglie e la custodisce nel proprio cuore. È scudo che difende dagli assalti del male, protegge dalle insidie del nemico, rende forti nel combattimento quotidiano e aiuta a superare gli inevitabili ostacoli presenti nel cammino della fede. La parola di Dio è da custodire integra e fedelmente: è il tesoro che Dio ci ha donato perché avessimo la vita vera. Per questo ogni giorno siamo chiamati a vincere la tentazione di impoverirla o rinnegarla, soprattutto quando la parola del mondo si insinua nel cuore e nella mente con la sua forza di subdola persuasione.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del Qoèlet: “Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità. Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole? Una generazione se ne va e un’altra arriva, ma la terra resta sempre la stessa.
Il sole sorge, il sole tramonta e si affretta a tornare là dove rinasce”. Il testo biblico, a una lettura superficiale, appare come la fotografia di una vita senza senso e destinata al nulla. In realtà si tratta di una riflessione sapienziale, per quale l’esistenza risulta essere insensata se Dio dovesse risultare assente o non interessato a essa. In questo senso, l’ascolto di Qoèlet pone davanti al dramma che vive l’uomo per il quale Dio non è presenza viva e operante nella storia. Tutto, allora, perde significato e tutto, alla fine, risulta inutile. Solo la fede in Dio, creatore e salvatore, amante della vita, riempie di senso lo svolgersi della storia e le vicende del mondo, pone fine all’inquietudine del cuore umano e lo pacifica nella Verità e nell’Amore.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del Qoèlet: “Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo”. In queste parole del testo ispirato siamo ricondotti alla verità della vita e del mondo presente: tutto è segnato dalla provvisorietà e dalla caducità. Ecco perché oggi, con il ritornello del salmo responsoriale, ripetiamo: “Benedetto il Signore, mia roccia”. Nella provvisorietà e caducità generale, che tanto ci affligge e addolora, Dio e’ la Roccia che mai viene meno. Nella misura in cui rimaniamo saldamente ancorati al Signore la nostra vita partecipa di ciò che è eterno e senza fine. Senza Dio siamo come un soffio e come l’ombra che passa; con Dio sperimentiamo la Sua forza, viviamo nel Suo rifugio, indossiamo il Suo scudo, entriamo nell’Amore senza tempo.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro del Qoelet: “Godi, o giovane, nella tua giovinezza, e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù. Segui pure le vie del tuo cuore e i desideri dei tuoi occhi.
Sappi però che su tutto questo Dio ti convocherà in giudizio”. Il testo biblico invita a considerare le diverse stagioni della vita. Qui si attarda a illustrare quella della giovinezza. L’invito che l’autore fa al riguardo intende essere un richiamo ad apprezzare il tempo della giovinezza come dono di Dio. Allo stesso modo si dovrà apprezzare ogni altra età. Ciò che davvero conta è accogliere la vita, in ogni sua stagione, dalle mani di Dio, vivendola tutta in fondo nella volontà di quel Signore che l’ha donata. È anche un invito a sapere vivere l’attimo presente: è quello il tempo provvidenziale dell’appuntamento che Dio ci dona per fare della vita un capolavoro di santità.

 

XXVI SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro di Giobbe: “Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!”. Con queste parole Giobbe esprime il proprio stato d’animo, nel momento in cui è raggiunto dalle notizie tragiche che riguardano la Sua famiglia e i suoi possedimenti. Giobbe non si dispera, non si lamenta con Dio, non vacilla nella fede. Giobbe, anzi, conferma la propria fede e benedice Dio, datore di tutto quello che l’uomo è e possiede. Conserviamo nel cuore le parole di Giobbe, perché ci aiutino a rinnovare la fede e la benedizione di Dio, sia nella gioia che nel dolore, nella salute e nella malattia, nella buona e nella cattiva sorte. Siamo nelle mani di Dio: dunque, siamo sempre in buone mani!

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro di Giobbe: “Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno. Prese a dire: Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: È stato concepito un maschio! Perché non sono morte fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo?”. Le parole di Giobbe riflettono una situazione di grande angoscia spirituale e di enorme sofferenza fisica. Sono il riflesso dell’esperienza del dolore nella vita dell’uomo di ogni tempo. In tale situazione emerge la grande domanda: “Perché?”. È la domanda che attraversa i secoli e che abita ogni cuore umano toccato dal dolore. La grazia della salvezza in Gesù, crocifisso e risorto, comporta anche il dono di un senso nuovo che viene dato al dolore, in relazione al peccato entrato nel mondo e al piano divino della redenzione. Senza Cristo il perché sul male rimane senza riposta. In Cristo anche il male trova il proprio inserimento del disegno provvidenziale e di amore che Dio ha sull’uomo e sulla storia.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro di Giobbe: “Giobbe rispose ai suoi amici e prese a dire: In verità io so che è così: e come può un uomo aver ragione dinanzi a Dio? Se uno volesse disputare con lui, non sarebbe in grado di rispondere una volta su mille. Egli è saggio di mente, potente di forza: chi si è opposto a lui ed è rimasto salvo?”. Giobbe, pur non capendo l’agire di Dio, lo accoglie nella sua vita. Sa, infatti, che Dio è infinitamente più grande dell’uomo, il Suo pensiero infinitamente più sapiente, alle Sue decisioni non si possono opporre valide ragioni. Giobbe, pur nella fatica della sofferenza e nell’oscurità del cammino, rimane l’uomo della fede, che si fida di Dio e che, nel Suo ragionare con Lui, si arrende a progetti più grandi e più saggi. In Giobbe possiamo anche vedere l’esempio di una preghiera che non teme di porre domande a Dio. Ma nel porre le domande rinnova la propria fiducia, la propria fedeltà, la propria obbedienza. Quella di Giobbe è una preghiera che sgorga da un cuore che sta dalla parte di Dio.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro di Giobbe: “Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro”. È davvero splendida questa professione di fede da parte di Giobbe. L’uomo, drammaticamente provato dai fatti della vita, rinnova la propria fede e la propria speranza nella eternità di Dio, insieme all’ardente desiderio di poter godere della Sua visione. Durante il pellegrinaggio terreno, egli ha potuto conoscere il Signore, ma il suo cuore aspira ad altro, a un di più. Le sofferenze dell’ora presente hanno alimentato la sete di un incontro faccia a faccia, che finalmente possa introdurre a una contemplazione gioiosa del mistero di Dio, a una comprensione piena di stupore della Sua volontà, a una beatitudine definitiva a motivo del Suo amore.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro di Giobbe: “Ecco, non conto niente: che cosa posso rispondere?”. In queste parole di Giobbe troviamo l’eco di un cuore che, contemplando nella verità il volto di Dio, rimane in atteggiamento di adorazione silenziosa e fiduciosa. Dio è infinitamente più grande dell’uomo. Quando l’uomo lo avverte si rende conto di essere come il nulla davanti al Tutto e diviene consapevole di dover abbandonarsi con fede alla volontà di Dio che, anche se non capita, certamente custodisce in se’ ciò che più di ogni altra cosa corrisponde al vero bene della nostra vita. L’atto dell’adorazione è, dunque, l’atto autenticamente religioso che discende da un vero incontro con il Signore. Incontrare Dio, infatti, significa adorare e aderire con fiducia a Colui che è infinito Amore e onnipotente Provvidenza.

