Conferenza – Per un autentico spirito della Liturgia

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Conferenza – Per un autentico spirito della Liturgia

Un contributo qualificato per un autentico spirito della liturgia

Presentazione del volume “Liturgia fonte di vita”, di M. Gagliardi
Roma, “Regina Apostolorum”

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I saluti e i ringraziamenti con cui si è soliti iniziare una conferenza possono apparire una semplice formalità. Forse è vero in alcuni casi. Ma non è così, nel mio caso, quest’oggi. Sono stato invitato, infatti, a venire nella sede del Pontifico Ateneo “Regina Apostolorum”, avendo così l’opportunità – per la prima volta da quando mi trovo a Roma – di conoscere di persona la bella realtà formativa gestita dai Legionari di Cristo. Proprio ai Legionari desidero rivolgere un saluto cordiale e, insieme a loro, sono contento di poter salutare il corpo docente e gli studenti di questo Ateneo.

Il motivo dell’invito che ho ricevuto è la presentazione di un libro, bello e denso di contenuto, realizzato dal Prof. Don Mauro Gagliardi. Conosco ormai da alcuni anni don Gagliardi, che so essere stimato docente di questo Pontificio Ateneo, e ho avuto modo di apprezzarne la preparazione teologica, insieme alla bontà sacerdotale, anche per la sua preziosa collaborazione con il lavoro dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, per il quale lo scorso anno è stato nominato Consultore dal Santo Padre. Un saluto cordiale e fraterno, dunque, e un ringraziamento del tutto particolare a don Gagliardi.

Ho definito – quello di don Mauro – un libro bello e denso di contenuto. Aggiungo ora che si tratta di un volume consistente per numero di pagine, senza essere troppo lungo; molto serio e serrato nell’argomentazione, senza risultare pesante; immerso nell’ambito liturgico, senza perderne di vista i fondamenti teologici e le implicazioni spirituali e pastorali. Un libro da leggere, dunque, anche e, forse soprattutto, come testo di ottima formazione liturgica per candidati al sacerdozio e sacerdoti impegnati nel ministero. Un libro, aggiungo, che si pone come provvidenziale contributo nell’ambito del presente Anno sacerdotale.

Non entro nel dettaglio dei contenuti del testo. Padre Lang fornirà, in proposito, una panoramica certamente puntuale e arricchente. Per parte mia desidero mettere in luce alcuni orientamenti di fondo presenti nel volume di don Gagliardi che, a mio parere, sono di fondamentale importanza per accostarsi alla liturgia della Chiesa con l’autentico spirito liturgico: quello spirito che è presente nella ininterrotta tradizione della Chiesa e testimoniato, in continuità con il passato, nel più recente Magistero: a partire dal Concilio Vaticano II fino a Benedetto XVI.

