Meditazione – La Samaritana

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Meditazione – La Samaritana

Gesù e la Samaritana

Ritiro spirituale alle Figlie di san Paolo
9 marzo 2019

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In questo nostro ritiro che ci prepara alla Quaresima, ci disponiamo ad ascoltare una pagina evangelica che è tipicamente quaresimale: il racconto dell’incontro tra Gesù e la donna samaritana presso il pozzo di Giacobbe. Dopo averlo riascoltato procediamo per punti, che costituiranno altrettanti passi del nostro cammino interiore.

  1. Iniziamo con un dettaglio importante in questo brano che è il dettaglio del pozzo. E’ un dettaglio importante perché nella Bibbia il pozzo ritorna tante volte come un luogo nel quale si realizza qualcosa di particolare e di speciale: è il luogo tipico in cui si stringono i fidanzamenti, è un luogo di incontro di amore. Il libro del Pentateuco ne dà una testimonianza piuttosto ampia perché è presso il pozzo, ad esempio, che avviene il fidanzamento e poi il matrimonio di Rebecca con Isacco; è presso un altro pozzo che Giacobbe incontra Rachele che diventerà poi sua moglie; è sempre presso un pozzo che Mosè incontra Zippora che poi da lì a poco sposerà.
    E’ importante che teniamo presente questo dettaglio quando riascoltiamo il racconto dell’incontro tra Gesù e la donna di Samaria che avviene presso un pozzo. Già questa immagine del pozzo ci suggerisce qualcosa e cioè che quell’incontro non è un incontro come un altro, è un incontro che porterà a un qualcosa di grande, ad una storia nuova, ad un amore che prima era impensato e impensabile.
    Ci domandiamo: quali sono i pozzi della nostra vita presso i quali il Signore ci attende per stipulare sempre nuove alleanze, per ripartire sempre in una storia di amore rinnovata, per farci sentire la tenerezza e la grandezza dell’amore che ha per noi? Potremmo forse dire che i pozzi sono tanti, tanti quante le nostre giornate, tanti quante le nostre ore addirittura forse tanti quanti gli istanti della nostra vita, ma quanti di questi pozzi rimangono luoghi del non incontro, luoghi della non relazione con il Signore, luoghi di un amore mancato?
    E’ anche bello, in questo contesto, ricordare quei pozzi importanti hanno segnato la nostra vita e che noi ricordiamo come momenti straordinariamente belli, fondamentali del nostro percorso: in quegli incontri, la nostra vita ha avuto un segno del tutto particolare e questo segno è rimasto. E’ bello di tanto in tanto ripercorre la storia dei pozzi della vita e cioè la storia di quegli incontri particolari che ci hanno toccato davvero in profondità  perché  il  Signore  lo  abbiamo  visto,  si  è  fatto  vedere,  ci  ha  trasformato.
    Sant’Agostino parlando proprio del passaggio del Signore nella nostra vita dice: “il Signore passa … e se non passasse più?” Come è importante che noi non perdiamo gli appuntamenti che il Signore ci dà!
  2. Un secondo dettaglio è dato dalla apparente casualità di ciò che accade. Apparente, perché l’evangelista descrive ciò che Gesù sta facendo: ovvero uno spostamento da una regione all’altra, un viaggio come tanti altri viaggi, un momento di stanchezza e sete dovuta anche all’ora molto calda della giornata e dunque la sua sosta, il suo riposare. In questo contesto avviene l’incontro. Però c’è da domandarsi: “è proprio casualità oppure tutto questo rientra in un disegno?”.
    Questo dettaglio della pagina evangelica ci può aiutare ad avere uno sguardo un pochino diverso sulle vicende della nostra vita, perché quando guardiamo a ritroso quello che è stato, ci accorgiamo che nulla è a caso perché tutto, soprattutto quando riusciamo a guardarlo con gli occhi della fede, è stato permesso, voluto, segnato da una volontà di amore e da una provvidenza che ha tirato i fili della nostra esistenza. Nulla è a caso, tutto è dentro un piano più grande, bello, di amore di Dio. Certo, quando ci stiamo dentro non sempre abbiamo la capacità di vederlo, però la visione che noi abbiamo avuto guardando indietro, l’esperienza che abbiamo avuto riconsiderando il percorso della vita, deve poi aiutarci a stare dentro gli avvenimenti credendo che ciò che stiamo vivendo non è un caso, ma è dentro un progetto di amore per noi, tutto!Ricordate san Paolo: “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” Tutto, non c’è nulla che sia al di fuori di questo bene che il Signore vuole per noi, desidera per noi. Anche quello che ci sembra in contraddizione con il bene, anche quello di cui non riusciamo a scorgere il perché, anche quello che ci sembra oscuro.. Era dunque un caso che Gesù passasse di là, che avesse sete, che si fermasse presso il pozzo, che avesse un momento di ristoro? No, perché solo così avrebbe potuto incontrare la donna di Samaria. La trama degli avvenimenti della vita è una trama bella perché è una trama di amore dove nulla è lasciato al caso e questo ci ricorda una verità grande: noi realmente siamo amati, davvero la nostra vita è nel palmo della mano di Qualcuno che ci ha a cuore più di quanto noi possiamo avere a cuore noi stessi. Nessuno è solo in questo mondo, nessuno è dimenticato, nessuno è abbandonato, qualunque sia la storia personale, qualunque siano le vicende della vita. Qualunque sia lo stato in cui viviamo adesso, noi viviamo dentro questo amore grande che ci custodisce sempre in tutto.