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro di Giobbe: “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto”. In queste parole è la bella testimonianza di Giobbe: egli pensava di conoscere Dio, ma ora si rende conto che la sua era una conoscenza superficiale. Solo adesso, a motivo di quanto ha vissuto e della preghiera intensa che lo ha accompagnato, vede davvero Dio. Anche noi, forse, conosciamo il Signore per sentito dire; solo gli avvenimenti della vita affrontati con fede e una preghiera perseverante anche se faticosa ci consentono una conoscenza autentica del volto di Dio. Allora anche noi possiamo dire: “Ora i miei occhi ti hanno veduto”. Con il ritornello del salmo ripetiamo spesso in questa giornata: “Fa’ risplendere il tuo volto sul tuo servo, Signore”. Solo nel volto di Dio si rende visibile anche il nostro vero volto.

 

XXVII SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Galati: “Infatti, è forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo! Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo”. L’apostolo è forte e chiaro nel rivolgersi ai cristiani della Galazia. In realtà le sue parole appaiono quanto mai attuali anche per noi. La tentazione, infatti, di piegarsi di fronte al comune sentire e pensare del mondo è sempre molto forte. Anche perché la fedeltà al Vangelo del Signore può comportare solitudine, incomprensione e persecuzione. Eppure, afferma San Paolo, ricercare il plauso degli uomini significa non essere veri servitori di Cristo. Questa parola ci interpella. Anche noi, forse, a volte non siamo stati servitori di Cristo e Suoi autentici amici, perché a Lui e alla Sua parola abbiamo preferito l’accoglienza e l’applauso del mondo.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Galati: “Fratelli, avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri”. Presentandosi ai cristiani della Galazia, l’apostolo fa memoria del suo passato di appartenente al giudaismo e di persecutore della Chiesa. In tal modo appare ancora più straordinario il cambiamento della sua vita, operato dalla grazia di Signore. Il Signore, infatti, ha fatto irruzione nell’esistenza dell’apostolo, chiamandolo al Suo servizio. La conversione non è anzitutto opera nostra, ma della potenza di Dio in noi. Chiediamo, pertanto, con insistenza e fiducia, che la grazia del Signore realizzi quella trasformazione della nostra vita secondo il Vangelo, di cui tanto avvertiamo il bisogno.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Galati: “Visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per le genti –, e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi”. La Chiesa di Gesù, attraverso Pietro e Paolo, mostra la sua universalità. L’annuncio del Vangelo di salvezza in Cristo risorto da morte è rivolto a tutti. E non vi è popolo o nazione che non debba entrare in relazione con il Signore, Luce vera che illumina e redime ogni uomo. Chiediamo la grazia di respirare sempre questa universalità, che è poi la cattolicità. Chiediamo la grazia di custodire nel cuore il desiderio di testimoniare la vita nuova in Cristo fino ai confini della terra.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Galati: “O stolti Gàlati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso! Questo solo vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola della fede? Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello Spirito, ora volete finire nel segno della carne?”. Le parole dell’apostolo sono rivolte a cristiani che erano tentati di rendere vana la croce di Gesù appoggiandosi alla legge, quasi che le opere della legge potessero procurare salvezza. Quanto afferma San Paolo rimane attualissimo. Anche oggi esiste la tentazione di rendere vana la croce di Gesù, di non guardare a Gesù, morto e risorto, come l’unico Salvatore. Si pensa stoltamente che possano essere i nostri soli sforzi, i nostri accordi umani, i nostri programmi mondani a procurare una qualche salvezza, ipotizzando il mito di un mondo nuovo, costruito con le nostre capacità. L’uomo senza Cristo non è compiutamente uomo. L’uomo senza Cristo non può aspirare a un mondo più umano.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Galati: “Fratelli, riconoscete che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede. E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani per la fede, preannunciò ad Abramo: «In te saranno benedette tutte le nazioni». Di conseguenza, quelli che vengono dalla fede sono benedetti insieme ad Abramo, che credette”. L’apostolo ritorna sulla realtà della fede, quale via di salvezza e di autentica relazione con Dio. In questa fede, padre è Abramo. Egli infatti è stato giustificato e salvato in virtù della fede, e insieme a lui sono benedetti tutti coloro che vivono nella fede. La fede di cui parla San Paolo si identifica con l’accoglienza del dono di Dio, che è la salvezza comunicata a noi dal Signore Gesù, morto e risorto. Ancora una volta Paolo sottolinea che la salvezza non è data dalle opere umane, dalla semplice osservanza della Legge, ma dal credere che Gesù è il nostro Salvatore, facendogli spazio nella nostra vita, così che la nostra vita sia la Sua in noi.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Galati: “Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. Nelle parole dell’apostolo ritroviamo due importanti verità della nostra fede. In virtù del Battesimo siamo stati rivestiti di Cristo. È un’immagine molto bella, che aiuta a capire quanto la vita cristiana sia una relazione viva con Cristo, nostro nuovo abito, nostra nuova vita. D’altra parte questo vitale inserimento in Cristo determina anche l’inserimento in quella comunione nella vita di grazia che è la Chiesa. Non vi è appartenenza a Cristo che non sia anche appartenenza alla Chiesa, come non vi è appartenenza alla Chiesa che non sia appartenenza a Cristo. Mai Cristo senza la Chiesa! Mai la Chiesa senza Cristo!