  1. Lo sviluppo omogeneo della liturgia della Chiesa
    Ho pronunciato la parola “continuità”. Questa parola richiama immediatamente alla nostra attenzione l’ormai celebre discorso rivolto da Papa Benedetto XVI alla Curia Romana, in occasione degli auguri per il Natale 2005. In quella circostanza il Santo Padre, interrogandosi in merito alla ricezione del Concilio Vaticano II, affermava: “Tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della ricezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare «ermeneutica della discontinuità e della rottura»; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall’altra parte c’è l’«ermeneutica della riforma», del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino”.Secondo la prima di queste interpretazioni, quella della discontinuità e della rottura, si arriva a distinguere due chiese: una – quella pre conciliare – che non avrebbe più nulla da dire o da dare perché irrimediabilmente superata; e l’altra – quella post conciliare – che sarebbe una realtà nuova scaturita dal Concilio e da un suo presunto spirito, in rottura con il suo passato. Ma, al riguardo, è lecita qualche domanda. Si può forse immaginare una Chiesa di prima e una Chiesa di poi, quasi che si sia prodotta una cesura nella storia del corpo ecclesiale? O si può forse affermare che la Sposa di Cristo sia entrata, in passato, in un tempo storico nel quale lo Spirito non l’abbia assistita, così che questo tempo debba essere quasi dimenticato e cancellato?In realtà, per rimanere nell’ambito che ci è proprio, ovvero quello liturgico, solo l’ermeneutica della continuità è consona al corretto “sentire ecclesiale”. Una riforma, quando è autentica, non procede per fratture e distruzioni, ma per purificazione e crescita nella direzione di una nuova maturità e di una nuova pienezza. Questo è stato l’intento profondo del Concilio Vaticano II, anche in ordine alla liturgia. Non si voleva, in altre parole, stabilire un fossato tra due mondi, quello precedente e quello successivo al Concilio. Si voleva, piuttosto, dare nuovo splendore all’«essenziale liturgico» attraverso un processo di sviluppo in continuità con l’intera tradizione ecclesiale.Accostarsi con spirito diverso alla liturgia sarebbe un grave errore. E, di sicuro, non cade in questo errore il volume di don Gagliardi. In proposito è illuminante quanto scrive nella Prefazione S.E. Mons. Piacenza: “Mauro Gagliardi ha dimostrato, citando i testi – anzi, quasi mettendoli in sinossi -, la continuità non solo di insegnamento, ma anche nel testo materiale, della Sacrosanctum concilium con l’enciclica Mediator Dei del Servo di Dio Pio XII, oltre che con gli altri testi del Magistero pontificio del secolo XX, a partire da san Pio X. L’accostamento dei testi fuga ogni dubbio sul fatto che l’unico modo appropriato per comprendere l’insegnamento dell’ultimo Concilio consiste esattamente, come indicato dal Santo Padre, nel riconoscere nei suoi documenti uno sviluppo omogeneo all’interno della bimillenaria Tradizione della Chiesa” (p. 7). Il testo che oggi presentiamo ci introduce nell’autentico spirito liturgico perché, attraverso le sue pagine, ci aiuta a rimanere in ascolto attento e obbediente di tutta intera la vita liturgica della Chiesa, indicando così la via del vero sviluppo.
  2. La liturgia luogo della comunione nella verità
    In questo atteggiamento di ascolto attento e obbediente non si può non riscontrare l’emergere di un’altra importante virtù intellettuale e spirituale: mi riferisco all’amore disinteressato per la verità.E’ proprio tale amore disinteressato alla verità che rende il testo di don Gagliardi libero da ogni forma di sudditanza a qualsivoglia precomprensione ideologica, con la nota dominante della serenità. E’ solo chi procede per affermare se stesso e il proprio personale punto di vista che perde la pacatezza nell’argomentare e rende quello che dovrebbe essere un confronto pacifico e arricchente uno scontro polemico, senza sbocco e senza frutto. Purtroppo, sovente, proprio la liturgia diviene terreno di aspra polemica e di sterile contrapposizione. Quando, invece, soprattutto la liturgia dovrebbe essere luogo di comunione per la ricerca disinteressata della verità, in ordine al bene autentico del popolo di Dio. Vale la pena ricordare, in proposito, quanto affermato dal venerato Giovanni Paolo II: “Nulla venga a spezzare e neppure ad allentare, nella celebrazione della liturgia, questa unità della Chiesa!” (Lettera apostolica Vicesimus quintus annus, n. 9).Non dovrebbe essere questo l’atteggiamento da coltivare quando si riflette sulla storia della liturgia, sul suo passato, sul suo presente, sul suo futuro? Non dovrebbe lo stesso atteggiamento essere conservato quando si tenta di fare un bilancio della riforma liturgica, che non si vuole certamente rinnegare o azzerare, ma che si desidera in ogni modo migliorare, dove fosse necessario? E non dovrebbe ancora lo stesso atteggiamento caratterizzare ogni discorso intorno al diritto di cittadinanza che oggi ha nella Chiesa la duplice forma del Rito romano, quella ordinaria e quella straordinaria? A fronte di queste domande, è forse utile ricordare l’invito rivolto dall’attuale Pontefice, alla fine della lettera indirizzata ai vescovi in occasione della pubblicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum: “Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio”