    Per questo il cristiano non ha paura mai. Il grande passaggio dal mondo pagano al mondo cristiano è stato il passaggio dalla paura di tutto alla paura di nulla, è stato il passaggio di un uomo solo in questo mondo ad un uomo amato da un Dio di amore. Noi a volte viviamo da pagani, con tante paure: dobbiamo lasciarci trasformare il cuore lasciandoci toccare dall’esperienza di questa paternità amante che in tutto si dimostra tale.
  3. Gesù si ferma presso la fonte. Alcune traduzioni, sia antiche che moderne, preferiscono sottolineare un piccolo aspetto, cioè che Gesù non semplicemente si siede presso il pozzo, ma si ferma a sedere sopra il pozzo. Questa particolarità sottolinea come Gesù si sostituisce alla fonte antica, all’acqua che passa si sostituisce l’acqua viva che realmente è capace di estinguere la sete del cuore dell’uomo. C’è una sostituzione: l’antica acqua non era capace di venire incontro a quell’arsura del cuore umano, l’acqua viva che è Gesù finalmente viene incontro a questa esigenza insopprimibile.
    Nella vita di San Filippo Neri c’è un episodio molto simpatico, tipico della spiritualità di questo grande santo toscano e romano insieme Tra i suoi ragazzi dell’oratorio ce n’era uno che era molto bravo e brillante, ma nello stesso tempo era piuttosto orgoglioso, pieno di sé. San Filippo un giorno volle aiutarlo, aiutarlo a guardarsi meglio a riconoscere che senza Dio tutto è vano. Cominciò un dialogo con questo giovane e gli chiese che cosa volesse fare nella sua vita. Il giovane immediatamente rispose che anzitutto voleva terminare gli studi nel modo più brillante possibile.
    Filippo lo ascoltò con tanta amorevolezza e gli chiese: “quando avrai finito gli studi in modo molto brillante, che cosa vorresti fare?” Rispose di voler avere una grande carriera e Filippo di nuovo lo ascoltò, poi continuò a dirgli: “sì sono contento, penso che potrai fare una grande carriera; e poi che cosa intendi fare?” Il giovane prontamente disse: “spero proprio di incontrare una gran bella ragazza, di avere una storia bellissima di amore con lei!” Filippo ancora lo ascoltò e si congratulò per il bel progetto, ma poi gli chiese ancora: “e poi?” Questa domanda si ripropose ancora diverse volte mentre il giovane arricchiva l’elenco dei progetti, dei desideri con tanto entusiasmo. Venne un momento nel quale a questa domanda, che Filippo continuava a porgli, il ragazzo non seppe rispondere più nulla. Ci fu infatti un ultimo “e poi?” di fronte al quale il giovane stette zitto capendo che dopo tanti “poi e poi” si arrivava ad un punto nel quale tutte le sue speranze, i suoi desideri si infrangevano. San Filippo Neri gli aveva dato una lezione: ogni pur grande e bel desiderio è vano, perché tutto passa, tutto se ne va. C’è qualcosa di più grande, c’è una sete più grande di questi desideri. Noi abbiamo tanti desideri, tanti progetti, proviamo un’arsura nel cuore che si esprime in tanti modi diversi, a volte belli a volte anche meno belli, a volte limpidi a volte meno limpidi. Ma dobbiamo leggere in questa molteplicità di desideri, in questa arsura grande che abbiamo nel cuore, l’arsura vera che è la sete di Gesù, la sete di Dio. Soltanto il Signore ha la capacità di venire incontro, di rispondere a quell’arsura vera del cuore, del nostro cuore.