 

XXVIII SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Galati: “Così, fratelli, ni non siamo figli di una schiava, ma della donna libera. Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù”. L’apostolo si riferisce a Sara e ad Agar. Abramo, dal momento che invecchiando non vede il realizzarsi della promessa di Dio in merito alla discendenza, si unisce ad Agar, la schiava, su suggerimento di Sara, sua moglie. In tal modo il grande patriarca immagina di poter realizzare a suo modo quanto ha atteso lungamento da Dio. Ma questo atto non sarà premiato. La discendenza verrà, ma da Sara, la donna libera, come promesso da Dio. Anche noi, spesso, siamo tentati di abbreviare i tempi, quando ci sembra che la promessa di Dio non trovi compimento. Manchiamo di fiducia e ritorniamo alla schiavitù di coloro che si appoggiano sulle loro forze per trovare salvezza. In realtà la salvezza è un dono, viene da Dio e dalla Sua promessa. La promessa è Cristo. A noi il compito di attenderla e accoglierla nella fede, ogni giorno della vita, per rimanere nella libertà.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola Dio dalla lettera di san Paolo ai Galati: “Ecco, io, Paolo, vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. E dichiaro ancora una volta a chiunque si fa circoncidere che egli è obbligato ad osservare tutta quanta la Legge. Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella Legge; siete decaduti dalla grazia”. L’apostolo mette in guardia i cristiani della Galazia dal pericolo di cercare altrove, e non in Cristo, la ragione della loro salvezza. Alcuni cristiani provenienti dal giudaismo, infatti, pensavano che la salvezza fosse legata alla stretta osservanza della Legge. In tal modo veniva vanificata la redenzione in Cristo. In realtà la salvezza è opera del Signore, grazia da accogliere in dono. Solo a motivo di Cristo morto e risorto è possibile una vita nuova nel segno della carità. Le nostre buone opere non guadagnano la salvezza, ne sono invece l’espressione nel concreto dell’esistenza.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Galati: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. L’apostolo ci dona indicazioni preziose per capire quando lo Spirito di Dio opera nella nostra vita. D’altra parte, San Paolo ci offre anche preziose indicazioni per capire quando lo spirito del mondo è presente in noi: “Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere”. Se siamo di Gesù e abbiamo in noi il Suo Spirito una vita nuova di santità cresce in noi e divine il nostro desiderio più ardente. Infatti “quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri”.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo agli Efesini: “Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi che sono a Èfeso credenti in Cristo Gesù: grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo”. Consideriamo alcuni dettagli del saluto che Paolo rivolge ai cristiani di Efeso, all’inizio della sua lettera. Anzitutto, “Paolo, apostolo di Cristo Gesù”. Qui egli afferma la propria identità, che consiste nell’appartenenza a Cristo, che è tutta la sua vita e che egli annuncia a tutti senza risparmiarsi. Poi, “ai santi”. Così vengono chiamati gli Efesini. Ogni cristiano è santo, in quanto reso tale dal Signore e dalla Sua opera di salvezza. Ma la santità, che è un dono, è anche compito che impegna tutta una vita. Infine, “grazia a voi e pace da Dio”. Grazia e pace sono i due grandi doni che accompagnano la vita di fede. La grazia, in quanto vita di Gesù divenuta anche la nostra. La pace, in quanto la comunione con Gesù è sorgente della vera pace con Dio, se stessi, gli altri, l’intera creazione.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo agli Efesini: “Fratelli, in Cristo siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria”. L’apostolo sottolinea una duplice identità che deriva dalla fede, dall’essere in Cristo nuove creature. Anzitutto, in Cristo, siamo divenuti figli di Dio in senso proprio e pieno, eredi e predestinati nel Suo disegno di amore. Di conseguenza, dunque sempre in Cristo, siamo divenuti fratelli in senso proprio e pieno. Solo nella partecipazione alla vita di Gesù possiamo fare esperienza della figliolanza con Dio. Sono nella partecipazione alla vita d Gesù possiamo fare esperienza della fraternità. In Cristo Salvatore, pertanto, è la radice della vita davvero nuova, di quella vita che sta a fondamento di un mondo nuovo. Un mondo la cui realizzazione non è di “questo mondo”, ma del tempo in cui tutto sarà ricapitolato in Cristo e tutto sarà a lode della Sua gloria.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo agli Efesini: “Fratelli, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, non cesso di render grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere”. L’apostolo si rallegra ed esprime la propria gratitudine al Signore dal momento che i cristiani di Efeso vivono con intensità d’amore la relazione con Gesù e con profonda carità quella tra di loro. In tal modo la Chiesa che è a Efeso cresce e si irradia nel mondo. I due elementi sottolineati da Paolo sono come due colonne portanti della fede e della Chiesa. Entrambi, infatti, si edificano proprio nella relazione viva con il Signore risorto e nella relazione fraterna. Dalla presenza di queste sue colonne è sempre possibile verificare il buon stato di salute della nostra vita spirituale. Uno stato di salute che non si potrebbe definire buono se una di queste due colonne venisse a mancare o non fosse stabile.

