I parati della Sacrestia Pontificia. Seicento e Settecento
Cataldi Gallo Marzia
Con vera soddisfazione saluto la pubblicazione del presente volume, frutto della competenza e della passione della dottoressa Marzia Cataldi Gallo, già apprezzata Soprintendente dei Beni Artistici e Storici della Liguria.
Circa la competenza è lo stesso volume a parlare. Le schede, realizzate con precisione e dettagliate, rivelano le ampie conoscenze della ricercatrice. Circa la passione mi è caro sottolineare come l’autrice abbia portato avanti il suo lavoro con determinazione, anche a fronte di ostacoli e imprevisti, forse normali lungo il cammino che porta a una pubblicazione impegnativa come la presente.
Il testo parla di antichità. In specie di un periodo dell’antichità, il 1600, in quanto legato alla liturgia papale e alle vesti liturgiche usate dai Sommi Pontefici. Eppure, parlando di antichità, il volume riesce a suggerire qualche cosa anche per il nostro tempo. Il bello, infatti, – e di bello si tratta considerando i tesori stupendi che ci sono stati consegnati da chi ci ha preceduto – è un tratto distintivo della liturgia della Chiesa in ogni tempo della storia.
In effetti, la presenza misteriosa e reale di Cristo nella liturgia e il suo essere protagonista nel rito celebrato richiede al linguaggio liturgico lo splendore della bellezza, nelle sue varie forme espressive.
Benedetto XVI, nell’Esortazione apostolica post sinodale sull’Eucaristia Sacramemum caritatis, facendosi eco del perenne insegnamento della Chiesa e del comune e ininterrotto sentire del popolo di Dio, ha scritto: “I1 rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor… Tale attributo cui facciamo riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina, ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore… La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale. La bellezza della liturgia è parte di questo mistero; essa è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra… La bellezza pertanto non è un fatto decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l’azione liturgica risplenda secondo la propria natura” (n. 35).
Le parole del Papa, come sempre, hanno il grande dono della chiarezza. E aiutano anche noi, nella lettura del presente testo, a considerare come i nostri antenati ci abbiano lasciato non solo un tesoro di bellezza da gustare nello spazio di un museo, ma un patrimonio di arte da usare anche oggi e alla luce del quale realizzare, ancora oggi, la vera bellezza nell’arte liturgica.
Il bello, nelle diverse forme antiche e moderne in cui trova espressione, è la modalità propria in virtù della quale risplende nelle nostre liturgie, pur sempre pallidamente, il mistero della bellezza dell’amore di Dio. Ecco perché non si farà mai abbastanza per rendere nobili e belli i nostri riti. Ce lo insegna la Chiesa, che nella sua lunga storia non ha mai avuto timore di “sprecare” per circondare la celebrazione liturgica con le espressioni più alte dell’arte: dall’architettura, alla scultura, alla musica, agli oggetti sacri. Ce lo insegnano i santi che, pur nella loro personale povertà ed eroica carità, hanno sempre desiderato che al culto fosse destinato il meglio.
È ancora Benedetto XVI che, con le sue parole, ci introduce idealmente ad aprire con lo spirito giusto le pagine di questo volume: “Le nostre liturgie della terra, interamente volte a celebrare questo atto unico della storia, non giungeranno mai ad esprimerne totalmente l’infinita densità. La bellezza dei riti non sarà certamente mai abbastanza ricercata, abbastanza curata, abbastanza elaborata, poiché nulla è troppo bello per Dio, che è la Bellezza infinita. Le nostre liturgie terrene non potranno essere che un pallido riflesso della liturgia, che si celebra nella Gerusalemme del cielo, punto d’arrivo del nostro pellegrinaggio sulla terra. Possano tuttavia le nostre celebrazioni avvicinarsi ad essa il più possibile e farla pregustare!”
(Omelia alla celebrazione dei Vespri nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi, 12 settembre 2008).