    Rileggiamo la nostra vita, rileggiamo la storia del cuore, rileggiamo i desideri che abbiamo dentro, rileggiamo le inquietudini nelle quali viviamo, rileggiamo le mancanze di pace nelle quali ci ritroviamo e diamogli la risposta vera: “è la mancanza di Gesù”. Siamo capaci di rivestire e di mascherare il motivo di queste inquietudini, ma l’unico motivo vero è la mancanza del Signore.
  4. La donna arriva ed entra in scena l’altra protagonista. Il suo arrivo è un po’ strano. La donna arriva al pozzo, luogo degli incontri, in un’ora nella quale probabilmente non avrebbe incontrato nessuno. Evidentemente voleva nascondersi alla gente di quel villaggio, perché la sua situazione morale era una situazione conosciuta che le creava dell’imbarazzo. Probabilmente aveva raggiunto un compromesso tra la sua situazione disordinata e il suo vivere nel villaggio in modo piuttosto discreto, riservato senza farsi molto vedere. Proprio questa situazione di convivenza con il suo male morale, col suo peccato, con la sua decadenza spirituale ci interessa: in lei troviamo una convivenza ormai accolta con il male.
    Quante  volte  noi  conviviamo  con  situazioni  disordinate  che  portiamo  nel  cuore, che hanno caratterizzato il passato e che forse caratterizzano il presente, delle quali non vogliamo o non abbiamo la forza di liberarci completamente.
    Spesso non sono i grandi peccati che impediscono una storia di santità, perché i grandi peccati toccano il cuore e a volte provocano le grandi conversioni. Sono invece le piccole infedeltà alle quali non facciamo più caso che sono impedimento a una storia di santità. Ci rendono aridi, ci impediscono gli slanci, e ci appare normale vivere in quella mediocrità, in quel compromesso che non ci brucia più, che non ci fa più male, che consideriamo normale nella nostra vita. E’ tristissimo per tutti, ma è ancora tanto più triste per noi consacrati vivere in questa triste mediocrità.
    Perché ci manca la gioia del cuore? Perché chi ci guarda a volte ci trova così appesantiti, forse un po’ noiosi? Perché? Perché ormai conviviamo con la nostra mediocrità che non ci dà più fastidio, che non sentiamo più come insopportabile e nella quale stiamo perché ci fa comodo, ma che ci rende tanto tristi ed infelici. Che cos’è che impedisce alla nostra vita di essere davvero bella per noi e per chi la vede? Oso dire non la grande caduta, ma quelle piccole cadute alle quali non facciamo più caso anzi, che forse amiamo addirittura!
  5. Gesù prende l’iniziativa rompendo tra l’altro una consuetudine ben radicata negli usi di allora. Anzitutto perché è Lui che parla per primo e poi è Lui che parla a una donna, tra l’altro ad una donna di Samaria, quindi appartenente ad un popolo infedele.
    Nella domanda che Gesù pone alla donna: “dammi da bere!” noi dobbiamo come vedere un’altra domanda. Questa, infatti, ne nasconde un’altra ben più decisiva: dammi da bere cioè dammi il tuo cuore. La donna poi lo capirà, ma non subito. La domanda è già presente, ma in questo interrogativo che precede dobbiamo cogliere due aspetti belli e importanti per noi.
    Anzitutto l’iniziativa e il primato di Dio che ama sempre prima, che ama sempre di più. San Bernardo afferma: “Dio ama sempre prima, Dio ama di più sempre”. E’ molto bello! Quando ripensiamo alla nostra storia con Dio, ci accorgiamo che il Signore sempre ci ha preceduto e sempre ha fatto di più. La storia della nostra relazione con il Signore è una storia di un primato e di un di più che è sempre dalla parte di Dio. Anche quado sembra che siamo noi ad avere l’iniziativa nel cammino della fede, in verità prima Dio si è mosso verso di noi e per noi.  Così anche quando avvertiamo l’esigenza che diventa nostra di un cammino più fervoroso, riassaporiamo la santità come itinerario da percorrere, in verità il primato non è stato nostro, è l’amore di Dio che ha mosso il cuore, è l’amore di Dio che ha mosso l’intelligenza, è l’amore di Dio che ha ispirato, è l’amore di Dio che ha portato dentro di noi quella nuova vitalità e quel nuovo slancio.