 

XXIX SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo agli Efesini: “Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù”. L’apostolo annuncia ai cristiani di Efeso il cuore della fede. Dio, ricco di misericordia, ci ha salvati nella morte e risurrezione di Gesù. Da morti che eravamo, a motivo del peccato, siamo stati resi partecipi della vita nuova dei figli di Dio. Nel linguaggio biblico il termine “peccato” indica l’atto di mancare un bersaglio. La vita dell’uomo, segnata dal peccato, è una vita fallita. Ma in Cristo, che libera dal peccato, la vita dell’uomo diviene una vita pienamente riuscita. Per Cristo, con Cristo e in Cristo noi riviviamo, siamo risorti alla vita della grazia. Tutto questo non può che esprimersi in un’esistenza bella, della bellezza della volontà di Dio, che trova il compimento nella carità.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo agli Efesini: “Fratelli, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace”. L’apostolo si rivolge a cristiani provenienti dal paganesimo e, dunque, a uomini e donne che avevano vissuto senza Cristo. Ora, invece, dal momento che Lo hanno incontrato, non sono più lontani da Dio e hanno una grande speranza. Il passaggio dal vivere senza Cristo al vivere con Cristo passa anche dentro il cuore di ciascuno di noi. Quando Egli diventa assente o dimenticato la vita perde significato e bellezza. Ma quando Egli torna a essere protagonista la vita fiorisce in tutto il suo splendore. “Con Cristo o senza Cristo”. Sostiamo davanti a questa doppia possibilità e rinnoviamo la nostra volontà di avere sempre una “vita con Gesù”.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo agli Efesini: “A me…è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo”. In questa affermazione dell’apostolo sottolineiamo due elementi. Anzitutto, la grazia dell’annuncio. Prima di essere un compito, infatti, l’annuncio del Vangelo è un dono che si riceve. È una vera grazia poter comunicare a tutti la salvezza in Gesù! In secondo luogo, Paolo parla delle “impenetrabili ricchezze di Cristo”. Si tratta del disegno di amore di Dio per noi. Un amore straordinario e impensabile, che trova piena realizzazione in Gesù, morto e risorto per noi. Proprio queste impenetrabili ricchezze di Cristo, che ci sono state donate, siamo chiamati ad annunciare al mondo, con la gioia nel cuore. Anche oggi!

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo agli Efesini: “Fratelli, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante il suo Spirito. Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori”. L’apostolo piega le ginocchia davanti a Dio in segno di adorazione e di preghiera. La sua supplica riguarda un tema ben preciso della vita cristiana: la fortezza, che scaturisce dalla comunione di vita con Gesù e che sostiene la professione della fede e l’annuncio del Vangelo. Tutti noi abbiamo bisogno di questa fortezza. Tutti noi abbiamo bisogno di rimanere radicati in Gesù, nostro Signore, per vivere nella santità e proclamare al mondo la salvezza nel Risorto. Anche noi, pertanto, pieghiamo le ginocchia, adoriamo e preghiamo senza stancarci.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo agli Efesini: “Fratelli, vi esorto io, il prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto”. Raccogliamo l’invito dell’apostolo e ricordiamo che la vocazione ricevuta da ciascuno è, anzitutto, quella alla santità. La domanda che deve accompagnare la nostra vita e ogni nostra giornata è, pertanto, la seguente: sto vivendo in sintonia con la mia vocazione alla santità? E poi: che cosa mi impedisce di realizzare questa mia splendida vocazione? Anche per questo è importante coltivare l’amicizia con i santi: leggendone la vita, pregandoli, imitandoli. Così essi divengono per noi, sempre di più, richiamo a ciò che costituisce la nostra più vera identità e a ciò che costituisce il nostro più felice destino. Oggi preghiamo chiedendo la grazia di essere santi.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo agli Efesini: “Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”. Nelle parole dell’apostolo, la realtà che è presente in sottofondo senza essere espressamente citata è la Chiesa. In essa, che è il corpo di Cristo, vi sono diversi carismi e ministeri e ognuno riceve dal Signore la sua vocazione. In tale vocazione personale siamo chiamati a vivere la santità cristiana e a edificare la Chiesa. Ispirati dalle parole di Paolo, andiamo avanti nel nostro cammino quotidiano, rinnovando il desiderio di raggiungere la pienezza di Cristo e, allo stesso tempo, di amare con fedeltà la Sua Chiesa.

 