    Trovo che anche in questo si possa riconoscere in don Gagliardi un discepolo di Papa Benedetto XVI. Nessuno più dell’attuale Pontefice ha il gusto della ricerca disinteressata del vero in Cristo e nella Chiesa, al di fuori di ogni espressione polemica e con il solo fine di fare risplendere la presenza di Dio in un mondo che progressivamente sembra che se ne stia allontanando. “Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, – affermava Benedetto XVI nella splendida Lettera inviata ai Vescovi della Chiesa cattolica il 10 marzo scorso – la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio”.

    Don Gagliardi, che non si sottrae a nessuno degli argomenti che sono all’ordine del giorno nel dibattito liturgico attuale, lo fa con quel desiderio di verità – nell’ascolto attento della Chiesa, della sua storia e del suo magistero – e con quella serenità d’animo che lo pongono in piena sintonia con gli orientamenti pontifici e che rendono il suo testo singolarmente esemplare, proprio nel panorama liturgico attuale.

  3. La priorità di una teologia liturgica
    Trovo esemplare nel testo di don Gagliardi anche l’approccio al tema di cui si tratta. Mi riferisco all’approccio teologico, che fa da sfondo e da fondamento all’intera trattazione dei molteplici argomenti, affrontati nel volume.Si legge in proposito nella già citata Prefazione di Mons. Piacenza: “Il Concilio ricorda che l’approccio alla liturgia è innanzitutto di tipo teologico – poi anche storico, spirituale, pastorale e giuridico. Non dobbiamo nasconderci, e d’altro canto sarebbe vano tentare di farlo, che non sempre queste indicazioni sono state attuate negli ultimi decenni, nei quali ha spesso prevalso una tendenza a relegare in secondo piano lo studio teologico, spirituale e giuridico, in favore dell’approfondimento storico e pastorale della liturgia, lì dove quest’ultimo aspetto – mancando o essendo insufficiente  la base teologico-spirituale e giuridica – ha finito per essere declinato nel senso di un malinteso e peggio attuato adattamento, di carattere localistico o circostanziale, quando non addirittura estemporaneo, delle norme universali della Chiesa”.Il presente volume ci offre qualcosa di cui oggi si avverte l’esigenza: un approccio teologico alla liturgia che non esclude alcuna delle altre sue dimensioni. Al fine di sottolineare quanto, anche da questo punto di vista, si possa riscontrare sintonia tra il metodo usato da don Gagliardi e il pensiero di Benedetto XVI, basti la citazione di una riflessione fatta dal Cardinale Ratzinger nel corso di una sua celebra conferenza, tenuta nel 2001, in merito al rapporto tra forma e contenuto nella liturgia. Così si esprimeva l’allora Cardinale: “La poca chiarezza nel rapporto tra campo dogmatico e liturgico che è restata anche durante il Concilio deve essere considerata a ragione il problema centrale della riforma liturgica; da questa ipoteca si spiegano la maggior parte dei problemi nei quali noi da allora ci dibattiamo”.

    Ecco, dunque, un altro motivo per cui la pubblicazione del volume di don Gagliardi deve essere accolta con soddisfazione e con gratitudine. Il punto di partenza, infatti, dell’intera trattazione è, esattamente, quello teologico. Così come è sempre teologica la prospettiva dalla quale prende avvio l’esame e l’approfondimento delle singole tematiche. E, in effetti, una delle questioni di fondo che sta a garanzia dell’autentico spirito liturgico è proprio quella del corretto rapporto tra contenuto e forma, dottrina ed espressione rituale, teologia e segno liturgico. Mantenere fermo tale rapporto consente alla celebrazione liturgica di rimanere nella verità del segno, senza scadere in ciò che, alla fine, è solo frutto dell’inventiva umana, superficiale adattamento a presunte esigenze del tempo presente, banale autorealizzazione della comunità, fare dispotico che concepisce la liturgia come semplice oggetto di proprietà e non come dono prezioso da custodire.