    In questo approccio che Gesù ha con la donna di Samaria, dobbiamo anche cogliere uno svelarsi del volto di Dio che è sempre un po’ inedito, sempre un po’ nuovo. Quando noi pensiamo ormai di conoscere il Signore, ormai di avere familiarità con la Sua vita, di essere entrati in intimità col suo volto, vuol dire che la nostra vita spirituale non è del tutto sana. La vitalità del cuore, infatti, la sperimentiamo nella misura in cui ci rendiamo conto che questo volto, questo cuore di Dio, questa vita di Dio è sempre oltre ed è sempre nuova rispetto a quello che noi possiamo pensare o immaginare. Se un giorno dovessimo dire che il volto di Dio non ci sorprende più, quello sarebbe il segno più chiaro della morte del cuore. Dio è il nuovo che si affaccia alla nostra vita e non ci lascia in pace nel senso più bello del termine. Altrimenti vuol dire che non siamo davanti all’autentico volto di Dio, ma all’immagine che noi ci siamo costruiti di Lui.
    La nostra conversione passa sempre da lì. Non è soltanto una conversione morale, quella alla quale siamo chiamati, non si tratta di dire soltanto che devo cambiare questo o quello. Siamo chiamati a qualche cosa di più: a una conversione teologica, a passare dall’immagine che ci siamo fatti al Dio vivente, che è sempre diverso e altro da questa immagine. In fondo l’immagine che mi faccio di Dio diventa un’immagine rassicurante perché è l’immagine nella quale io proietto quello che io voglio che Dio sia per me. E questo mi rende più tranquillo. Il Dio vivo però è sempre diverso e dunque mi porta sempre fuori, mi costringe a percorrere itinerari sempre nuovi. Ecco perché ogni giorno devo fare attenzione a non adagiarmi sull’immagine che naturalmente mi sono costruito, proiettando su Dio i miei desideri, i miei progetti, quello che io penso così da essere tranquillo. Dio mi costringe, invece, a smuovermi e a cercare orizzonti nuovi.
    Quando Israele nel deserto alle pendici del Sinai si è fatto il vitello d’oro, ha proiettato su quel vitello un’immagine di un Dio rassicurante perché quel vitello poteva gestirlo come voleva. Ill Dio del Sinai invece no, non lo capiva, non riusciva a gestirlo; era un mistero che disorientava. Facciamo attenzione ai nostri vitelli d’oro, cioè alle immagini di Dio che ci facciamo per rassicurarci e  per non camminare più.
  6. La donna che si era avvicinata adesso si allontana. E’ interessante questo allontanamento. La donna probabilmente, dopo aver fatto conoscenza di Gesù, avverte che si sta stabilmento una relazione più coinvolgente e ha paura.  Così si allontana e prende un po’ le distanze. E’ come se dicesse fra sé: “adesso non esageriamo”.
    Come è vicina a noi l’esperienza di questa donna, perché anche noi siamo fatti così e diciamo, più o meno consapevolmente: “Signore fino a un certo punto va bene, però non esageriamo!”
    Don Divo Barsotti, dice in proposito: “Dio ti trasforma nella misura della tua libertà”. Come a dire che se tu lasci la tua libertà nelle sue mani, se tu ti deponi completamente nella sua volontà, allora Dio ti rende davvero santo. Ma se tu ti ritrai, se tu ti difendi, se tu ti allontani, come può trasformare Egli trasformare la tua vita? Noi abbiamo un po’ paura di Dio, lo dobbiamo ammettere. Proprio come questa donna che ad un certo punto di Gesù ha avuto paura. Abbiamo paura anche se cantiamo, se diciamo, se professiamo che abbiamo creduto e crediamo al Suo amore. In verità a questo amore non ci crediamo fino in fondo, perché c’è una parte di noi che dice: “ma sarà proprio vero? Mi amerà davvero? Se gli lascio completamente le redini della mia vita, questo Dio come mi tratterà?” La radice della nostra mediocrità, della nostra mancanza di slancio è una fede che non è totale, un non credere fino in fondo nel Volto di un Dio che mi ama davvero.
  7. Il colloquio continua perché la donna, anche se si è allontanata, è anche attratta irresistibilmente dall’uomo del pozzo. Gesù arriva a leggere nel segreto del cuore della donna: le dice di chiamare suo marito e la donna risponde di non avere marito. Gesù replica che è vero, infatti ha avuto cinque mariti, ma adesso ha un altro uomo che non è suo marito.
    Qui troviamo una bella simbologia numerica: la donna ha avuto cinque mariti e adesso ha un sesto uomo. Il numero sei è un termine di incompletezza. Questa donna che ha avuto tanti amori umani, in verità diventa anche il segno di una donna che cerca l’amore vero della vita perché soltanto il settimo (numero che indica completezza) è lo sposo vero ed è quel Gesù che le è davanti e che ancora non ha scoperto.