XXX SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo agli Efesini: “Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi – come deve essere tra santi – né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – cioè nessun idolatra – ha in eredità il regno di Cristo e di Dio”. L’apostolo, con parole chiare e dirette, presenta una serie di comportamenti che contraddicono la fede e l’appartenenza al Signore Gesù. “Un tempo – scrive ancora Paolo – eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce”. L’incontro con Cristo, Luce della vita, ci ha reso luce e ci ha introdotto nella vita nuova dei figli di Dio. Questa vita nuova si esprime anche in scelte molto concrete che non hanno più a che fare con la tenebra: tenebra del peccato e dell’immoralità, tenebra del vizio e dell’impurità. In Gesù, Luce del mondo, possiamo camminare nella luce e illuminare il mondo.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo agli Efesini: “Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri”. Questa esortazione apre la riflessione dell’apostolo sulla realtà del matrimonio cristiano. Allo stesso tempo, però, diviene anche la radice viva di ogni discorso inerente la carità. Infatti San Paolo illumina l’atto della sottomissione con l’amore di Cristo per la Chiesa: “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei”. In questo amare e dare la vita sta il senso splendido di quella sottomissione reciproca che è la potenza della carità. Proprio questa carità, vissuta nel piccolo quotidiano, è granello di senape e lievito, capaci di crescere in modo prodigioso, secondo l’immagine evangelica che incontriamo oggi nel Vangelo di Marco. Cosi e’ il Regno di Dio: cresce anche in virtù di quella reciproca sottomissione quotidiana, che ha i tratti dell’amore stesso di Gesù.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo agli Efesini: “Figli, obbedite ai vostri genitori, perché questo è giusto”. Questa parola dell’apostolo sta all’inizio di una serie di raccomandazioni indirizzate a diverse categorie di persone. Subito dopo essersi rivolto ai figli, infatti, Paolo si rivolge ai padri, poi agli schiavi e ancora ai padroni. Per ciascuna categoria l’apostolo riserva uno specifico indirizzo di vita, teso a far vivere il Vangelo con generosa fedeltà. Ogni vocazione può portare alla santità, nella misura in cui in ogni vocazione si viva nel Signore secondo la specificità richiesta. Sì è chiamati a essere figli santi, come anche padri, schiavi e padroni santi, calando il Vangelo nella concretezza della propria vita e chiamata. Nelle parole di Paolo si avverte un richiamo generale alla santità come chiamata per tutti, universale.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo agli Efesini: “Fratelli, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”. L’apostolo ricorda ai cristiani di Efeso che la vita cristiana è una battaglia. Una battaglia singolare, in quanto ha a che fare con il mondo delle tenebre, la realtà del male e delle potenze spirituali che si oppongono a Dio. In questa battaglia spirituale ogni cristiano è dotato di un’armatura, fatta di alcune armi particolari: la verità, la giustizia, la fede, la preghiera, la parola del Signore, la vigilanza. Afferriamo bene queste armi spirituali, non abbandoniamole mai. In realtà questa armatura è Cristo stesso, che, nella battaglia, ci rende partecipi della Sua vittoria. Siamo sempre vincitori in Colui che ci ama.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Filippesi: “Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente”. L’apostolo scrive la lettera ai cristiani di Filippi quando si trova in prigione. In questo senso, desta una certa meraviglia che proprio questa lettera sia tutta pervasa dalla gioia. La gioia di Paolo è quella di chi trova nel Signore il senso di tutta la sua vita; ed è anche la gioia per una paternità spirituale che può vedere i frutti del proprio ministero nella fecondità spirituale di una comunità cristiana. È anche da osservare il richiamo alla preghiera. Per l’apostolo la preghiera è la via più vera per tenere vivo il legame con i suoi fratelli nella fede e, allo stesso tempo, è la più bella testimonianza del cuore grande di Paolo. Le sue parole, dunque, siano per tutti noi stimolo alla gioia in Gesù e alla preghiera vicendevole.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Filippesi: “Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno”. Ciò che l’apostolo dice di sé ha da suggerire qualche cosa di molto importante anche per noi. Ci ricorda, infatti, che Gesù è la nostra vita. In questo consiste il nostro essere cristiani: vivere la vita di Cristo, lasciando che la Sua vita abiti in noi. D’altra parte questo si realizza nella misura della nostra quotidiana morte al mondo e al peccato. Ecco perché “il morire è un guadagno”. In questo morire mettiamo le radici perché la vita del Signore possa fiorire in pienezza in noi. Nel segreto del cuore ripetiamolo spesso, oggi: “Per me il vivere è Cristo”. E traduciamo questa parola in scelte concrete di pensiero e di comportamento. Inoltre, stiamo vigili per morire al peccato e al mondo.

 

XXXI SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Filippesi: “…rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi”. L’apostolo apre il proprio cuore, scrivendo ai cristiani di Filippi. Desidera che tra quei cristiani si viva nella concordia e nella comunione in virtù della carità. Queste, infatti, sono le caratteristiche spirituali che consentono alla comunità cristiana di porsi come luce in mezzo al mondo, testimonianza efficace dell’amore di Dio in Cristo e della bellezza del Vangelo. Laddove si vive nella carità il Signore continua a proclamare al mondo la salvezza in Lui. Soprattutto così la Chiesa è la presenza di Cristo risorto nel tempo e riflesso del Suo volto per quanti incontra lungo il proprio cammino. In Gesù si è reso presente l’Amore infinito di Dio, così la Chiesa è chiamata a prolungare una tale presenza fino alla fine del mondo. Nella Chiesa vive il Risorto. Nella Chiesa, pertanto, vive il Suo Amore che è Verità e redenzione.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Filippesi: “Fratelli, abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”. L’apostolo invita i Cristiani di Filippi a coltivare gli stessi sentimenti del Signore. E subito dopo aggiunge il contenuto di questi sentimenti: “Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo la condizione di servo”. Ecco i sentimenti del cuore di Gesù: lo svuotamento di sé stesso nell’amore incondizionato. Avere i Suoi stessi sentimenti significa, pertanto, praticare ogni giorno lo svuotamento di se stessi nell’amore. Un amore che è donazione della vita, un amore che è annuncio della salvezza, un amore che in ogni sua espressione prende forma nel semplice quotidiano.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Filippesi: “In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita”. L’apostolo si rivolge ai Cristiani di Filippi, esortandoli a vivere nel mondo portandovi lo splendore della parola di Dio, divenuta carne nella loro vita. In particolare egli afferma: “Fate tutto senza mormorare e senza esitare”. Senza mormorare, vivendo nella gioia e nel rendimento di grazie a Dio per il Suo amore e la Sua opera di salvezza in noi. Senza esitare, vivendo con audacia e coraggio nella via della santità e dell’annuncio del Vangelo. Così, la nostra vita può risplendere come astro luminoso nel mondo. Così, la parola del Signore, luminosa in noi, illumina tutto e tutti attorno a noi. Ripetiamo con il salmo: “Il Signore è mia luce e mia salvezza”.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Filippesi: “Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore”. L’apostolo considera una perdita ciò che prima della conversione riteneva un guadagno e degno di considerazione. L’incontro con Gesù gli ha donato un cuore nuovo e una visione nuova sulla vita e sul mondo. Così ha lasciato ciò che prima gli sembrava importante. E noi? Il nostro incontro quotidiano con il Signore ci porta ogni volta a riconsiderare la nostra vita; a valutare ciò che conta e ciò che non conta. Che cosa siamo disposti a lasciare pur di vivere nell’amore di Gesù e di crescere in Lui? Che cosa dobbiamo lasciare per poter dire in verità: Gesù ti amo?