    In questo senso l’approccio teologico alla liturgia consente di custodire la sua dimensione sacra, ovvero quella dimensione che non è lasciata all’arbitrio dell’uomo perché è dono che viene dall’alto, mistero della salvezza in Cristo, consegnato alla Chiesa perché, sotto la guida dello Spirito Santo lo renda disponibile in ogni tempo e in ogni luogo attraverso l’oggettività del rito liturgico-sacramentale.

  4. La liturgia fonte e culmine della vita della Chiesa
    Allora, davvero, la liturgia è, secondo la bella e celebre definizione descrittiva della Sacrosanctum concilium, ripresa poi più volte nel successivo magistero pontificio, “fonte e culmine della vita della Chiesa”.Leggendo le pubblicazioni di don Gagliardi, e tra esse anche il volume che oggi viene presentato, si capisce che questo tema è caro all’autore. In effetti, precisare il significato di tale definizione e stabilire una preferenza in ordine alla priorità del termine “fonte” sul termine “culmine” ha un valore non secondario. Proviamo all’illustrane il motivo.Tutti conosciamo il celebre testo della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II, appena citato, in cui si dice: “La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutto il suo vigore” (SC 10). Come si può osservare i termini usati sono due: culmine e fonte. E questo è un primo dato importante.

    Se andiamo, poi, a ricercare gli altri documenti nei quali il Concilio Vaticano II ha ripreso questa espressione, ci accorgiamo di una piccola differenza. In effetti in Lumen gentium al n. 11 e in Presbyterorum Ordinis al n. 5 si dice, con riferimento all’Eucaristia, che questa è “la fonte e il culmine” della vita della Chiesa.

    Questa differenza nell’ordine dei termini usati la ritroviamo in genere nei documenti del recente magistero: si preferisce anteporre la parola “fonte” alla parola “culmine”. Potremmo dire, in sintesi, che si può ravvisare un’evoluzione nell’uso di questa terminologia.

    E ora è lecito chiedersi: E’ proprio tanto importante ricordare l’esistenza di questi due termini e definirne con esattezza l’ordine di precedenza?. La risposta è sì. Infatti,  se la Liturgia fosse soltanto “culmine” della vita della Chiesa vorrebbe dire che essa sarebbe semplicemente il punto di arrivo del nostro cammino, il termine più alto a cui tendere della nostra storia spirituale, il frutto del nostro impegno e delle nostre opere. In verità, la Liturgia è insieme e ancor prima “fonte” della vita della Chiesa, vale a dire grazia, dono che scende dall’alto e che rende possibile il nostro cammino cristiano, la nostra storia spirituale, il nostro impegno e le nostre opere di santità. E’, questa, la verità cattolica del primato della grazia.

    Ricordo quanto afferma in proposito, soffermandosi sull’Eucaristia, Papa Benedetto XVI nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis: “Poiché nell’Eucaristia si rende presente il sacrificio redentore di Cristo, si deve innanzitutto riconoscere che c’è un influsso causale dell’Eucaristia alle origini stesse della Chiesa. L’Eucaristia è Cristo che si dona a noi, edificandoci continuamente come suo corpo. Pertanto, nella suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e Chiesa stessa che fa l’Eucaristia, la causalità primaria è quella espressa nella prima formula: la Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo presente nell’Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della croce. La possibilità per la Chiesa di fare l’Eucaristia è tutta radicata nella donazione che Cristo le ha fatto di se stesso” (n. 14).