    La donna nascondeva un po’ la propria situazione personale e il proprio disordine, perché in fono le faceva male ricordarlo e chiamarlo per nome.  E anche noi siamo così. Molte volte ci nascondiamo a noi stessi e poi pensiamo anche di nasconderci a Dio, perché ci fa male chiamare per nome il nostro peccato. Eppure, il processo di conversione, di cambiamento non può non passare da questa fatica, anche da questo dolore profondo che guarda, chiama per nome e sradica. Noi a volte non chiamiamo per nome il peccato e ci mascheriamo, ci nascondiamo ed in questo modo ci difendiamo da una sofferenza che noi avvertiamo grande. Un autore contemporaneo usa questa bella immagine: “ogni ferita può diventare una feritoia”. Il peccato, finché non è chiamato col suo nome, finché non è riconosciuto, finché non è accolto come tale non può essere quella ferita da cui entra poi la luce come attraverso la feritoia, rimane una ferita che sanguina e che toglie la vita.
    La donna di Samaria sanguinava e perdeva la vita! Quando Gesù l’ha aiutata a riconoscere, a chiamare per nome ciò che viveva, a vedere dentro il suo peccato, il suo male, la sua vita si è arricchita di luce ed è guarita.
  8. C’è ancora un dettaglio molto bello nel cammino che questa donna fa insieme a Gesù ed è quella brocca dimenticata che è come l’ultimo segno della vicenda che la donna ha vissuto. La donna era andata al pozzo per riempire la brocca, questo era il motivo per cui si era mossa da casa nell’ora calda del giorno per andare presso quel pozzo: aveva sete e la brocca era la cosa più importante che portava con sé per attingere acqua e dissetarsi. Tutto era concentrato lì! Adesso che ha incontrato Gesù e che lo ha conosciuto, che è entrata in relazione con Lui, quella brocca non vale più nulla, tanto che non ci pensa più, se la dimentica! Va via dal pozzo lasciando la brocca.
    E’ bello pensare a quante brocche noi dobbiamo ancora lasciare, perché Gesù ancora non è il nostro tutto, perché se fosse il nostro tutto e diamo peso a cose che peso non dovrebbe avere. Quando i nostri occhi si incontrano davvero con il Signore ci accorgiamo che quei pesi non pesano più, quelle cose a cui davamo importanza la perdono, non le ricordiamo neppure! Proviamo a  elencarle queste cose che quotidianamente per tanti motivi prendono spazio nella nostra vita e quasi avvertiamo che non possiamo farne a meno.
    La potenza e la forza dei nostri legami sono il segno di quanto poco siamo legati a Gesù e la capacità che invece abbiamo di sciogliere questi legami, è il segno della potenza dell’amore che stiamo vivendo nei confronti del Signore. La povertà, la castità e l’obbedienza ci sono difficili a volte perché il cuore non batte per il Signore, altrimenti quello che contraddice obbedienza, castità e povertà non avrebbe tutto quel peso che ha nella nostra vita. Perché mi è difficile recidere un legame che non mi rende povero? Perché mi è difficile recidere un legame che non mi rende casto? Perché è difficile recidere un legame che non mi rende obbediente? Perché il Signore non è il tutto! Se io fossi davvero come questa donna di Samaria, rimasto affascinato, colpito, conquistato, afferrato dal Signore, quelle brocche, cioè quei legami che mi opprimono, neanche le ricorderei più.
    Il cammino di conversione deve sempre partire dall’alto, da Dio e la Sua grazia. Non può essere uno sforzo titanico per recidere un legame, ma un’avventura bella attraverso la quale l’amore di Dio che scende nel cuore mi scioglie da tutti i legami. Lo sforzo titanico mi porta solo a battere la testa contro il muro della mia povertà, l’amore che mi scende nel cuore mi scioglie da tutti legami inutili,  come il sole che scioglie i ghiacciai dell’anima. Ci pensa Dio con la Sua potenza, con la Sua forza d’amore. Ripartire sempre dall’alto, da Dio perché partire dal basso non porta da nessuna parte.
    I passi che abbiamo compiuto sono stati otto. Anche questo numero ha una valenza simbolica. E’ richiamo all’ottavo giorno, alla Pasqua del Signore. In effetti il nostro percorso di conversione quaresimale sfocia nella gioia della Pasqua e di un rinnovamento radicale della vita in Gesù.
    In questo senso, la Parola che ascoltiamo e meditiamo, ha la forza di realizzare in noi questo passaggio pasquale, dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia, dalla mediocrità alla santità. Quella Parola è come la pioggia e la neve che cadono sul terreno del cuore e gli donano vita nuova, la vita stessa del Signore risorto.