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Filippesi: “La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose”. L’apostolo esorta a tenere fisso lo sguardo sulle realtà ultime della vita, sollevandolo dalle realtà terrene. Non per perdere di vista queste realtà, ma per starvi dentro in un modo nuovo, il modo di chi sa che il presente è destinato a passare e vero valore lo possiede solo ciò che rimane in eterno, perché buono e bello davanti a Dio. Impariamo a stare nel mondo con gli occhi rivolti a Dio, cittadini della nostra storia, ma anche e soprattutto cittadini dei Cieli. Solo chi vive con gli occhi fissi in Dio e come cittadino dei Cieli ha lo sguardo limpido per guardare secondo verità questo mondo e operare perché sia migliore. Solo il Cielo di Dio può salvare la terra degli uomini.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo ai Filippesi: “So vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza”. L’apostolo scrive ai cristiani di Filippi e si lascia andare a qualche confidenza spirituale autobiografica. Confidenza preziosa anche per noi, perché insegnamento importante per la nostra vita. Paolo ha vissuto una molteplicità di esperienze, anche faticose, difficili e a volte drammatiche. Dove ha trovato la forza in tutto questo? “Tutto posso in colui che mi dà la forza”. Nel Signore Gesù egli ha trovato la forza per affrontare la vita: la vita di discepolo di Cristo, la vita di apostolo, la vita di missionario infaticabile. Il Signore Gesù sia sempre, anche per noi, la forza che accompagna il nostro cammino: forza che ci rende saldi nella fede, forti nella speranza, audaci nella carità.

 

XXXII SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo a Tito: “Paolo, servo di Dio e apostolo di Gesù Cristo per portare alla fede quelli che Dio ha scelto e per far conoscere la verità, che è conforme a un’autentica religiosità, nella speranza della vita eterna…”. Con queste parola l’apostolo si rivolge a Tito, illustrando il cuore dell’apostolato e della missione. Si tratta, anzitutto, di portare alla fede. Vi è, dunque, un primato della fede, quale dono inestimabile che l’apostolo è chiamato ad annunciare instancabilmente. Vi è, poi, il riferimento alla verità, tanto cara a san Paolo che è servo di Gesù Cristo, la Verità fatta carne. Non vi è autentica missione senza la passione per la verità che ha un volto e un cuore, quello del Figlio di Dio, fatto uomo per la nostra salvezza. E’ la Verità, pertanto, che salva e rende davvero liberi. Infine, san Paolo richiama la speranza nella vita eterna, quale dato qualificante la fede. In questo saluto di Paolo a Tito troviamo un limpido compendio della vita cristiana.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo a Tito: “È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo”. L’apostolo fa questa riflessione dopo avere esortato gli uomini anziani e le donne anziane, le mogli e i mariti, i giovani a comportarsi in maniera conforme al Vangelo. San Paolo incoraggia Tito perché la sua predicazione ricordi a tutti la necessità che all’adesione di fede segua la coerenza della vita. Accogliere il Signore e la Sua parola, infatti, significa iniziare un vero cammino di conversione. Una domanda deve, pertanto, accompagnare ogni nostra giornata: “Ciò che vivo è in sintonia con la volontà del Signore su di me?”. Non c’è fede autentica senza una quotidiana conversione!

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo a Tito: “Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna”. Queste parole dell’apostolo seguono quanto egli ha poco prima affermato: “Anche noi un tempo eravamo insensati…”. Paolo, pertanto, invita i cristiani a rimanere nella gioia per la salvezza in Cristo che è stata loro donata e che significa, anche, speranza della vita eterna. In Gesù morto e risorto, vinto è il peccato, a noi è data la vita nuova dei figli di Dio, siamo stati fatti eredi del paradiso. È questa la buona notizia del Vangelo che siamo chiamati ad annunciare a tutti! È questa la grazia gioiosa della fede che siamo inviati a far risuonare in tutto il mondo.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla lettera di san Paolo a Filemone: “Io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù”. Il riferimento alla prigionia da parte dell’apostolo è ricco di significato. Paolo, infatti, è prigioniero a motivo del Vangelo. La sua fedeltà a Cristo ha significato anche la perdita della libertà. E, nonostante questo, il suo cuore è sempre pieno di ardore perché il Vangelo sia annunciato a tutti. L’apostolo, però, è anche prigioniero di Gesù nel senso che è totalmente Suo e legato alla Sua volontà. Quella di Paolo è, dunque, una “prigionia di amore”. Meditiamo, oggi, su quanto l’apostolo dice di se stesso: “Prigioniero di Cristo Gesù”. E chiediamo la grazia di esserlo anche noi: prigionieri di Gesù per amore e, pertanto, appassionati all’annuncio del Vangelo, legati con gioia e fedelmente a Lui e alla Sua parola.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dalla seconda lettera di san Giovanni apostolo: “Il comandamento che avete appreso da principio è questo: camminate nell’amore. Sono apparsi infatti nel mondo molti seduttori, che non riconoscono Gesù venuto nella carne”. La parola di san Giovanni è molto chiara: non esiste un’autentica vita cristiana che non abbia il carattere della concretezza. Quella concretezza che risplende nel mistero dell’incarnazione. Dal momento, infatti, che il Verbo si è fatto carne, la presenza e l’opera di Dio abitano la nostra vita e la nostra quotidianità. I Sacramenti ne sono il segno, come anche la Parola, il volto dei fratelli, i fatti della vita, le ispirazioni interiori. Camminiamo nell’amore, dunque. Vale a dire, camminiamo nel Signore, riconoscendolo Risorto accanto a noi, venuto nella carne della nostra storia.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dalla terza lettera di san Giovanni: “Carissimo [Gaio], tu ti comporti fedelmente in tutto ciò che fai in favore dei fratelli, benché stranieri. Essi hanno dato testimonianza della tua carità davanti alla Chiesa; tu farai bene a provvedere loro il necessario per il viaggio in modo degno di Dio. Per il suo nome, infatti, essi sono partiti senza accettare nulla dai pagani. Noi perciò dobbiamo accogliere tali persone per diventare collaboratori della verità”. In questo testo si intrecciano il richiamo alla carità con quello alla verità. In effetti, la fede deriva dall’accoglienza nella propria vita di Gesù, il Verbo fatto carne per la nostra salvezza. Il Verbo, Figlio di Dio, è esattamente la vera Carità e la cara Verità. Il discepolo di Gesù, pertanto, cresce ogni giorno nella comunione con la Verità, che è chiamato ad annunciare al mondo, e nella comunione con la Carità, che è chiamato a testimoniare sempre con la parola e con la vita. Conquistati dalla Verità, che è Amore, e dalla Carità, che è Vera, siamo collaboratori della Verità e animati dalla Carità!