    D’altra parte, non è questa anche la nostra personale esperienza nella vita della fede? Parlo per un istante di me; ma parlando di me, sono certo di dare voce anche a ciascuno di voi. Quando torno indietro con il pensiero e mi fermo a considerare la storia della mia vocazione, mi appare sempre molto chiaro l’intervento del Signore che, con la sua grazia, ha preceduto e reso possibile la mia risposta. Non sono io che ho amato Dio, è Dio che ha amato me per primo. Se talora mi accade di pensare di essere stato io in qualche momento l’artefice della ricerca di Dio, subito, a un esame più attento, mi accorgo che la mia ricerca è stata possibile perché Dio per primo ha cercato me. E questo mi accade ogni giorno, nello svolgersi di quella vocazione quotidiana che, lo sappiamo bene tutti, è la storia di ciascuno di noi con Dio. Così dobbiamo e possiamo affermare che la nostra vocazione è stata una splendida Liturgia! La nostra quotidiana storia di fede è una splendida Liturgia! Gesù Cristo è il culmine della nostra vita, vale a dire la meta a cui tendiamo, perché anzitutto ne è stato e ne è la fonte.

    Ecco, dunque, perché è importante ricordare l’esistenza di questi due termini e definirne con esattezza l’ordine di precedenza. Ed è quello che don Gagliardi con molta chiarezza fa nel suo testo.

  5. La liturgia tra coerenza, devozione e formazione
    Avviandosi alla conclusione del testo, don Gagliardi si introduce così: “Nei precedenti capitoli abbiamo incontrato diverse volte un criterio ermeneutico-teologico fondamentale per comprendere la fede e la liturgia, e in particolare il magistero liturgico del Vaticano II: la continuità nello sviluppo. Abbiamo notato anche qualche punto debole nell’attuale prassi liturgica, dovuto a iniziative che non in tutti i casi hanno pienamente rispettato il senso teologico della liturgia e il criterio ermeneutico or ora richiamato. Queste varianti, di maggiore o minore gravità, producono una certa confusione e a volte allontanano dalla percezione della sacralità propria al mistero liturgico. Nei capitoli precedenti – continua l’autore – ho cercato di far emergere il criterio teologico per il superamento positivo di questa problematica. Vorrei ora esporre … tre aspetti connessi a una comprensione teologica della liturgia, che possono rappresentare anche delle concrete vie di uscita dalla situazione che si è determinata nella liturgia cattolica post-conciliare. Sono la via dell’etica, della devozione e della formazione” (p. 214).In tal modo don Gagliardi propone di percorrere la triplice via della relazione tra liturgia ed etica, liturgia e devozione, liturgia e formazione al fine di superare alcuni elementi problematici che oggi, nella liturgia, attendono di essere affrontati e risolti. Lasciamo che sia lo stesso don Gagliardi a illustrarci il senso di questa triplice via.- Quanto alla relazione tra liturgia ed etica, l’autore, dopo aver citato un passo di Sacramentum caritatis, afferma: “Si nota la stretta correlazione tra atto liturgico e atto morale proprio per il fatto che, come non è l’uomo a creare con le sue mani la liturgia, ma essa risplende di bellezza sua propria quando l’uomo si lascia rapire dal mistero operante in essa, così la vita del cristiano non consiste nel perfezionismo di un atto volontaristico, bensì nel lasciarsi trasformare dall’amore preveniente di Dio e a esso corrispondere con un atto di vera libertà. Ecco perché la corretta celebrazione e partecipazione liturgica educa il cristiano al vero concetto di libertà. Che libertà non significhi affatto fare ciò che si vuole, il cristiano (sacerdote o laico) lo apprende proprio nel celebrare i santi misteri. Vivendo la liturgia, egli apprende di non poter determinare la propria vita in accordo al suo gusto o a dei valori stabiliti in base al consenso democratico, così come non può decidere da solo, e neppure assieme ad altri, di modificare il rito liturgico” (p. 216).

    Si potrebbe dire così, a buon diritto, che l’adesione cordiale e di fede al rito liturgico è altissima scuola di “coerenza eucaristica”. Quella coerenza di cui il Santo Padre ci parla proprio in merito al rapporto tra liturgia e comportamento etico.