 

XXXIII SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dell’Apocalisse: “Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, convertiti e compi le opere di prima”. Con queste parole il Signore si rivolge alla Chiesa di Efeso. Quella comunità cristiana e’ ricca di doni ma ha abbandonato il suo primo amore. “Primo amore” ha, in questo contesto, un valore sia cronologico che di intensità. Può capitare anche a noi di abbandonare il primo amore: quello vissuto nel passato, sia perché agli inizi della vita di fede e sia perché caratterizzato da uno slancio pieno di più grande fervore. Domandiamoci, pertanto: quale intensità ha, oggi, i il mio amore per il Signore? Coltivo il desiderio di un amore sempre più grande nei Suoi confronti? Quali scelte devo compiere per riscaldare nuovamente di fervore il mio cuore di cristiano, per convertirmi e compiere le opere di prima? Cominciamo a riaffermare con la voce il nostro desiderio: “Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore”. Alla voce segua la vita.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono”. Queste parole sono pronunciate da Gesù al termine delle sette lettere indirizzate alle sette Chiese dell’Asia, segno della Chiesa intera. Sono parole molto belle e ricche di consolazione. A quelle Chiese, che il Signore ha invitato alla verifica chiedendo anche autentica conversione, ora è rivolta una parola di fiducia e di speranza. Invito alla verifica e alla conversione, invito alla fiducia e alla speranza, sono espressione del grande amore che unisce il Risorto alla Sua Chiesa e a ciascuno di noi che ne siamo parte. Il Signore sta fedelmente alla porta della nostra vita e bussa: per entrarvi, prendervi dimora, introdurci nella gioia della Sua parola e della Sua presenza, renderci partecipi della Sua vittoria. Apriamo la porta a Gesù!

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dell’Apocalisse: “In mezzo al trono e attorno al trono vi erano quattro esseri viventi, pieni d’occhi davanti e dietro”. Nella visione di San Giovanni i quattro misteriosi esseri viventi divengono anche il simbolo dell’attesa vigilante. A tale attesa, infatti, si riferiscono gli occhi sul davanti e sul dietro: quegli esseri osservano con attenzione in ogni direzione, vigilando. E vigilano perché attendono con trepidazione Colui che è tre volte santo. Anche noi siamo chiamati a vivere ogni nostra giornata nell’attesa vigilante del Signore che viene. Per questo dobbiamo chiedere la grazia di avere occhi capaci di riconoscere la presenza fedele e l’opera incessante di Dio nella nostra vita. Nella quotidianità Egli è sempre con noi e per noi. Oggi, memoria della Presentazione della Beata Vergine Maria, chiediamo a Lei la grazia della vigilanza d’amore.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dell’Apocalisse: “Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele. Presi quel piccolo libro dalla mano dell’angelo e lo divorai; in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l’ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l’amarezza”. Così l’angelo si rivolge a Giovanni e questa è l’esperienza che l’apostolo fa: il libro della Parola di Dio è dolce, perché ricolma il cuore di verità e di amore; ma è anche amaro, perché chiede al cuore a una vera conversione, un distacco radicale dal peccato e da ciò che non è da Dio. Tutti siamo chiamati a divorare quel Libro, a nutrirci ogni giorno e con fedeltà della Parola del Signore. Quella Parola ci donerà gioia e pace, ma anche ci chiederà di cambiare vita, mettendo a nudo il male che si annida in noi. Solo in quella vita trasformata dal Signore, però, faremo l’esperienza della pienezza del cuore.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dell’Apocalisse: “Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele. Presi quel piccolo libro dalla mano dell’angelo e lo divorai; in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l’ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l’amarezza”. Così l’angelo si rivolge a Giovanni e questa è l’esperienza che l’apostolo fa: il libro della Parola di Dio è dolce, perché ricolma il cuore di verità e di amore; ma è anche amaro, perché costringe il cuore a una vera conversione. Tutti siamo chiamati a divorare quel Libro, a nutrirci ogni giorno e con fedeltà della Parola del Signore. Quella Parola ci donerà gioia e pace, ma anche ci costringerà a cambiare vita. In realtà, solo in quella vita trasformata dal Signore avremo l’esperienza della pienezza del cuore.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dell’Apocalisse: “Ma dopo tre giorni e mezzo un soffio di vita che veniva da Dio entrò in essi e si alzarono in piedi, con grande terrore di quelli che stavano a guardarli. Allora udirono un grido possente dal cielo che diceva loro: «Salite quassù» e salirono al cielo in una nube, mentre i loro nemici li guardavano”. Tanti sono i pericoli per chi vive nella fede. Pericoli provenienti dal mondo e pericoli che abitano il cuore. Pericoli, anche, in cui il grande tentatore ci induce. La pagina di san Giovanni ci ricorda, in proposito, una grande e consolante verità: nulla dobbiamo temere quando stiamo saldi dalla parte del Signore. Se saliamo lassù, ovvero abitiamo presso il Signore, viviamo nella Sua grazia e stiamo saldi nella preghiera, nessun pericolo potrà spaventarci. Se Dio è con noi, infatti, chi sarà contro di noi? “Sei tu, Signore, mio rifugio e mia salvezza”.

 

XXXIV SETTIMANA

 

Lunedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dell’Apocalisse: “Questi seguono l’Agnello dovunque va”. Con questa descrizione vengono identificati coloro che sono stati redenti, in quanto hanno accolto la salvezza del Signore. Una tale e bella descrizione segue il riferimento al canto. Infatti, i redenti cantano un canto nuovo. Siamo invitati ad abbinare il canto a coloro che seguono sempre e con fedeltà l’Agnello. Il loro canto, infatti, sta nel vivere in tutto la volontà del Signore, nella sequela gioiosa di Colui che è tutta la loro vita. Rispecchiamoci in questa immagine suggestiva. Siamo davvero discepoli del Signore se cantiamo con gioia e fedeltà il canto nuovo della adesione quotidiana e pronta alla Sua volontà. Cantiamo al Signore con la vita! Cantiamo seguendo con ardore le tracce del Signore che ci indica la via.

 

Martedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dell’Apocalisse: “Io, Giovanni, guardai ed ecco una nube bianca e sulla nube uno stava seduto, simile a un Figlio d’uomo; aveva sul capo una corona d’oro e in mano una falce affilata”. La visione di Giovanni riguarda il giudizio, quel tempo nel quale ogni uomo potrà vedere nella piena verità, davanti a Dio, tutta la sua vita. La descrizione che ne fa l’Apocalisse incute un certo timore. È comprensibile. Giovanni, infatti, vede ciò che accade a coloro che hanno vissuto in contraddizione con la volontà di Dio e hanno rifiutato fino alla fine di accogliere la Sua infinita misericordia. Il pensiero del giudizio finale deve aiutarci a vivere con saggezza il tempo presente. E deve ispirarci fedeltà nell’esame di coscienza quotidiano, una sorte di giudizio anticipato che noi formuliamo sulle nostre giornate, considerate davanti al Signore. Facciamo bene il nostro esame di coscienza oggi, così da poter vivere nella gioia e nella lode il giudizio del Signore domani.

 

Mercoledì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dell’Apocalisse: “Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente; giuste e veraci le tue vie, o Re delle genti!”. È il cantico intonato da coloro che hanno vinto la bestia, ovvero di coloro che sono salvati in Gesù. Vi si ritrovano due elementi. Anzitutto il riconoscimento grato delle grandi opere compiute da Dio. Si potrebbe dire che un segno della salvezza nel cuore dell’uomo sia proprio questo: la capacità di vedere le meraviglie di grazia operate dal Signore nella propria vita. Inoltre, nella seconda parte del cantico, troviamo un invito alla conversione rivolto a tutte le genti. Si potrebbe dire che un altro segno della salvezza nel cuore dell’uomo sia proprio il desiderio di comunicare a tutti la bellezza della vita nuova in Cristo. Facciamo nostro il cantico. Facciamo nostri i segni della salvezza lì cantati.

 

Giovedì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dell’Apocalisse: “Io, Giovanni, vidi un altro angelo discendere dal cielo con grande potere e la terra fu illuminata dal suo splendore. Gridò a gran voce: È caduta, è caduta Babilonia la grande”. Il grido angelico è un grido di vittoria e di gioia: Babilonia, simbolo del male, finalmente è caduta ed è stata sconfitta. Un tale avvenimento è immagine di ciò che sarà alla fine del tempo, ma è anche potente richiamo a ciò che deve essere nella nostra vita di tutti i giorni. Come sarebbe bello se potessimo, ogni giorno, esplodere in quel grido di vittoria e di gioia, perché siamo usciti vittoriosi nello scontro con le forze del male, che abitano nel mondo e insidiano il nostro cuore! Oggi, quando avremo la meglio sulla tentazione e il peccato, gridiamo anche noi la nostra gioia come l’angelo dell’Apocalisse.

 

Venerdì

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dell’Apocalisse: “Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo”. Quanto San Giovanni trasmette per immagini rappresenta il termine felice della storia umana, quando finalmente la città di Dio non sarà più soggetta ai dolori, alle fatiche e alle persecuzioni del mondo, ma potrà gioire per la piena comunione sponsale con lo Sposo. In questa immagine contempliamo l’ultimo atto della vita della Chiesa. Ma, nella Chiesa, contempliamo anche l’ultimo atto della nostra vita. Il banchetto di nozze dell’Agnello, finalmente, sarà la realtà definitiva di salvezza e di gioia eterna. Con stupore rimaniamo a immaginare i cieli nuovi e la terra nuova, orientandovi nella speranza la nostra vita. Là, infatti, i quei cieli e in quella terra, è la nostra vera e definitiva Vita.

 

Sabato

Ascoltiamo la parola di Dio dal libro dell’Apocalisse: “Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli”. Il testo di san Giovanni volge al termine. Lo splendore della luce eterna si fa sempre più intenso. Sorgente di ogni luce è il trono di Dio e dell’Agnello, fonte di acqua viva che genera vita eterna. Splendenti a motivo di questa luce sono gli abitanti del Cielo. La notte non esiste più, neppure la tenebra del male e del peccato. Ogni oscurità è vinta e il nome di Gesù Cristo, Salvatore e Re dei secoli, riempie della Sua dolcissima potenza ogni cosa. Tutto è per sempre nella pienezza della vita e della gioia. Perché tutto è in Dio, pienezza di Verità e di Amore senza fine. Il Paradiso!