    – Quanto alla relazione tra liturgia e devozione, l’autore afferma: “La prima forma di devozione che la liturgia è in grado di suscitare è allora la devotio nel suo senso etimologico, la dedicazione di tutti noi stessi a Dio, nella Chiesa, con la Chiesa e per mezzo della Chiesa, Sposa di Cristo. Questa donazione totale di noi stessi produce anche tutti gli altri aspetti di una sana devozione che i fedeli possono praticare. In questo senso, mentre è chiaro che sussiste una distinzione tra liturgia e devozione, non bisogna affatto introdurre una separazione o peggio un’opposizione tra esse” (p. 222). Per tradurre con un esempio quanto affermato sul piano del concetto: non è forse la vita dei santi la presentazione più convincente del sano rapporto tra liturgia e devozione? Nel santo noi ritroviamo l’autentico spirito liturgico che si esprime anche nella devozione e una devozione che trae alimento dal sano spirito liturgico. Guardiamo, per richiamare solo un esempio tra i moltissimi, al santo Curato d’Ars, in questo Anno sacerdotale, e a come in lui liturgia e devozione abbiano trovato mirabile armonia.

    – Quanto alla relazione tra liturgia e formazione, don Gagliardi cita un brano di Sacrosanctum concilium: “E’ ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia… Essa infatti è la prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano, e perciò i pastori d’anime in tutta la loro attività pastorale devono sforzarsi di ottenerla attraverso un’adeguata formazione. Ma poiché non si può sperare di ottenere questo risultato, se gli stessi pastori d’anime non saranno impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia e se non ne diventeranno maestri, è assolutamente necessario dare il primo poto alla formazione liturgica del clero” (n. 14). Non mi pare ci sia da aggiungere molto di più, se non per sottolineare che parlare di formazione liturgica significa parlare sia di formazione alla liturgia che di formazione mediante la liturgia. Non è forse vero che una liturgia celebrata correttamente, vale a dire in conformità alla sua vera essenza, è altamente formativa in se stessa?

    Non si può fare a meno di ricordare al riguardo, nel corso dell’Anno sacerdotale, le parole di Sacramentum Caritatis: “… raccomando ai sacerdoti «la celebrazione quotidiana della santa Messa, anche quando non ci fosse partecipazione di fedeli». Tale raccomandazione si accorda innanzitutto con il valore oggettivamente infinito di ogni Celebrazione eucaristica; e trae poi motivo dalla sua singolare efficacia spirituale, perché, se vissuta con attenzione e fede, la santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione” (n. 80).

    Di conseguenza mi pare che sia da ricordare la duplice necessità: formare alla liturgia per celebrare secondo il vero spirito liturgico, celebrare secondo il vero spirito liturgico per lasciarsi formare mediante la liturgia.

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Mi avvio alla conclusione. E’ ormai da alcuni anni che nella Chiesa, a più voci e da più parti, si parla della necessità di un nuovo rinnovamento liturgico. Di un movimento, in qualche modo analogo a quello che pose le basi per la riforma promossa dal Concilio Vaticano II, che sia capace di operare una riforma della riforma, ovvero ancora un passo avanti nella comprensione dell’autentico spirito liturgico e della sua celebrazione: portando così a compimento quella riforma provvidenziale della liturgia che i Padri conciliari avevano avviato, ma che non sempre, nell’attuazione pratica, ha trovato puntuale e felice realizzazione.

Un movimento liturgico di questo genere non lo si può costruire, però si può contribuire al suo sviluppo, sforzandosi di assimilare di nuovo lo spirito autentico della liturgia e senza timore di testimoniarlo con la parola e con l’esempio della vita. Mi pare di poter affermare che, in questo senso, il testo di don Mauro Gagliardi, “Liturgia fonte di vita”, possa dare un valido contributo. Nel segno della profondità teologica, della chiarezza espressiva, della serenità espositiva, nella direzione, mi viene da dire, di quella “dolcezza determinata” che è lo stile tipico del magistero liturgico di Benedetto XVI.